di Gianluca Virgilio

Mi sono fermato a guardare tre dipinti ad olio di Marcello Toma e mi è venuta voglia di scriverne. Scrivere d’un quadro significa fare un esercizio di traduzione, che, se già è difficile quando si tratta di passare da una lingua ad un’altra, diventa pressoché impossibile quando la traduzione avviene da un’opera d’arte figurativa ad una prosa. Il rischio è l’infedeltà. Ma il desiderio incalza l’interpretazione ed io spero nel perdono del pittore e dei lettori.
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Che ci fanno due aironi nei pressi di una scavatrice sullo sfondo di un paesaggio irreale (Di passaggio – serie Nemesi – Olio su tela, 60×80 cm, 2024)? E che ci fa una donna che sembra danzare nelle profondità marine ed esalare il respiro in mille bollicine tra tubi in acciaio di una sommersa piattaforma petrolifera (?) (Il tempo sospeso, olio su tela, 70×50 cm, 2021)? E come sono capitati in alto mare su una nave piena di congegni meccanici (o è un sottomarino appena riemerso dagli abissi?) due bambine – forse sfuggite al controllo dei genitori -, che, dietro un oblò, scrutano il sorgere del sole (L’alba inattesa, olio su tela, 60×80 cm, 2022)?
Sono scene di un sogno che muta forme ma non muta senso e lascia in chi le guarda lo stesso identico sentimento di sospensione, di attesa che un evento si compia in un tempo avvenire, lontano ma già presente, entro un quadro in cui l’analogia offre al pittore l’occasione di cogliere il meraviglioso nell’insolito accostamento e di comunicarlo agli altri.
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