di Antonio Di Seclì
Oppido
Tralignano sta a Paolo Vincenti come Macondo sta a Gabriel Garzia Marquez.
Macondo
e Oppido Tralignano sono entrambi luoghi immaginari, entrambi topos forse dell’anima
o metafore di porzioni di mondo connaturate ai due scrittori.
Entrambi
gli autori, en passant, sono inoltre
accomunati da una immaginazione fantasticatrice, da una visione fervida e smisuratamente
creativa, che può indurre per errore il lettore a supporre che tutto ciò che
viene narrato possa veramente essere riscontrato nella dimensione del reale; quando
invece il narrato trae movimento dalla realtà per poi fermentare nel
contenitore dell’immaginazione, della fantasticheria che galoppa sovente senza
freno.
Insiste
insomma nella narrazione di Paolo Vincenti una specie di iperrealismo che
meraviglia, grazie a strabilianti descrizioni cariche di parole, illuminate da
aggettivi, impreziosite da immagini, sentenze, latinismi e barbarismi tratti
con maestria dalla cassetta degli attrezzi.
Oppido Tralignano è
preesistente a Le storie dello scirocco
(Besa, Nardò, 2024, pp.181), è già materializzata ne I segreti di Oppido Tralignano dell’anno precedente (Agave
Edizioni, Tuglie, 2023). È un laboratorio di lacerazioni, è una terra conclusa
pregna di destini inappagati, di fallimenti annunciati, di velleità, di brogli
malsani, di corruzioni, di eroi disarmati, di pusillanimi, di marionette
assoldate, di giovani squattrinati, di lassismo provinciale. È sede di
un’umanità disgregata, avvizzita, in preda alla nolontà e alla leggerezza,
incapace quasi sempre di reggere il bandolo del proprio destino, che si auto inganna
affidandosi ad un qualche evento messianico che possa rivelarsi catartico, è
luogo di personaggi talvolta surreali, di macchiette dall’esistenza
velleitaria, un po’ picaresca, un po’ pindarica, inane, viziata, autolesiva,
unta, grama.
La
vicenda principe mi sembra sia quella riferibile a Lorenzo Vitali.