Salvatore Sava, Natività

Particolare del Presepe realizzato in pietra leccese e ferro nel 2006 per Gualtiero Marchesi (1930 – 2017). Il Presepe è composto da 63 elementi. Attualmente esposto nella Fondazione Gualtiero Marchesi.
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Presentazione di Stefano Rizzelli, Terra promessa – Galatina, 28 dicembre 2024

Associazione socio-culturale no-profit Progetto Artec A.P.S. (Associazione di Promozione Sociale) – Comunicato Stampa via Castrignano, 162 -73025 -MARTANO (LE); T. 338.34.95.574 – e-mail: progetto.artec@yahoo.it; C.F. 92021250755

COMUNICATO STAMPA

Sabato 28 dicembre (open h18 – fino alle 20,30) al Teatro Cavallino Bianco di Galatina si terrà la presentazione del catalogo “Stefano Rizzelli – Terra promessa” a cura di Raffaele Gemma, sulla performance-installazione di Rizzelli tenutasi a fine agosto nell’ambito del Festival dell’aria consapevole, organizzato da Pro Loco Galatina. Interverranno oltre alle autorità, Stefano Rizzelli (AUTORE DELLA PERFORMANCE, giornalista RAI, regista, performer, antropologo culturale), Raffaele Gemma (AUTORE DEL LIBRO, presidente dell’ass.cult.Progetto-Artec), Renato Grilli (ATTORE, performer), Niccolò Zizzari ( AUTORE di un video su Terra Promessa, studente del Liceo Classico “P,Colonna”). Si tratta di un Evento Sincronico a Syncronicart-6, la biennale d’arte contemporanea in fieri a Galatina. Alla serata parteciperanno anche i musicisti Donatello Pisanello ( Officina ZOÈ, Officina Salentina) e il giovane cantautore galatinese Pietro Antonaci.

Si tratta di un evento culturale di rilievo visto lo spessore del regista e autore di testi di origine galatinese, ora ai vertici RAI in ambito dirigenziale, sul quale Raffaele Gemma ha posto la sua attenzione in ambito critico con questo testo dotato peraltro di una ricca iconografia, sottolineando la sua valenza come performer, capace di stimolare le coscienze su tematiche attuali secondo il suo stile, inserendolo a pieno diritto tra i grandi nomi della body art e dell’arte concettuale, con una ricerca di neo-avanguardia moderna. Bisogna considerare infatti che queste tendenze artistiche non si sono di certo esaurite negli anni sessanta e settanta, dal momento che, per loro natura, hanno una spinta propulsiva che arriva dalla relazione uomo e ambiente e dalla ricerca basata sull’aisthésis, l’allargamento della sensorialità capace di coinvolgere il pubblico fruitore con installazioni cosiddette “immersive”.

Organizzazione: Progetto-Artec, Pro loco Galatina, patrocinio di Assessorato alla Cultura Comune di Galatina, Provincia di Lecce.

INGRESSO LIBERO, aperto a tutta la cittadinanza, tuttavia è controllato, per cui gli interessati possono dare l’adesione  whats app al numero mobile 3383495574

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Manco p’a capa 233. Dumb all over

di Ferdinando Boero

Ho già trattato le canzoni che esaltano la violenza sulle donne, fino al femminicidio (clicca qui) e ora si ripresenta l’occasione di parlare di testi “inappropriati”. Un
cantante, invitato a partecipare ad un evento, è stato disinvitato quando chi lo ha invitato ha capito di che trattano le sue canzoni. Si è innescata così una discussione tra chi difende la libertà di espressione e chi difende le donne, considerate oggetti sessuali da strapazzare.
Ho una confessata passione per Frank Zappa, che il 21 dicembre ha compiuto 84 anni (Zappa, non la mia passione). Zappa ha scritto Jewish Princess in cui racconta le sue interazioni con la ragazza ebrea dei suoi sogni. L’Antidefamation League, che difende gli ebrei dalle maldicenze sul loro conto, lo denunciò, così Zappa scrisse Catholic Girls, per pareggiare i conti. E poi prese in giro i cocainomani (Cocaine Decisions) e i ballerini disco (Disco Boy) per non parlare dei gay che se la tirano da gay (He’s so gay). Prese in giro John Lennon (Oh No) e Elvis Presley (Elvis has just left the building), per non parlare dei giovani rampanti come Bobby Brown, castrati da femmine volitive. Zappa tratta quasi ogni espressione dell’animo umano, soprattutto se connotata da stupidità. Molti considerano osceni i suoi testi.
A metà degli anni Ottanta, durante il mandato di Ronald Reagan, la moglie del futuro vicepresidente Al Gore, Tipper Gore, con altre mogli di senatori, fondò un movimento che chiedeva di apporre etichette sulle copertine dei dischi in modo da segnalare contenuti inappropriati per chi avesse meno di una certa età, come si fa con i film. Ci fu un’audizione in Senato e Zappa partecipò, ingaggiando una discussione con Tipper e Al, e la registrò. Tipper lesse alcune delle liriche incriminate, per mostrare quanto fossero disgustose, e Zappa le montò in modo da avere Tipper che canta liriche oscene, quelle a cui voleva imprimere il marchio dell’oscenità. La canzone si intitola Porn Wars, e la potete trovare nel CD Frank Zappa Meets the Mothers of Prevention.

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Sugli scogli 25. Echi funesti

di Nello De Pascalis

Oltre sant’Emiliano

il cielo sbadiglia e segna

i confini della notte, mentre

ho lenze tra le mani

e un rimasuglio di luna

vaga a ponente.

Al di là del mare,

dal ginepraio dei Balcani

mi giungono echi

rossi di sangue,

ché i morti, forse,

i morti della barbarie

non hanno lasciato segni

o moniti.

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Non nel mio nome

di Paolo Vincenti

Pace: una parola troppo invocata per non rischiare di restare nel mondo dei sogni, al più nella testa degli illusi o negli slogan dei manifestanti. Il Medio Oriente è di nuovo come sempre in fiamme. In Italia chi è che invoca la pace? I Pro Pal, cioè i sostenitori della Palestina, che il più delle volte fanno gli interessi del terrorismo di Hamas e non dello stato palestinese (che poi, nella attuale vacatio di una guida governativa vera e propria, con le schiere di Hamas si confonde ed è confuso). Inoltre, agli anarchici e sovversivi i quali, manifestando, fanno sentire una forte voce di condanna della guerra, il che è legittimo, però con le conseguenze che le cronache ci raccontano, ossia scontri con le forze dell’ordine a causa delle marce non autorizzate, vetrine rotte e bidoni della spazzatura incendiati, piazze delle città messe a ferro e fuoco. Insomma, un caos, come quello che regna nella testa di questi esagitati. Da costoro direi che certo non mi sento rappresentato. Gli intellettuali di sinistra o di destra non governativa esitano a prendere pubblicamente posizione. Lo spauracchio è l’antisemitismo, invocato dai filoisraeliani, brandito dalla comunità ebraica italiana e dai suoi portavoce contro qualsiasi tentativo di elaborare un ragionamento che sia libero, scevro da pregiudizi e odi di parte, vecchi e logori moloch e urticanti tabù. “Osi dire che Israele sta esagerando nella risposta agli attacchi? Che la difesa non è proporzionata all’offesa?” “Sei uno sporco razzista”. “Sostieni che Israele abbia compiuto un genicidio a Gaza?” “Sei un antisemita e ti devi vergognare”. Se osi dire che i palestinesi in quanto arabi hanno i loro diritti e meriterebbero una casa e uno stato riconosciuto, puoi al massimo unirti a quei giovani universitari fancazzisti che occupano le aule in stato di agitazione permanente. Io non mi riconosco negli intellettuali ebrei italiani ma nemmeno nei sinistrorsi freakettoni e punkabestia universitari. Come la mettiamo allora? Dove mi colloco?

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Luigi Latino, La linea quasi scura


Plastica su tela, 30 x 40, 2024.
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Dell’arte del costruire o del Salento che continua a stupire

di Hervé Cavallera

   Con una regolarità ormai pluritrentennale (la prima strenna risale al 1989) a fine anno le leccesi Edizioni Grifo presentano dei preziosi volumi, a tiratura limitata, che si ammirano sia per la bellezza delle figure sia per il contenuto mai banale, anzi destinato a sollecitare ulteriori letture.

     La strenna di quest’anno è Salento. L’arte del costruire dal Medioevo al Neoclassicismo (272 pagine in grande formato di cm. 35×25, copertina cartonata con sovraccoperta e cofanetto stampati a colori) con oltre trecento immagini. L’autore è Mario Cazzato, architetto e apprezzato storico dell’arte (da ricordare i suoi tanti volumi sul Salento), nonché segretario della Società Storica di Terra d’Otranto e condirettore della “Rivista Storica del Mezzogiorno”.

     L’intento del volume è di offrire, con un taglio storico, un’esauriente illustrazione delle opere architettoniche (chiese, castelli e quant’altro) che dal Medioevo all’Ottocento preunitario sono state edificate in Terra d’Otranto, fornendoci, come prima mai era accaduto, un completo quadro degli artefici che si sono susseguiti nel corso del tempo. In questo modo il volume ha ottenuto almeno tre risultati che tra loro si fondono: l’essere una attenta ricostruzione del contributo artistico che Terra d’Otranto ha fornito alla nazione nel corso dei secoli; l’illustrazione  accurata di artisti spesso sconosciuti ai più e che invece hanno lasciato un segno in opere che ogni giorno continuiamo ad osservare; la raffigurazione nel complesso e nei particolari – ottime le fotografie – di gioielli architettonici che si estendono dal capo di Leuca al Brindisino e al Tarantino. E tutto questo fa di Salento. L’arte del costruire dal Medioevo al Neoclassicismo, stampato in solo 700 copie numerate, un libro insostituibile, peraltro arricchito, per chi vuole approfondire, di una più che esauriente appendice bibliografica.

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Iuncturae augura ai suoi lettori e ai suoi scrittori Buone Feste

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Gioventù salentina 3. Dalla goliardia alla politica. Il racconto di Carlo Gervasi (31 ottobre 2006)

di Gianluca Virgilio

Carlo, quando e dove sei nato?

Nel 1952, a Galatina.

Che tipo di educazione ti hanno dato i tuoi genitori?

Un’educazione molto rigida, specialmente in rapporto alle mie intemperanze scolastiche. Io dedicavo poco tempo allo studio, e allora i miei genitori, pur di farmi studiare, mi mandavano al doposcuola. Mio padre era un imprenditore agricolo e mia madre casalinga. Mi hanno dato un’educazione cattolica, ma senza troppe costrizioni. Andavo la domenica a messa, ma solo fino al primo liceo; da allora ci vado solo in certe circostanze, la notte di Natale, per esempio, quando si crea quell’atmosfera festiva che tanto mi piace.

Come è avvenuta la tua formazione culturale e politica?

Io ho vissuto di riflesso e dopo molti anni una parte della vita di mia madre, che ora ti racconterò. Mia madre era figlia di Carmine D’Amico, il fondatore della Clinica, socialista e amico personale di Saragat e di Matteotti – una sera ricordo a casa ospite il figlio di Matteotti -. Mio nonno fu componente della Costituente per i socialisti, dirigente nazionale del partito socialista, poi diventato partito socialdemocratico, sole nascente, maggioritario rispetto a Nenni, antifascista della prima ora. La vicenda è questa: durante la seconda guerra, da più parti qui si paventava che gli alleati sarebbero sbarcati a Brindisi. Mio nonno temeva che da questa zona sarebbe passata la prima linea; siccome mio nonno era sposato con una donna di Soresina (Cremona), ritenne opportuno, dopo l’8 settembre, mandare la moglie e le tre figlie dai parenti. Intendeva toglierle dal pericolo, in realtà la storia prese un’altra piega. La Puglia non fu toccata, mentre Cremona, che faceva parte della Repubblica sociale, divenne l’epicentro della guerra. Così per due anni la comunicazione di mia madre con Galatina fu interrotta, solo qualche lettera arrivava tramite il Vaticano. Qui mio nonno stava con il CLN in una situazione in cui resistenza non ce n’era, mia madre, invece, visse il periodo della resistenza a Soresina e la caduta della Repubblica sociale con la reazione fortissima della resistenza. Mia madre diceva sempre che i fascisti avevano avuto dei comportamenti non condivisibili, ma i comunisti erano peggio per quello che hanno fatto dopo. Molte sue amiche che avevano appoggiato il fascismo – mia madre raccontava – furono messe alla berlina, rasati i capelli, trascinate in piazza. Lo zio Tino, che ospitava i miei familiari, era un signore benestante, non si era mai interessato di politica, amava solo la caccia; subì un attacco dei comunisti che gli spararono alla porta. Tutti questi fatti raccontati da mia madre io li ritrovavo anni dopo, nel Sessantotto, quando c’era lo scontro in piazza, nei giornali “Il Candido”, “Lo specchio”, “Il borghese”. La sinistra aveva l’egemonia culturale e non faceva filtrare questi racconti, che potevano sembrare troppo spinti ovvero una reazione estrema alla forza dell’antifascismo. A distanza di anni, si è rilevato che quel discorso della destra aveva un suo fondamento, tant’è che se ne parla ancora.

Insomma, in famiglia io avevo un esempio di antifascismo moderato, mio nonno  -ricordo che, quando era costretto ad indossare la camicia nera, si metteva il camice che usava nella sala raggi-, e avevo un esempio di anticomunismo, per le vicende vissute in prima persona, in mia madre, che mi raccontava le cose che ti ho detto.

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Marcello Toma, Lettere dal fronte


Oil on panel, 35×28 cm.
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Parole, parole, parole 41. La marea montante dell’analfabetismo

di Rosario Coluccia

Il 6 novembre è uscita la 58a edizione del Rapporto Censis che interpreta i più significativi fenomeni socio-economici del Paese. Il Rapporto è uno specchio delle reazioni vissute dalla società italiana di fronte problemi complessi che ci troviamo ad affrontare: cambiamenti climatici e moltiplicarsi di eventi catastrofici, guerre, emigrazioni, insicurezza crescente, povertà. Non ho competenze specifiche per parlare di questioni così delicate, ma mi hanno colpito in modo particolare, i sintomi allarmanti di una crescente ignoranza che attraversa l’intera società.

Apparentemente non è così: cresce il numero dei laureati (più di 8 milioni, oltre il 18% della popolazione di età superiore ai 25 anni), si assottiglia sempre di più quello degli analfabeti (260.000, una percentuale minima, su una popolazione di oltre 58 milioni di persone). Sono dati in apparenza confortanti, paiono segnalare enormi progressi rispetto alle condizioni ancora di pochi di pochi decenni, quelli finali del Novecento, quanto avevamo un numero assai inferiore di diplomati e di laureati.  Ma non è così. Percentuali notevoli di italiani mostrano lacune spaventose in storia. Non parlo delle guerre puniche, che qualcuno anni fa invitava non studiare, dicendo che si trattavi di eventi lontani, che non avevano alcun rapporto con il mondo di oggi L’anno in cui Mussolini fu arrestato (1943) è ignoto per il 52% degli italiani, il 30,3 % non conosce l’anno dell’unità d’Italia (1861, eppure poco tempo fa ne abbiamo celebrato la ricorrenza dei 150 anni), la medesima percentuale non sa indicare chi era Giuseppe Mazzini. Non va meglio in letteratura: per il 41,1% L’infinito fu composto da Gabriele D’Annunzio e non da Leopardi; né in arte: per il 32,4% la Cappella Sistina fu affrescata da Giotto o da Leonardo; né in musica: per il 35,9%, l’Inno di Mameli (quello che sentiamo suonare e cantare prima delle partite della nazionale di calcio) fu composto da Giuseppe Verdi (senza neanche badare al fatto che ci sarà una ragione se l’Inno è detto “di Mameli”, appunto). Dati altrettanti sconfortanti riguardano la conoscenza della geografia o della matematica. Questa rubrica tratta di lingua italiana: molti compatrioti non sanno che correrò è futuro di correre.

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Per una critica della ragione militare

di Antonio Prete

Nelle guerre in corso l’orrore, giorno dopo giorno, è addomesticato, reso tollerabile perché evocato come notizia tra le notizie, come accadimento quotidiano e usuale: la stessa parola guerra finirà con essere rubricata accanto a voci come borsa, sport, cronaca nera e di costume. Le tante testimonianze di reporter e giornalisti esposti al pericolo ci trascorrono dinanzi agli occhi, con la loro immensa gravità, senza che l’indignazione dal singolo si estenda alla moltitudine, senza che il sapere del dolore sconfinato si trasformi in un grido, senza che la conoscenza diventi denuncia assidua e corale delle responsabilità.

E anche laddove alcune parole potrebbero avere in sé una più adeguata corrispondenza alla sconfinata violenza messa in atto, si ricorre ad attenuazioni, a distinzioni, a rassicuranti comparazioni storiche: la parola genocidio, usata per indicare quel che accade a Gaza, è apparsa e continua ad apparire a molti impropria (anche se il Papa e alcune inchieste delle Nazioni unite l’hanno adoperata). Un’anestesia del tragico permette di non introdurre il turbamento e l’angoscia nel ritmo delle giornate e nelle quotidiane occupazioni.

Se nei decenni trascorsi alcune guerre provocavano tra intellettuali, scrittori, artisti, forti prese di posizione, appelli condivisi, analisi – penso a quel che accadde con la prima guerra del Golfo – ora l’indignazione non trova le vie di una sua rappresentazione diffusa. E persino le condanne emesse, su certificata e incontestabile documentazione, da una Corte internazionale di giustizia suscitano riserve, distinzioni, tentativi di neutralizzazione.

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Metodo e passione. Studi sulla modernità letteraria in onore di Antonio Lucio Giannone

di Maria Dimauro

È all’insegna di plurime, stratificate “geografie sentimentali e poetiche”‒ parafrasando il titolo del contributo di Y. Gouchan (pp. 535-554) alla miscellanea Metodo e passione. Studi sulla modernità letteraria in onore di Antonio Lucio Giannone, a cura di Giuseppe Bonifacino, Simone Giorgino, Carlo Santoli, (Napoli, La Scuola di Pitagora, 2022). ‒ che prendono l’abbrivio e si svelano, inarcandosi lungo sessantadue contributi, le moltissime testimonianze di amici e colleghi italiani e stranieri in omaggio alla più che quarantennale attività scientifica e all’itinerario umano di Antonio Lucio Giannone. I due corposi tomi, che vanno a costituire questa preziosa miscellanea di studi, caratterizzati da un dinamismo tematico che contempla tuttavia un intimo, costante richiamo, fino all’intertestualità e alla citazione, al fecondo magistero di Giannone, alla sua poliedrica e ininterrotta, fruttuosa e appassionata attività di ricerca nel campo della letteratura contemporanea, sono significativamente inaugurati da un dittico dedicatorio che già ne dispiega, in nuce, direttrici esegetiche e ragioni affettive: Per Lucio,dei curatori Giuseppe Bonifacino, Simone Giorgino e Carlo Santoli, e una Lettera a Lucio di Simona Costa. In entrambi, infatti, è adombrata e insieme chiarita l’intitolazione complessiva di questi studi: dove nella diade di metodo e passione sono esaltati, in fertile embricatura, e come riportato dai curatori, «da un lato, la passione, in quanto modalità intrinsecamente etica di un bisogno estetico e di storia; e dall’altro […] il metodo, in quanto attenzione esaustiva al testo» (pp. XX-XXI).

E non sarà forse un caso che questa definizione s’attagli così compiutamente – come a sigillo di quasi cinque decenni di inesausta attività di ricerca e anche di “riscoperta” e “riattraversamento” di testi ai margini della tradizione acquisita e al di fuori delle maglie a volte troppo strette delle tassonomie canoniche – alla “lunga fedeltà” di Giannone alla lezione di maestri amati e dei quali ha raccolto a piene mani la non comune eredità, di “metodo” e “passione” come dal critico ribadito in una recente intervista.

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Presentazione di Massimo Galiotta, Arte e pensiero critico – Leverano, 23 dicembre 2024


Lunedì 23 dicembre alle ore 18:00, presso la Biblioteca di Comunità Piazza Coperta – Leverano Centrale (in Piazza della Costituzione a Leverano), Roberta Maci, docente di Lettere presso il Liceo “Galileo Galilei” di Nardò, laureata in Lettere Moderne presso l’Università del Salento e in Storia dell’Arte presso l’Università degli Studi di Verona, dialoga con Massimo Galiotta, critico d’arte, redattore della rivista Arte Trentina e autore del volume Arte e pensiero critico – Diario di un connoisseur. L’evento è organizzato dalle “Edizioni d’Arte Dusatti” di Rovereto, in collaborazione con il Comune di Leveranola e la rivista “Arte Trentina”
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Lecce romana, un marchio e le sue potenzialità

di Francesco D’Andria

Per chi si trovi a passare da Piazza S. Oronzo non è difficile spiare attraverso i teli che circondano l’area di scavo dell’anfiteatro romano, proprio sotto la colonna del santo Patrono. All’interno della zona recintata è possibile osservare la parte superiore dei pilastri che circondavano l’ovale del monumento romano, e tratti dei muri nella tecnica costruttiva tipica dell’età di Augusto: l’opus reticulatum, caratterizzato dall’elegante tessitura di piccoli conci romboidali tenuti insieme dalla malta. Ma gli scavi stanno anche facendo emergere una struttura a blocchi di pietra leccese in cui sembra possibile riconoscere parte di una fortificazione, forse il muro di difesa della città, forse di età angioina. Certamente in età medievale la cinta muraria dovette inglobare la mole dell’edificio teatrale romano seguendo poi, verso il lato occidentale della città, il percorso delle mura messapiche. Appare evidente già da questi primi indizi come nuovi elementi potranno emergere per ricostruire la storia della nostra città: dal livello attuale della piazza bisognerà scendere di almeno quattro metri per raggiungere il piano che gli antichi lupienses, nostri concittadini di duemila anni fa, calpestavano per entrare sulle gradinate della cavea e per assistere ai ludi dei gladiatori ed alle cacce di animali esotici (venationes). Non è da stupirsi che queste attività archeologiche abbiano suscitato un grande interesse in città, stimolando discussioni, proposte di valorizzazione, richieste di continuare gli scavi prontamente accolte dal Sindaco Adriana Poli Bortone che ha coinvolto lo stesso Ministro della Cultura Alessandro Giuli.

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I resti di babele 12. Il primato dell’essere umano nelle certezze dell’infinito

di Antonio Errico

L’Infinito che si manifesta nella luce di una tela di Caravaggio o nei colori della notte stellata di Van Gogh, la tecnologia non ce lo può dare. Quell’Infinito è una condizione che appartiene all’arte custodita dalle mani, alla felicità e alla sofferenza del pensiero, al trasalimento, all’insonnia, all’emozione, alla genialità, alla disperazione, al sentimento, all’intuizione, alla ragione. Al brivido improvviso di un’idea.  All’esperienza di esistere.  Al destino dell’umano.

La tecnologia non potrà mai concepire la musica di Mozart, un saggio di Montaigne, un racconto di Borges, la Divina Commedia, la Cappella Sistina, quello che appartiene alla meraviglia. Non lo potrà fare. Però, per prudenza, dovremmo dire: forse. Perché non si può escludere che l’evoluzione dell’intelligenza artificiale, per esempio, possa arrivare alla generazione di un’arte che non susciterà meno meraviglia. Forse la tecnologia ha possibilità e orizzonti che non possiamo nemmeno immaginare.

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Taccuino di traduzioni 14. Ingeborg Bachmann: il tempo dilazionato

di Antonio Devicienti

Verranno giorni anche più spietati:
il tempo accordato per l’abiura
sorge all’orizzonte.
Allaccia le scarpe!
Ricaccia i canilupo nei recinti
sul limitare della palude.
Raffreddatisi nel vento gl’intestini
dei pesci
miserandi ardono i fiori dei lupini
mentre scruti nella nebbia.
L’ora accordata per l’abiura
si fa visibile all’orizzonte.

In riva al mare l’amata
affonda nella sabbia che
le avviluppa i capelli
le spezza la parola
le prosciuga il nome
votato all’addio dopo ogni amplesso.

Non voltarti!
Allacciati le scarpe!
Respingi i cani!
Riaffida i pesci al mare!
Spegni la luce dei lupini!

Si preparano giorni peggiori.

DIE GESTUNDETE ZEIT

Es kommen härtere Tage.
Die auf Widerruf gestundete Zeit
wird sichtbar am Horizont.
Bald mußt du den Schuh schnüren
und die Hunde zurückjagen in die Marschhöfe.
Denn die Eingeweide der Fische
sind kalt geworden im Wind.
Ärmlich brennt das Licht der Lupinen.
Dein Blick spurt im Nebel:
die auf Widerruf gestundete Zeit
wird sichtbar am Horizont.

Drüben versinkt dir die Geliebte im Sand,
er steigt um ihr wehendes Haar,
er fällt ihr ins Wort,
er befiehlt ihr zu schweigen,
er findet sie sterblich
und willig dem Abschied
nach jeder Umarmung.

Sieh dich nicht um.
Schnür deinen Schuh.
Jag die Hunde zurück.
Wirf die Fische ins Meer.
Lösch die Lupinen!

Es kommen härtere Tage.

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Gaetano Minafra, Arte contemporanea 2. Oltre il tempo

Pezzi di legno colorato con colori acrilici, terra e acquerello, cm. 100 X 80, 2013,
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Ripensare la strategia per le aree interne

di Guglielmo Forges Davanzati

La popolazione residente nelle regioni più povere dell’Unione Monetaria Europea – quelle con un Pil pro capite inferiore al 75% della media dell’Unione – si è costantemente ridotta negli ultimi venti anni: in quelle aree, dal 2000 al 2023, per il combinato dell’aumento dei flussi migratori e della denatalità, il numero di residenti si è ridotto di circa 3 milioni, passando dal 28.83% al 26.73% popolazione europea. Il fenomeno è notevolmente accentuato nelle aree interne, definite tali se comprendono comuni che hanno una distanza superiore ai 20 minuti di percorrenza per il raggiungimento dei luoghi nei quali si erogano i servizi essenziali (ferrovie, scuole, ospedali). Appare opportuno sottolineare che le aree interne italiane devono essere tutelate perché principalmente in quei territori viene custodita e riprodotta la storia locale e una parte rilevante del patrimonio paesaggistico, naturale e culturale italiano. In altri termini, le aree interne vanno difese per la preservazione della storia e dell’identità collettiva e, quindi, come opposizione alla gentrificazione e all’overtourism.

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La più antica immagine di S. Antonio nella Basilica di Padova

di Rocco Orlando

     Nel tempio sacro di Padova si nota l’assenza di immagini puramente duecentesche che raffigurino Sant’Antonio. Mattia Tridello, a tal proposito, dice che, mentre ad Assisi dopo la morte del Poverello venivano realizzate immagini, dipinti e affreschi, questo non succedeva a Padova dopo la morte di S. Antonio, perché i fedeli non sentivano la necessità di una immagine del Santo in quanto c’era la presenza fisica e visibile della tomba.

     Quindi mancano ritratti contemporanei al Santo o eseguiti a pochi anni dalla sua morte. È dal 1300 che cominciano le raffigurazioni antoniane, non sempre concordanti riguardo allo stile figurativo e ai simboli. Nasce comunque la necessità di dare un volto al Santo”. E Luca Baggio nella sua “Iconografia di Sant’Antonio al Santo di Padova nel XIII e XIV secolo” avanza l’ipotesi che esistessero immagini antoniane duecentesche e che siano perdute.

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