I rosoni della Basilica di S. Antonio di Padova: storia e restauri

di Rocco Orlando

     I rosoni della Basilica del Santo di Padova sono di molto posteriori alla costruzione della stessa. L’intenzione dei geniali ideatori era quella di dar luce diretta e abbondante al presbiterio, non dall’alto, ma dai lati, attraverso i grandissimi rosomi che aprono al sole quasi metà della parete con un diametro di nove metri.  Questi due rosoni furono eseguiti dopo la primavera del 1394, quando un campanile, colpito da un fulmine, crollò nella parte absidale del santuario. A questa rovinosa distruzione seguì un periodo in cui furono eseguiti importanti lavori, tra i quali l’apertura dei due rosoni.

     Sono ambedue a forma circolare e di ampiezza e diametro uguali, ma lo scheletro è molto diverso.  Gonzati  (vol. I  p. 129) dice: “ [Si tratta di] due grandi rose di pietra che ornano i circolari finestroni ai fianchi del presbiterio. Quello posto a settentrione è più antico, è anche più bello perché conserva nella struttura totale e nella distribuzione delle parti la figura sferica della finestra. I raggi che partono regolarmente dal circolo del centro, i quadrilobati tra raggio e raggio e le altre fogge capricciose di ornato compongono il più gradevole traforo. Devesi quest’opera ad un giovane guerriero figliuolo di Filippo Bisalica, un nobile patrizio di Piacenza. Fuori e dentro veggonsi le insegne di questo nobilissimo lignaggio, le quali mostrano in tre scudi una croce a scaccata a due striscie, in altri due la medesima croce a scacchi ed una mano vestita di ferro che scaglia un dardo. L’età di questo lavoro è dal 1339 al 1341 ad opera del maestro scalpellino Gabriele del fu Franceschino   […] che  eseguì il lavoro in collaborazione del tagliapietra Francesco della stessa contrada”.  

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Presentazione di Simone Giorgino, Eretico barocco – Copertino, 15 novembre 2024

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Il Salento che apre il futuro – Cellino San Marco, 15 novembre 2024

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Parole, parole, parole 35. Onomastica

di Rosario Coluccia

Il termine onomastica (dal gr. ónoma ‘nome’) designa la scienza che studia i nomi propri nel loro complesso considerando sia i nomi di luogo sia i nomi di persona. Oltre ai nomi degli esseri umani, nell’onomastica rientrano varie altre tipologie di nomi propri: nomi degli animali, nomi degli esercizi commerciali, dei cinema e teatri, dei prodotti commerciali e in generale tutto quanto venga percepito come nome proprio e si possa ritenere forma onomastica. Anche in letteratura. Colpiscono i lettori alcuni nomi-parlanti (o nomi-ritratto), che caratterizzano nel fisico o nel comportamento il personaggio, come Azzeccagarbugli dei Promessi Sposi di Manzoni, che oggi nella lingua comune indica un avvocato cavilloso e intrigante, ma di scarsa dottrina; o il meno noto Donna Zucca-al-vento nel Decameron di Boccaccio, nome di una signora un poco dolce di sale (come dice Boccaccio stesso), cioè alquanto svanita.

La scelta dei nomi dei personaggi da parte di un autore è un atto creativo, quando dà luogo a nomi inventati; altre volte si tratta di nomi reali o modificazioni di nomi reali. Più ancora che nel nome personale o nel cognome, la creatività si manifesta nel soprannome, che è spesso un elemento con il quale l’autore aggiunge particolari sul personaggio. In alcuni testi, specie se connessi a un contesto socio-geografico specifico, ricorrono forme dialettali (per es. i Malavoglia di Verga hanno personaggi come mastro Turi Zuppiddu). Attraverso la documentazione relativa all’onomastica letteraria si possono avere testimonianze su forme, varianti e usi locali che presentano grande interesse.  Dalla letteratura, e poi anche dal fumetto e dal cinema, sono entrati nell’uso vari nomi di personaggi che hanno dato origine a nomi comuni: basti pensare a Perpetua, nome della governante di Don Abbondio, nei Promessi sposi, poi diventato nome comune nel senso di ‘domestica di un sacerdote’; Fortunello, ‘persona particolarmente fortunata’, è il nome di un personaggio del «Corriere dei Piccoli», adattamento del fumetto americano «The Happy Hooligan». Nomi della letteratura, del cinema e di canzoni sono diventati celebri e hanno contribuito a creare mode onomastiche, come Ornella, personaggio de La figlia di Iorio di D’Annunzio, o Lara, che ebbe grande diffusione tra gli anni Sessanta e Settanta a seguito del successo del film Il dottor Zivago (1965), tratto dal romanzo di Boris Pasternak, la cui protagonista porta quel nome. Un altro nome la cui fortuna è legata a un personaggio letterario è Rossella, da Rossella O’Hara del romanzo Via col vento (tradotto in italiano nel 1939) e dell’omonimo film distribuito in Italia subito dopo la seconda guerra mondiale.

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Inchiostri 135. Ripensando al poeta Girolamo Comi

di Antonio Devicienti

La grande casa si riempiva d’ombra a sera e l’unica lampada accesa era quella sul tavolo dello studio.

Qualche volta un amico poeta restava a dormire dopo la giornata di fitte conversazioni, di molte letture.

(La grande casa aveva nostalgia di voci e di corse infantili).

La solitudine possedeva i tratti dell’ascesi, soltanto il sevizio postale collegava Lucugnano al resto d’Italia.

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Luigi Latino, Il potere dorato


Acrilico e smalto su tela, cm. 30×40, 2024.
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Manco p’a capa 228. Perché Il Mare a Scuola

di Ferdinando Boero


La Nave Patrizia

Durante la campagna Il Mare a Scuola organizzata dalla Fondazione Marevivo in collaborazione con MSC Foundation e Fondazione Dohrn, in diverse occasioni le autorità intervenute a bordo della Nave Patrizia, a Napoli, Palermo, Livorno e Genova, hanno riconosciuto l’importanza della transizione ecologica. Di conseguenza, hanno riconosciuto la necessità di mettere più ecologia nei percorsi didattici. Qualcuno, però, ha posto la condizione che sia mantenuta la sostenibilità economica e sociale: va bene l’ambiente, ma non possiamo non pensare a società ed economia. Qualcuno ha ancora parlato di posizioni “ideologiche”. Così mi è toccato spiegare che società ed economia non possono prosperare in un ambiente degradato da modelli di “sviluppo” economico e sociale che causano un degrado ambientale che genera enormi costi economici e sociali. A fronte dei disastri in Spagna e in Romagna, e non solo, noi, le cassandre dell’ecologia, abbiamo ora la magra soddisfazione di dire: ve l’avevamo detto. Le reazioni agli allarmi hanno attraversato diverse fasi. Prima il negazionismo: siete catastrofisti, non è vero, va tutto bene. Poi la reazione “storica”: queste cose sono già avvenute in passato, quando non c’eravamo, e quindi non siamo noi i responsabili. Poi la fede “teconologica”: va bene, ci sono problemi, ma li risolveremo con le tecnologie, tipo la fusione nucleare. Seguita da: inutile che lo facciamo noi se non lo fanno gli altri. Infine: oramai non c’è più niente da fare, tanto vale continuare così. Il Ministro della Protezione Civile dice: non ci sono più soldi per far fronte ai disastri causati dal cambiamento globale: assicuratevi! A riprova che i costi economici e sociali causati dal cambiamento climatico non sono più sostenibili con i fondi pubblici (mentre programmiamo faraoniche spese militari).

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Dov’è la Calmucchia? Geopolitica nascosta

di Paolo Vincenti

“Signorina Maccabei

Venga fuori, dica lei
Dove sono i Pirenei?”
Professore, io non lo so, lo dica lei”

La classe degli asini – Natalino Otto

Mi trovo in un supermercato di Milano davanti ad una lunga fila alla cassa, quando incontro Iurij, un ragazzo cortese che parla inglese e che, vedendo il mio carrello carico di roba – lui ha solo uno spazzolino e una confezione di lamette da barba – , mi cede il posto facendomi passare avanti. L’attesa è sempre noiosa e scambio due chiacchiere col gentile avventore che alla mia domanda di rito, “where are you from?”, mi risponde di provenire dalla Calmucchia, ma lo deve ripetere due volte di fronte al mio stupito: “sorry, where?”. La Calmucchia è una piccola repubblica indipendente incastonata nel Caucaso, di appena 280.000 abitanti, grande quanto il Belgio, e che ha come religione ufficiale il buddismo tibetano. Ma questo io lo apprendo solo dopo aver aperto Google per informarmi, perché al divertito Iurij sul momento rispondo grossolanamente: “ok, you’re russian”. La scoperta della Calmucchia desta la mia curiosità erudita e, tornato a casa, vado a ricercare tutte le più piccole e strane nazioni del mondo, per la maggior parte nemmeno riconosciute dalla comunità internazionale. I Calmucchi discendono dagli antichi Mongoli che dalla Cina giunsero nelle steppe del Caucaso in tempi remoti. Questo paese fu un Khanato nell’orbita della Russia ma indipendente, con lingua religione e tradizioni proprie, fino a quando, in seguito alla Rivoluzione di ottobre del 1917, non venne forzatamente annesso alla Russia da Lenin. Fu a fianco della Germania, che lo liberò nel 1941 dall’occupazione russa.

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Antonio Stanca, Universum A-34


05-02-2004, olio su MDF, cm 80,2 X 80,2.
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Paolo Villaggio e Massimo Troisi maschere di come siamo stati

di Antonio Errico

Maschere del loro tempo. Maschere di una certa strana Italia, un po’ vera e un po’ immaginaria: quella degli anni che vanno dalla fine dei Sessanta alla metà dei Novanta. Maschere di vizi innocenti e nessuna virtù. Di stereotipi e condizioni dell’esistenza individuale, di quella sociale. Maschere senza scaltrezza: ingenue, rassegnate. Paolo Villaggio. Massimo Troisi. Artisti assoluti. Quindi maschere.

“Io, Pina, ho una caratteristica: loro non lo sanno, ma io sono indistruttibile, e sai perché? Perché sono il più grande “perditore” di tutti i tempi. Ho perso sempre tutto: due guerre mondiali, un impero coloniale, otto – dico otto! – campionati mondiali di calcio consecutivi, capacità d’acquisto della lira, fiducia in chi mi governa… e la testa, per un mostr… per una donna come te”.
Così parlò il ragionier Ugo Fantozzi. L’Italiano che non vince mai, che perde sempre. Il ragionier Ugo Fantozzi parla e le sue parole, le sue forme verbali, le sue frasi s’infiltrano nel linguaggio della gente, sfuggono ai loro contesti naturali e diventano esclamazioni, modi di dire, espressioni di situazioni ordinarie che si trasformano in paradosso, stramberia, assurdità. Ugo Fantozzi non è un personaggio. E’ una maschera.   

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Inchiostri 134. Pensando a Fray Luis de León

di Antonio Devicienti

Il cortile interno dell’Università di Salamanca riaccoglie, dopo quattro anni, Fray Luis de León – accuse infamanti rivelatesi prive di fondameno l’hanno tenuto nel carcere dell’Inquisizione – ed egli ritorna alla sua cattedra, si dirige verso l’aula gremita, si rivolge all’uditorio: dicebamus externa die (ieri dicevamo – come se non fossero intercorsi quei quattro anni d’ingiusta reclusione – o, almeno, così dice la leggenda che mi piace pensare veritiera).

Fray Luis è uno studioso delle Sacre Scritture e un poeta, ha stretto amicizia con il musicista cieco Francisco Salinas, possiede una tempra e una dirittura morale fuori dal comune. Ama contemplare la notte stellata e la musica di Salinas immerge la sua anima in una dolcezza che lo eleva fino alla sfera del divino.

La Castiglia del suo tempo è attraversata da un fervore religioso senza pari, Fray Luis unisce slancio spirituale e rigore di studi filologici e linguistici, attraverso la lingua e la poesia conquista giorno dopo giorno il senso umano del suo stare nel mondo (il senso divino è, per lui, indiscutibile e acclarato).

Ex cathedra egli sembra trasfigurarsi, commenta il Libro di Giobbe e il Cantico dei Cantici con commovente partecipazione, la sera, solo nella sua cella nel cuore silenzioso di Salamanca, ripensa gli accordi che il suo fraterno amico Salinas gli ha fatto ascoltare nel pomeriggio, rivolge lo sguardo alle stelle perfettamente visibili nel cielo di Castiglia, riflette sul dogma dell’Incarnazione.

Una vita intera a studiare. Mai è mancato Fray Luis al suo impegno quotidiano, men che meno nelle carceri dell’inquisitore.

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Marcello Toma, Riconversione industriale


Gouache on paper – 46x31cm, 2022.
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Girolamo Comi: Poesia come preghiera (seconda parte)

di Antonio Lucio Giannone

(continuazione)

L’ultima fase della vita e dell’attività letteraria di Comi si svolge in un minuscolo centro del Salento, a Lucugnano, dove si trasferisce nel 1946, subito dopo la guerra, e nel 1948 fonda l’Accademia salentina e nel 1949 una rivista, «L’Albero», affiancata dalle Edizioni dell’“Albero”, nella quale appaiono, fra l’altro, anche le sue opere di questi anni (Spirito d’armonia 1912-1952  e Canto per Eva). La prima raccolta, riassuntiva del suo itinerario poetico, ebbe quello stesso anno il Premio Chianciano. Nella motivazione stesa dalla Giuria, si chiariva, fra l’altro, l’evoluzione della poesia comiana: «Da una panica e sensuale comunione con il tutto, da una totale ebbrezza di natura e cosmica liberazione, vagheggiate fino al Cantico dell’argilla e del sangue, si passa per gradi a un più alto acquisto religioso, a una visione cristiana della vita, e dall’immanentismo al sentimento della trascendenza» (in  G. Comi, Opera poetica a cura di D. Valli, Longo, Ravenna 1977, p. 356).

Nel 1958 esce l’edizione definitiva di Canto per Eva, un canzoniere composto da liriche ispirate al tema dell’amore visto però, secondo la concezione stilnovistica, come fonte di salvezza per il poeta e tramite alla conoscenza di Dio.

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Il piccolo popolo misterioso

di Antonio Mele / Melanton

Nel mondo dei Folletti invisibili e dispettosi

In principio furono i numi tutelari della casa, dei campi, delle sorgenti e dei fiumi: i Lari, i Sileni, i Satiri.

Secondo Esiodo erano fratelli delle Ninfe dei monti, e aiutavano i contadini e i pastori nel loro lavoro, coltivando la terra, e prendendosi cura del bestiame. Poi cominciarono a diventare pigri, gaudenti e dispettosi. Spesso ballavano al suono dei loro flauti, e di notte si celavano tra le foglie degli alberi, o dentro anfratti e caverne, o in piccole grotte scavate a fior di terra.

Dalla Grecia, dov’erano nati e vissuti ai tempi del mito, si sparsero rapidamente nell’Italia meridionale, poi in Etruria, quindi nelle zone alpine, e infine in tutta Europa, assumendo nomi diversi: Elfi, Gnomi, Folletti, Fauni, Spiritelli, Augurielli

Di piccola statura, non più alti di un palmo o due, con le orecchie a punta, i piedi di capro e una piccola coda, indossano quasi sempre un magico cappelletto a punta (che è il centro del loro potere magico, in grado di renderli invisibili), solitamente di color rosso vivace, più raro verde o bruno, del quale sono gelosissimi. Chiunque riuscisse a impossessarsene, otterrebbe preziosissimi doni per la sua restituzione.

Alcuni – imparentati con i Sandmann o i Koboldi tedeschi e i Nissen della Norvegia – indossano anche piccoli sonagli che fanno tintinnare quando c’è la luna piena. Sono molto gentili e servizievoli. E spesso, quando i bambini hanno finito di dire le preghiere della sera e si addormentano, soffiano una polverina magica sui loro occhi, per favorire sogni lieti e sereni.

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Gaetano Minafra, Arte sacra 11. Madonna con bambino

Tela, pastelli a olio, colori acrilici, acquerello e rete metallica, cm. 35 X 45, 2020.
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Pioggia

di Antonio Prete


Claude Monet, La pioggia,1886-1887, olio su tela, collezione privata.

Sotto il velo della pioggia le piante

piegano foglie, spengono pensieri.

.

Si rifugiano i nomi nell’opaca

eguaglianza delle forme, e la malva,

il tarassaco, il topinambur, il papavero

s’infogliano  in un unico verde

flagellato dalla musica d’acqua.

.

I fiori serrano i petali nell’urna.

.

Il vento sferza la chioma del tiglio

che ha memoria di una sera ospitale,

del suo inatteso tepore.

Nessuna luce marina che inviti

ora a un brivido di presenza.

Solo il grigio delle raffiche

che cancella la linea dei poggi

e trascina nel concerto stregato

anche il cielo e le sue iridescenze.

.

Fluttuano nella stanza del ricordo

nubilose sfigurate parvenze.

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L’ostacolo del “fabulare”. La finzione autobiografica dantesca nell’opera volgare dell’Alighieri. Capitolo VIII. La donna pietosa e gentile ovvero Filosofia

di Gianluca Virgilio

Eccola la nuova, ultima “fascinosa tentazione”[1] della Vita Nuova:

“Poi per alquanto tempo, con ciò fosse cosa che io fosse in parte ne la quale mi ricordava del passato tempo, molto stava pensoso, e con dolorosi pensamenti, tanto che mi faceano parere de fore una vista di terribile sbigottimento. Onde io, accorgendomi del mio travagliare, levai li occhi per vedere se altri mi vedesse. Allora vidi una gentile donna giovane e bella molto, la quale da una finestra mi riguardava sì pietosamente, quanto a la vista, che tutta la pietà parea in lei accolta.” (V.N. XXXV, 1-2)

Beatrice è morta e, avvilita anche la funzione dell’amante, il racconto si sarebbe dovuto concludere. Ma il narratore deve preservare l’opera da una conclusione che impedisca il rinnovarsi della finzione medesima. L’amante ritrova tutta la sua vitalità nell’episodio della donna pietosa e gentile, che inaugura un nuovo stadio della finzione dantesca.

Già si è visto come la poesia della lode abbia informato di sé la parte centrale del “libello”, e quali conseguenze ciò abbia determinato nella struttura dell’opera. Il ruolo dell’esegeta-prosatore, povero nei primi capitoli della Vita Nuova, è divenuto preminente, e la sua funzione è stata teorizzata come necessaria per sopperire alle ambiguità e alle carenze dell’attore; questi, d’altro canto, ha perso la sua caratteristica essenziale: quella d’essere in primo luogo amante. E si è visto come perseverando in questa direzione, la finzione dell’opera finisca per esaurirsi in un gioco irreale e privo di prospettive future. La donna gentile e pietosa, riattivando la fabula del “libello”, riattiva anche la funzione dell’amante, e in questo modo rimette in movimento la dialettica della Vita Nuova.

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Presentazione di Ettore Catalano, Il complesso di Chirone – Villa Castelli, 9 novembre 2024


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Le elezioni USA e il Mezzogiorno

di Guglielmo Forges Davanzati

La gran parte degli analisti prevede che la vittoria di Trump produrrà esclusivamente effetti negativi sull’economia europea, in virtù dei dazi che il Presidente imporrà sulle importazioni dal nostro continente e dalla Cina. La Storia economica ci dà, però, un insegnamento di segno leggermente diverso rispetto ai vantaggi del libero scambio, rilevando che l’industrializzazione – con la sola eccezione del Regno Unito nella prima rivoluzione industriale nella seconda metà del Settecento – è sempre avvenuta facendo crescere industrie nascenti nazionali con misure di protezione doganale. Friedrich List, economista tedesco la cui opera principale è Il sistema nazionale dell’economia politica del 1841, è stato fra i primi a mostrare come la “protezione delle industrie nascenti” fosse la sola strategia che la Germania avrebbe potuto adottare per non soccombere alla concorrenza inglese, essendo l’Inghilterra partita prima nel processo di industrializzazione. Questa considerazione di carattere generale può essere declinata nel contesto attuale e con riferimento ai nessi fra politica commerciale USA e prospettive di crescita del Mezzogiorno, sulla base di una duplice considerazione.

1) Innanzitutto, non corrisponde pienamente al vero che solo i Repubblicani USA sono favorevoli al protezionismo. L’IRA (Inflation reduction act) di Biden – un forte stimolo fiscale destinato alle imprese statunintensi per la transizione “green” – è stato, di fatto, un provvedimento ascribile al caso del protezionismo occulto. Mentre è ormai ben nota l’esplicita adesione di Trump alla politica di protezione dell’industria USA (“la parola più bella del dirzionario” – ha dichiarato – “è tariffe doganali”), è forse meno nota un’analoga presa di posizione di Kamala Harris, secondo la quale “bisogna in qualche modo difendersi da un’ondata di concorrenza sleale”.

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Taccuino di traduzioni 8. Johann Wolfgang Goethe: Alla luna piena che sorge

di Antonio Devicienti



Caspar David Friedrich, Due uomini contemplano la Luna (1819-20), Dresda, Staatliche Kunstsammlungen.

Dornburg, 25 agosto 1828

Mi abbandonerai subito?
Un momento fa eri così vicina!
Ti oscurano masse di nuvole
e ora sei scomparsa: tutta.

Ma puoi sentire come sono triste,
e il tuo alone occhieggia come una stella!
Mi testimoni che sono amato,
fosse pure il caro amore ancora così lontano!

Sù in alto, allora! sempre più splendente,
orbita pura di totale bellezza!
Il cuore mi batte anche più veloce, dolorante –
sublime è la notte.

DEM AUFGEHENDEN VOLLMONDE
Dornburg, den 25. Aug. 1828

Willst du mich sogleich verlassen?
Warst im Augenblick so nah!
Dich umfinstern Wolkenmassen
Und nun bist du gar nicht da.

Doch du fühlst, wie ich betrübt bin,
Blickt dein Rand herauf als Stern!
Zeugest mir, daß ich geliebt bin,
Sei das Liebchen noch so fern.

So hinan denn! hell und heller,
Reiner Bahn, in voller Pracht!
Schlägt mein Herz auch schmerzlich schneller,
Überselig ist die Nacht.

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