Manco p’a capa 204. Tempo da lupi (travestiti da agnelli)!

di Ferdinando Boero

Franco Prodi ha pubblicato tesi strampalate sul cambiamento climatico, ed è stato sgamato: ha dovuto ritirare un articolo basato sul nulla. Ieri sera il fratello più furbo di Franco, Romano, era a Piazza Pulita, su La7. Anche lui, come il fratello, propone una tesi strampalata. Gli chiedono di spiegare il tracollo dei Cinque Stelle. Alza il ditino e, con aria da curato di campagna, con voce da seminario, spiega che i 5S hanno fatto fortuna vendendo emozioni, dicendo che sono tutti cattivi, ma questo non basta più, ci spiega: la gente ha problemi concreti, come la salute, la scuola, la casa. Non parla di ambiente, in altri momenti si è dichiarato a favore di trivellazioni e nucleare. I 5S devono mettersi d’accordo col PD, che le proposte chiare le ha (c’è Schlein che lo guarda estasiata dall’altra metà dello schermo) e poi evoca un campo largo in cui ci siano anche Renzi e Calenda. Insomma i 5S ci devono stare, col PD e col gatto e la volpe, ma devono stare agli ordini di chi vede lontano e devono mettere la testa a posto.
Stamattina riguardo l’intervista per assicurarmi di aver sentito bene. Confermo: dice che il M5S deve smetterla di vendere emozioni e deve parlare di problemi concreti, andando dietro a Schlein.

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Nuove Segnalazioni Bibliografiche 31. La biografia di Antonio Gramsci

di Gianluca Virgilio

La biografia di Antonio Gramsci. Lo storico torinese Angelo D’Orsi a distanza di sette anni dalla pubblicazione della sua biografia di Antonio Gramsci (Gramsci, Una nuova biografia, Feltrinelli, aprile 2017), ci propone un volume che egli presenta non come una nuova edizione del “vecchio testo”, ma proprio come un altro libro, questa volta definitivo sull’argomento, intitolandolo Gramsci. La biografia (stesso editore, aprile 2024). Che si possa dire qualcosa di definitivo su qualsiasi argomento e, dunque, anche sulla biografia di Gramsci, come fa intendere l’uso dell’articolo determinativo, mi lascia piuttosto scettico, ma è certo che questo libro ad oggi si può considerare come una summa del sapere biografico sul fondatore del Partito comunista d’Italia.

A me le biografie piacciono non tanto per quel che dicono sulla vita privata di un uomo, il che spesso mi sembra piuttosto sconveniente e indiscreto, quanto per quel che raccontano di un’epoca storica nella quale un dato personaggio visse e operò, interagendo con i suoi simili; tanto più se a questo si aggiunge l’analisi di un pensiero ancora vivo e capace di suscitare la riflessione sul presente e sul futuro da parte dei contemporanei. A questo fine uno studioso di valore come D’Orsi, già ordinario di Storia del pensiero politico presso l’Università di Torino, ha lavorato per molti anni sulle carte (gli articoli, le lettere e i Quaderni) e sulla letteratura gramsciana, le prime numerose, la seconda vastissima, stante la fama mondiale del biografato. Se ne dà ampia notizia nella Bibliografia che chiude il volume.

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Gaetano Minafra, Opere grafiche 42. Pugile a riposo

1965, grafite, cm. 15 X 25.
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Parole, parole, parole 23. Dizionari

di Rosario Coluccia

Ci sono vari tipi di dizionari. Dizionari storici, che registrano il lessico della nostra lingua scritta, dalla documentazione più antica fino alla contemporaneità; dizionari etimologici, che ricostruiscono la storia delle parole a partire dalla prima attestazione, registrandone gli sviluppi, la diffusione nelle diverse aree del paese e i cambiamenti di significato nel tempo; e ancora dizionari settoriali, specialistici, dei sinonimi, dei modi di dire, ecc. Molto conosciuti e consultati sono i dizionari dell’uso o generali, di solito pubblicati in un unico volume per garantirne la maneggevolezza. Essi comprendono le voci (all’incirca 90.000-130.000 lemmi) con cui un parlante o uno scrivente potenzialmente può entrare in contatto nel corso della vita, in modo passivo o attivo. Ovviamente un singolo individuo, anche di buona cultura, non conosce il significato di tutte le parole registrate in un dizionario e normalmente ne usa di meno rispetto a quante ne conosce. Inoltre i dizionari dell’uso non documentano per intero il lessico italiano, considerato nella globalità della sua storia e delle sue manifestazioni: ad esempio, non possono ospitare tutte le parole della letteratura antica, quando esse non si siano mantenute nella lingua contemporanea; né accolgono tutte le neoformazioni e i prestiti recenti (a volte effimeri) né voci specialistiche che, esclusive di ambiti tecnici e scientifici ristretti, non entrano nella lingua comune.  

Lo scopo dei dizionari dell’uso non è la selezione delle parole secondo criteri puristici e valutativi, ma la coerenza della documentazione: viene preso in considerazione il lessico di tutti i settori della vita e di tutti i livelli d’uso, comprese le voci gergali, volgari e le parole “delicate” (tabù, lessico erotico-sessuale), senza selezioni di tipo moralistico, ideologico, ecc. Dato che quasi tutti i dizionari dell’uso vengono aggiornati regolarmente, essi riflettono anche le tendenze più recenti dello sviluppo lessicale. Accanto alle edizioni cartacee esistono di norma versioni su CD-ROM o su penna USB che permettono indagini molto dettagliate sulla storia, sulla struttura e sulle stratificazioni del lessico.

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Sonetti dei destini V

di Antonio Devicienti

In più d’un’intervista Amelia Rosselli esprime ammirazione per il poeta-asceta di Melicuccà: silenzio e solitudine sprezzati valori, necessari paesaggi: per Lorenzo Calogero.

Quando la solitudine s’addensa

fin nella riarsa cenere invernale

del focolare e i bicchieri, la credenza,

la mensa, la madia sono il sognare

.

delle cose di sé stesse, ma senza

più traccia di presenza umana, andare

delle congelate ombre nell’immensa

casa sprangata all’attesa serale,

.

lanterna di controvento il mano

scritto, oscillante fanale del treno,

si consegna al passaggio per stazioni

.

deserte, fedele alle sue ossessioni,

segnato, ingravidato, scabro greto

di fiumara, spasmodico nell’eco.

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Beniamino di Tudela, un viaggiatore ebreo nel XII secolo, e la sua opera. Per una breve storia di Otranto in età bizantina e normanno-sveva.

di Paolo Vincenti

Riassunto. Il saggio si occupa del dotto ebreo del XII secolo Beniamino di Tudela e del suo viaggio, che tocca anche Otranto. Dopo una prima parte dedicata ad una sommaria ricostruzione della condizione degli ebrei nell’Italia meridionale e in particolare ad Otranto nei secoli dell’Alto Medioevo fino all’arrivo di Beniamino, una seconda parte dedicata alle vicende storiche di Otranto nel medesimo torno di tempo, nella terza parte si analizzano l’esperienza di Beniami

     Abstract. The essay deals with the 12th century Jewish scholar Benjamin of Tudela and his journey, which also touches Otranto. After a first part dedicated to a summary reconstruction of the condition of the Jews in southern Italy and in particular in Otranto in the centuries of the Early Middle Ages until the arrival of Benjamin, a second part dedicated to the historical events of Otranto in the same period of time, in the third part, Beniamino’s experience and his work are analysed.

      Nel XII secolo, ad Otranto, giunge un visitatore ebreo spagnolo, Benjamin di Tudela, che ha intrapreso un viaggio in giro per il mondo forse in cerca di nuove esperienze.

     Chi era questo viaggiatore?

     Il rabbino Benjamin MiTudelo, ovvero בִּנְיָמִין מִטּוּדֶלָה, Benyamin ben Yonahdi Tudela (questo il nome ebraico), meglio conosciuto come Benjamin di Tudela (1130-1173) era un geografo ed esploratore ebreo, originario della Navarra. Lasciò Tudela, in Spagna, tra il 1159 e il 1163, e vi tornò nel 1173. Viaggiò per più di dieci anni visitando comunità ebraiche e non ebraiche in tutto il mondo e scrivendo delle sue esperienze. La sua opera, I viaggi di Beniamino, מסעות בנימין, Masa’ot Binyamin, anche nota in ebraico come ספר המסעות, Sefer ha-Masa’ot, ovvero Il libro dei viaggi, è considerata la prima relazione di viaggio di un europeo in Asia, dunque precedente a quella di Marco Polo, per questo molto importante per gli studiosi. Anzi, si può dire non esista alcun resoconto generale del mondo mediterraneo o del Medio Oriente della metà del XII secolo che si avvicini per importanza a quello di Beniamino di Tudela, sia per gli ebrei che per la storiografia sul Medioevo[1].

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Prefazione a “Arrembaggi e Naufragi” di Augusto Benemeglio

di Fabrizio Centofanti

Augusto Benemeglio, è un poeta, ma anche un drammaturgo originale, un regista, un appassionato della scena teatrale che lui stesso considera un suo mondo, uno spazio che gli appartiene come un paesaggio interiore, necessario e vitale.  E’ un  artista che ha fatto della sorpresa, dello scarto dalla norma, della rivelazione inaspettata,  la sua ragione di vita; un uomo che ha conosciuto il mare, avendo fatto il marinaio per trent’anni della sua vita, (è stato Capitano di Vascello della Marina Militare), e ha conosciuto il mondo nei suoi molteplici viaggi. E’ uno che sa inquadrare al primo impatto le persone e leggere le  situazioni intorno a sé, uno che sa rievocare con struggimento,  ma anche con sottile ironia, tutti gli arrembaggi e naufragi della sua vita, reali o immaginari che siano, come ha fatto mirabilmente con questo “Arrembaggi e Naufragi”, edizione Youcaprint, 2023, un libro-mondo, in cui entra a contatto ravvicinato, faccia a faccia,  con i più grandi personaggi della storia del mare e ne traccia rapidamente il profilo. Dall’Odissea di Omero all’Isola del tesoro di Stevenson; da “Il vecchio e il mare” di Hemingway all’Uomo e il mare di Baudelaire; da “Cuore di tenebra” di Conrad, ai grandi navigatori della storia come Amerigo Vespucci , o grandi Ammiragli come Andrea Doria, Enrico Dandolo,  Horace Nelson, che viene rievocato  nella battaglia di “Trafalgar”, in cui trovò la morte. E poi c’è la mitica impresa di Luigi Rizzo,  che affondò una corazzata austriaca col suo Mas 15, conservato al Sacrario delle Bandiere del Vittoriano di Roma. E infine l’incredibile impresa del “Donchisciotte del mare”, il Comandante Salvatore Todaro,  che,  dopo aver affondato , in pieno Atlantico, una nave, il “Kabalo”, si preoccupa dei 26 naufraghi della stessa e li trae in salvo, prendendoli a bordo del suo sommergibile,  stipandoli nella falsa torre,  e dopo tre giorni di navigazione in superfice, per centinaia e centinaia di miglia, riesce a depositarli nella cala di Santa Maria, nelle Azzorre,  tutti indenni. Richiamato dall’ammiraglio tedesco Doenitz per il suo comportamento non consono alle esigenze della guerra, Todaro rispose: “Gli altri comandanti  non hanno, -come me-, duemila anni di civiltà sulle spalle”. E poi c’è l’Ulisse di Dante,   l’Infinito di Leopardi;  la Tempesta  di Shakespeare. I riferimenti mitici e letterari sono tanti, infiniti, o quasi, ma fin dal suo primo racconto, “Niente Bagagli, siamo Gabbiani”, Benemeglio cimette in contatto con il suo mondo amato: gli oceani, i gabbiani, la natura, i fari, le navi, il Salento, il Sudafrica, il cinema (da Hitchcock a Woody Allen), il teatro (Cechov), ma anche la pittura, la musica,  e la società di oggi, con le sue apocalissi quotidiane e il kitsch imperante, e le memorie dolorose come  quella di Capo Matapan, in Grecia, con 2300 marinai morti per assideramento.  

A partire dalla “letteratura”, che “è il pensiero che accede alla bellezza nella luce”, di cui Augusto è intessuto, (ogni cosa in lui si fa poesia) ai grandi navigatori, ai grandi scrittori di mare”, e poi “il mito”, “la storia”, “l’arte”, “la famiglia”, il Salento, questo libro di 500 pagine si configura come un lungo viaggio verso l’ignoto , l’altrove , ricordando che – come disse Melville – “il mondo è una nave al suo viaggio di andata, non un viaggio completo”. Che cosa rimane alla fine , dopo cinquant’anni di “arrembaggi” e  “naufragi”? Non si sa, bisogna aspettare il “ritorno”. Ma in una folla di volti e figure, a noi note e meno note, un volto solo rimane, una sola figura, invisibile: l’anima.  

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Certu

di Giuseppe Greco

Quandu mìntene ‘e curiere

pe’ lla luna

ne facimu ‘u bijettu

‘na settimana prima

Poi ne ccattamu ‘na camicetta

a fiuri

e ne vastimu t’àrbuli te pignu

te ddhra’ ssusu

pensu ca se scopre tuttu fiche e

maluni e àrbuli te mendula

‘e barche a mmare

cu lle lampare tutte ddumate

E ttutti quiddhri ca vane ‘mmuntunati

secutandu cumete

cantandu ogni tantu canzune nove

Certu

nc’è ‘tte rraoti

ca se chiute ‘u sipariu e ca forsi

sulu

ttocca ‘nde porti

‘e segge.

(05.07.1981)

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Giuseppe Pàstina e Giacomo Boni: un legame inedito all’insegna della comune passione per l’archeologia – Bari, 14 giugno – 30 settembre 2024

In occasione delle Giornate Europee dell’Archeologia, 14-15-16 giugno 2024, prendendo spunto dal dipinto Domus Vestae del Foro Romano eseguito da Giuseppe Pàstina (Andria 1863-Roma 1942), nella Pinacoteca Metropolitana “Corrado Giaquinto” di Bari verrà allestita una mostra incentrata sui tre dipinti dell’artista in possesso dell’Istituzione con testi esplicativi volti a documentarne l’attività svolta a fianco di Giacomo Boni (Venezia 1859-Roma 1925), uno dei padri dell’archeologia moderna, destinata a incidere sul suo percorso pittorico.

L’iniziativa costituisce pertanto l’occasione per approfondire l’intenso rapporto che Giuseppe Pàstina – oltre che pittore, musicista, critico d’arte, avvocato – ebbe con le vestigia dell’antichità, rapporto di cui si era persa ogni traccia e che viene per la prima volta portato alla luce in questa circostanza.

La mostra inizia il 14 giugno e si protrae fino al 30 settembre 2024.

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Un po’ mascalzoni: un poco soltanto. Quanto basta!

di Luigi Scorrano


Goethe nella campagna romana (Goethe in der Campagna) di Johann Heinrich Wilhelm Tischbein.

In quel variegato serbatoio di impressioni e di pensieri, di osservazioni e di annotazioni fuggevoli oltre che di dure schegge di riflessione, (e mi riferisco al suo Viaggio in Italia), Goethe riversò non solo le sue impressioni di viaggiatore attento e curioso ma anche, come avviene a chi non è superficiale e un po’ distratto “turista”, molti suoi pensieri, delle buone riflessioni su come vada il mondo e come si comportano gli uomini. Insomma, il bel bagaglio che si accresce con gli acquisti e con le esperienze arricchiti a mano a mano lungo il cammino. Ed è proprio in questo repertorio degli “acquisti” che si torna a guardare di tanto in tanto per rinfrescare la memoria, per ripensare riposatamente qualche osservazione utile sulla quale soffermarsi. Sulla seguente, ad esempio, estratta dal complesso un po’ a caso ma degna d’essere meditata. Scrive Il poeta mentre è a Roma: “… più volte ho avvertito nella vita, che l’uomo che vuole il bene deve condursi con gli altri in modo non meno attivo e intraprendente dell’egoista, del meschino, del cattivo. Constatarlo è facile; non lo è altrettanto agire in conformità”.

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Una lettera di… 8. Una lettera (e una corrispondenza) di Oreste Macrì all’insegna di Vittorio Bodini

di Antonio Lucio Giannone

Firenze, 16 – 2- ‘85

Caro Giannone,

vivamente la ringrazio del bellissimo racconto Il gobbo Rosario di Bodini. Mi era sfuggito,  giacché quella rivista giornale che sia mi risulta (subito cestinato)

repellente

com’è impaginato*, un’offesa alla ragion pratica e critica del giudizio. E perché il racconto è presentato da uno che si firma Piero Manni?

Grazie ancora. Cordialmente

Oreste Macrì

* (ho dovuto interrompere la lettura)

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Lo Zimbarieddhu

di Augusto Benemeglio

Ritorno, per un paio di giorni, a  Lecce, la città dello “Zimbarieddhu”, al secolo Giuseppe Zimbalo, il più grande esponente di una dinastia di capomastri e architetti salentini, che esprime il meglio del barocco leccese, categoria dello spirito…. “Qui è speciale  il taglio delle ombre – mi disse  padre Gonzales Martin, letterato, storico, meridionalista – ,  per la sua chiarezza, sono ombre calde. E’ il clima che fa crescere bene gli olivi e le palme, e poi quel che ti conquista è il vivere sulla strada, sulle porte di casa, sui marciapiedi, questo vivere in strada porta la gente a dialogare ad essere più loquace e quindi disposta ad accogliere (parliamo di una ventina di anni fa, ora le cose sono cambiate, n.d.r.). E infine quei ricami di pietra che sono le chiese. Il barocco leccese è ricco volubile fiorito stravagante, una sorta di liberty, un’esplosione di follìa, libertà, gioco… Lecce ha una sua bellezza fragile e armoniosa, aristocratica, una città che si sposa col colore della sabbia, della pietra, e col verde argentato degli ulivi…ma io m’incanto a guardare il romanico, così arioso, chiaro, scabro, nudo, essenziale, con una semplicità che è adesione all’innocenza e novità al mistero. Significa farsi puri e semplici di fronte a Dio. E’ come voler veramente farsi una casa di luce, la casa del sole e di Dio, con quella line geometrica, la pulizia, che trovi anche nelle architetture rurali…”.

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Luigi Latino, Il mondo di domani


“…sarà un 20×20, mista su tavola, penso del 2015, ma il tempo non ha importanza.” (L.L.)
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Manco p’a capa 203. Anche questa volta ho perso le elezioni

di Ferdinando Boero

E così, come quasi sempre, anche questa volta ho perso le elezioni. Come da 50 anni a questa parte. Dovrei essere contento e, in effetti, lo sono: ho sempre 20 anni.
Chiedete a un pescatore di 70 anni come va la pesca, vi dirà: male! Cinquant’anni fa sì che andava bene. Uno di 60 vi dirà che 40 anni fa le cose andavano bene. Uno di 50 parlerà di 30 anni fa come periodo d’oro. Fino ad arrivare al pescatore di 20 anni che dirà che le cose vanno male, perché nessun pescatore dirà mai che le cose vanno bene. Cosa hanno in comune queste affermazioni? Coincidono tutte con i 20 anni di chi dà il giudizio. Le cose andavano bene quando avevano 20 anni, anche se i ventenni si lamentano del presente senza rimpiangere il passato. Nel mio caso elettorale vanno male come quando avevo 20 anni, e quindi vanno bene. La mia impressione è che non sia cambiato nulla rispetto a 50 anni fa. Ma, ovviamente, mi sbaglio. Prendiamo la musica, ad esempio.
Due settimane fa ero a Palermo, per il primo convegno del National Biodiversity Future Center. Tra una riunione e l’altra vado in un bar a prendere un caffè. Ci sono tre ragazzi di 20 anni. Uno si lamenta del proprio nome: Rocco. Avendo insegnato a ragazzi (e ragazze) di 20 anni per più di 40 anni, mi sento a mio agio con loro, e quindi intervengo: Rocco non è poi così male, dico. Mi guardano con aria interrogativa. Madonna, ad esempio, ha chiamato così suo figlio. Si guardano ancora più perplessi e Rocco mi dice: ma non l’aveva chiamato Gesù? I tre non conoscono Madonna, la cantante. E la mia affermazione ha comunque messo loro il dubbio che Gesù, in realtà, si chiamasse Rocco. Detto Gesù. Ho sorriso, e ho pagato i loro caffè, scusandomi per l’intrusione. Mondi oramai diversi, con punti di riferimento diversi.

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“Frammenti”, a cura di Raffaele Gemma

 di Gianluca Virgilio

Il centro storico di Galatina, domenica 26 maggio scorso è stato il teatro di un evento artistico straordinario: “Frammenti”, a cura di Raffaele Gemma. Si è trattato del secondo step di Syncronicart-6, Sesta Edizione della Biennale d’arte Contemporanea nel Salento in Progress. Ricordo che il primo step si è svolto a Galatina nel periodo natalizio dello scorso anno ed ha visto la presenza di ben 44 artisti salentini (ma non solo) e una grande partecipazione di visitatori.

Alle h. 18:00 un corteo organizzato dal gruppo Interceptor si è avviato da Piazza San Pietro verso Via Umberto I, fino al numero civico 17, portando le chiavi simboliche di Art Lab Second light, la galleria di Corrado Marra (in arte Corrima), che ha aperto le porte delle performances-installazioni.

Sei le presenze artistiche che si sono alternate in un’azione multidisciplinare che mette in scena una frammentazione ed una ricomposizione degli elementi della sfera d’interesse dei singoli artisti, sapientemente coordinati dal curatore dell’evento. Le azioni interessano l’arte contemporanea, le performances, la musica, la grafica, la poesia.

La natura e la sua interazione con l’uomo è uno degli argomenti principali e riguarda l’intervento di Corrima (Resilienze), Fernando Martinelli (Frammenti di tempo), Renato Grilli (Frammento orale). La memoria delle relazioni umane e del vissuto veicolata dai frammenti di oggetti o di tessuto è il settore d’interesse di Fabrizio Manco (Mend). La musica nell’attimo stesso in cui si origina è il campo d’azione di Donatello Pisanello (Frammenti di suoni), mentre Roberto Zozzoli è orientato verso la grafica e l’architettura (Frammenti di grafica). Sei artisti originali e imprevedibili, che hanno attirato l’attenzione del pubblico di visitatori accorso in gran numero per partecipare a quella che potremmo definire una rappresentazione artistica collettiva, che si è svolta nell’arco di due ore e da cui sono risultate alcune installazioni artistiche di gran pregio, ora fruibili per alcuni giorni nelle sale di Art Lab Second light da chi non ha potuto presenziare all’evento. Dietro l’improvvisazione e il risultato imprevedibile s’intuisce un profondo studio e una forte carica emozionale che richiede di essere comunicata agli altri.

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Il passato che affiora interamente dal modo in cui noi stessi siamo

di Antonio  Errico


Amin Malouf, Segretario perpetuo dell’Académie française

Il presente è un posto dove porta il passato. Non c’è un solo fatto, un solo evento che possiamo capire se non abbiamo idea di come ci si sia arrivati.

Così dice Amin Maalouf, lo scrittore francese premio Goncourt nel corso di un’intervista a Francesca Pierantozzi, pubblicata dal Messaggero del 5 marzo scorso.

Il passato come un luogo che abbiamo abitato, in cui abbiamo vissuto. In quel luogo abbiamo avuto felicità, abbiamo avuto dolori, sentimenti, esperienze, storie,  passioni. In quel luogo abbiamo incontrato creature: volti, voci, parole, silenzi, stupori. Quello che siamo, il modo in cui siamo, è maturato nelle stagioni trascorse in quei luoghi. Lì abbiamo imparato a confrontarci con noi stessi, con gli altri, con quello che accade, con la realtà e l’immaginazione, con il progetto di una vita, il previsto e l’imprevisto, il caso, il destino. Chi non si confronta in continuazione con il  passato, chi non lo interroga o non tiene in conto le risposte,  non può sapere da quale luogo viene, né in quale luogo vive, in quale luogo va. E’ un estraneo alla propria storia di uomo. Non appartiene. Non ha radice.

Per una civiltà è la stessa cosa. Anche una civiltà proviene da un luogo chiamato passato. Poi, certo, quel luogo da cui viene nel tempo si modifica, somma le stratificazioni che lo conformano, integra elementi nuovi, intreccia i racconti, ma quasi sempre conserva il nucleo che lo ha generato. Senza una consapevolezza del luogo da cui proviene, una civiltà è costretta a subire  crisi più o meno evidenti, più o meno profonde. Forse quando si manifestano i segni di una crisi  significa che per quella civiltà sta cominciando un processo di snaturamento dell’identità, che si stanno sfilacciando le radici,  che coloro che la abitano non avvertono più il sentimento di appartenenza.

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Sugli scogli 16. Visite notturne

di Nello De Pascalis

       Con l’amico Gaetano puntammo verso Torre Inserraglio, quella notte (Fernando era di turno in ospedale, ci avrebbe raggiunti al mattino). Nella zona di S. Maria al Bagno, un venticello da Sud arrivava molle, per cui dovevamo spingerci dove la costa è più aperta, per ‘trovare’ un po’ di mare: Torre Inserraglio, appunto. Ci posizionammo alla destra della piattaforma dell’omonimo villaggio, dove onde a ritmo cadenzato s’infrangevano sulla costa, spumando. Alle nostre spalle poggiammo una busta con delle pesche, un thermos di caffè e una puccia alle olive imbevuta d’olio, oltre alla custodia delle canne. Ebbe inizio quella fase preliminare cui ho dato sempre molta importanza, la pastura, e le occhiate vennero sotto costa, attratte dal nostro richiamo.

       Tutt’intorno era buio, solo in lontananza qualche timida luce tra case sparse. Una volpe squittì  nella notte. Arrivò l’alba e un sorso di caffè caldo calzava ad hoc. Gaetano si alzò a prendere il thermos, quando: “Porca vacca”, gridò allargando le braccia, “ci sono state visite stanotte”. Sulla scogliera c’erano i segni d’un convivio di gruppo: le pesche morsicate in più punti, la puccia addentata, tutto sparpagliato. Maledetti sorci notturni!

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Gaetano Minafra, Opere grafiche 41. Nudo di donna seduta

1965, Inchiostro a penna e pennello, cm. 15 X 25.
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Sonetti dei destini IV

di Antonio Devicienti

Poi c’è Roma, stratificata città, spasmi di vita, spasmi di sole: per John Keats.

Questo tramonto senza fine forse

e trasvoli lunghissimi di rosso

se morire è succedersi di corse

disperanti fino alla poesia-osso.

.

Acqua, acqua alla fronte febbricitante

caro amico e finestra spalancata

sopra i suoni di Roma musicante

città per guarigione sospirata.

.

Ma vortica la luce per chi muore

senza poter sentire più l’odore

di salvia che lungo la scalinata

.

verso l’alto s’inabissa svelata

vertigine inzuppata nel sudore

scrittura, melanconico tremore.

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Una missione ridotta in polvere: l’entrada di Francesco Viva S.J. (Lecce 1653 – Ecuador 1703) tra i Shuar

di Francesco Frisullo – Paolo Vincenti

I Shuar

     Riassunto. Nel 1680 fu concesso il permesso di trasferirsi nell’America Amazzonica al gesuita salentino Francesco Viva (Lecce,1654 – Cuenca Ecuador, 1703), fratello del più noto teologo e anch’egli gesuita Domenico Viva (1647-1726). Francesco si fece promotore di più campagne finalizzate alla “pacificazione” e alla “riduzione” degli indomiti Jivaros / Shuar. Tragici e infruttuosi furono gli esiti di queste entradasche si svolgevano sotto l’egida della Corona spagnola. L’intraprendente ignaziano trovò anche il modo per auto finanziare le spedizioni tra gli indios, in particolare attraverso la commercializzazione della corteccia della chinoa, di cui i gesuiti detenevano il monopolio sul mercato e che, ridotta in polvere, veniva somministrata come terapia contro la febbre già nel XVII secolo.

     Abstract.  In 1680, permission was granted to move to Amazonian America to the Salento Jesuit Francesco Viva (Lecce, 1654 – Cuenca Ecuador, 1703), brother of the most famous theologian and also a Jesuit Domenico Viva (1647-1726). Francesco promoted several campaigns aimed at the “pacification” and “reduction” of the indomitable Jivaros / Shuar people. Tragic and unsuccessful were the outcomes of these entradas which took place under the aegis of the Spanish Crown. The enterprising Jesuit also found a way to self-finance expeditions among the Indians, in particular through the marketing of chinoa bark, of which the Jesuits held a monopoly on the market and which, when reduced to powder, was administered as a therapy against fever since from 17th century.

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