Tre quadri di Marcello Toma

di Gianluca Virgilio

Mi sono fermato a guardare tre dipinti ad olio di Marcello Toma e mi è venuta voglia di scriverne. Scrivere d’un quadro significa fare un esercizio di traduzione, che, se già è difficile quando si tratta di passare da una lingua ad un’altra, diventa pressoché impossibile quando la traduzione avviene da un’opera d’arte figurativa ad una prosa. Il rischio è l’infedeltà. Ma il desiderio incalza l’interpretazione ed io spero nel perdono del pittore e dei lettori.

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Che ci fanno due aironi nei pressi di una scavatrice sullo sfondo di un paesaggio irreale (Di passaggio – serie Nemesi – Olio su tela, 60×80 cm, 2024)? E che ci fa una donna che sembra danzare nelle profondità marine ed esalare il respiro in mille bollicine tra tubi in acciaio di una sommersa piattaforma petrolifera (?) (Il tempo sospeso, olio su tela, 70×50 cm, 2021)? E come sono capitati in alto mare su una nave piena di congegni meccanici (o è un sottomarino appena riemerso dagli abissi?) due bambine – forse sfuggite al controllo dei genitori -, che, dietro un oblò, scrutano il sorgere del sole (L’alba inattesa, olio su tela, 60×80 cm, 2022)?

 Sono scene di un sogno che muta forme ma non muta senso e lascia in chi le guarda lo stesso identico sentimento di sospensione, di attesa che un evento si compia in un tempo avvenire, lontano ma già presente, entro un quadro in cui l’analogia offre al pittore l’occasione di cogliere il meraviglioso nell’insolito accostamento e di comunicarlo agli altri.

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Geografia e storie. Le trasmissioni su “Radio Judrio”

di Carmen Gasparotto

A che luoghi apparteniamo? Nascere in una grande città o lungo la sponda di un fiume, essere nati al sud, dentro la luce abbacinante del bianco color calce e di cieli azzurri sempre sgombri, oppure in uno di quei piccoli villaggi di frontiera lungo la linea del confine nord orientale, l’odore di legna umida che impregna l’aria sottile del mattino, sono possibilità che ci fanno pensare come la geografia possa decidere. Come la geografia determini in anticipo chi siamo e chi saremo, tratteggi un carattere, offra opportunità o, altre volte, lavori per sottrazione. Ma quando un luogo si immagina appartenente solo alla geografia, allora la storia avanza le proprie istanze, talvolta pretende di manometterlo.

Siamo nell’alta Valle del Judrio dove il fiume, incassato tra le montagne, per un lungo tratto fa da confine tra Italia e Slovenia, fino al 1991 Repubblica Federale di Jugoslavia. È in questa terra di frontiera, la Benečija o Slavia Veneta che trovano ambientazione i racconti di “Radio Judrio – vivere dentro la frontiera” ultima opera narrativa di Barbara Pascoli (Kappa Vu Edizioni) che si arricchisce delle fotografie di Massimo Crivellari, fotografo professionista che con i suoi scatti indaga magnificamente l’interazione fra uomo e ambiente.

È qui che gli elementi dell’ambiente naturale giocano un ruolo decisamente importante nella rappresentazione collettiva dei luoghi di frontiera contribuendo a mettere in discussione gli stessi confini politici.

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È Pasqua, ridiamo!

di Paolo Vincenti

Siamo nella settimana pasquale e “or che stiamo in festa e in giolito”, per dirla con Francesco Redi, imperversano le uova di cioccolato che nei bar ed in casa fanno bella mostra di se durante tutto il periodo festivo. Fin dagli albori della storia umana, l’uovo è considerato la rappresentazione della vita e della rinascita. I primi ad usare l’uovo come oggetto beneaugurante sono stati i Persiani che festeggiavano l’arrivo della primavera con lo scambio di uova di gallina. I Romani erano soliti sotterrare un uovo dipinto di rosso nei campi come simbolo di fecondità e quindi propizio per il raccolto. La tradizione di colorare le uova è tutta romana. Da Plinio il Vecchio, nella Naturalis Historia, sappiamo che si prediligeva il rosso perché questo colore doveva distruggere ogni influsso malefico. Da Elio Lampridio, nel poema epico De Epidauro, apprendiamola credenza che il giorno della nascita dell’Imperatore romano Alessandro Severo una gallina di famiglia avesse deposto un uovo rosso, segno di buon auspicio. L’uso di regalare uova è collegato al fatto che la Pasqua è anch’essa la festa della fecondità e del rifiorire della natura, in primavera, dopo la morte invernale. L’uovo dunque è il simbolo della natura e della vita che si rinnova ed auspicio di fecondità. I primi cristiani fecero propria questa simbologia del tutto pagana, con riferimento alla Resurrezione, e nel giorno di Pasqua usavano sistemare sopra l’altare un cestino pieno di uova perché fossero benedette dal sacerdote.

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Pietro Giannini e Biagio Virgilio, Galatina dall’Antichità al Medioevo, e oltre

In libreria.
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Paolo Vincenti, Gran varietà

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Morbillo, una malattia in forte incremento: incubazione, sintomi, terapia, prevenzione

di Rocco Orlando

     Il morbillo è una malattia infettiva esantematica causata da un virus a RNA, il Paramyxovirus del genere Morbillivirus; il virus viene distrutto dal riscaldamento a 56° per un’ora, dalla formaldeide 1/4000 dopo 4 giorni a 37 °, nonché dai raggi ultravioletti. La sua attività si riduce rapidamente a 37° e nell’ambiente esterno può sopravvivere nell’aria fino a due ore.

     Il morbillo continua ad essere tra le più gravi malattie infettive acute che colpiscono i bambini con una mortalità complessiva che in passato ha raggiunto anche il 5%, rappresentando un serio problema di salute pubblica. Prima della vaccinazione il morbillo, assieme alla parotite, alla rosolia e alla varicella, era una infezione tipica dell’età infantile e colpiva in particolare i bambini al di sotto dei cinque anni. Possono ammalarsi di morbillo anche gli adulti che non sono vaccinati e che non hanno mai contratto il morbillo, quindi sono individui sprovvisti di una immunizzazione contro questo morbo. L’adulto non immunizzato e che soffre di malattie che compromettono le difese immunitarie, come diabete mellito, AIDS, malattie autoimmuni e l’associazione con chemioterapici e cortisone, è maggiormente a rischio. Il morbillo che si contrae in età adulta non è insidioso, ma resta un’infezione con le stesse possibili complicanze dell’età infantile.

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La lettera pirandelliana di “Sesso e carattere” di Otto Weininger e la sua influenza nell’elaborazione del “complesso di Parsifal”

di Ettore Catalano

Tre volte sole ricorre, nelle parole che possediamo di Luigi Pirandello, il nome di Otto Weininger e in una, la celebre lettera datata 8 aprile 1930 indirizzata a Marta Abba, la citazione si presenta subito sospetta, alonata di negativo, circondata da una eccessiva preoccupazione discriminante e infine respinta lontano da una accensione ascetico-platonica affidata alla “nobiltà” interpretativa dell’attrice milanese. Era questo, a ben vedere, come tenterò di argomentare, il segno decisivo dell’influenza che il libro pubblicato nel 1903 ebbe sull’elaborazione difensiva di quel “complesso di Parsifal”, come ho proposto più volte di definirlo nei miei studi pirandelliani, un processo che traduceva “l’orrenda notte di Como” nell’adorazione per l’intangibile “Beatrice” rappresentata per Luigi dalla sua Musa Marta.  Tuttavia, appare difficile non ricordare, con Leonardo Sciascia dell’Alfabeto pirandelliano, che tutte le vite di chi aveva a che fare con Pirandello erano “vite di vittime di cui Pirandello era vittima”. Sotto l’apparente impegno di analizzare l’interpretazione artistica del personaggio di Fiamma nell’omonimo dramma di Hans Karl Müller fornita dalla celebre attrice tedesca Kathy Dorsch (presto la Abba avrebbe portato in scena il medesimo personaggio), il drammaturgo, nella lettera, trova modo di accennare ad un conflitto alla Weininger tra l’istinto materno e quello sessuale che la “nobiltà” della Abba avrebbe reso, appunto, “drammatico”, senza cadere in volgarità e sguaiataggine.

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Cartoline postali 3. – Alla Dottoressa Ingeborg Bachmann, Roma

di Antonio Devicienti

Gentile Dottoressa Bachmann,

che «la guerra non viene più dichiarata, / ma continuata» è verità (poetica, politica e storica) che non smette di perpetuarsi, triste e violenta.

Quando lei chiede a suo padre «perché in quel tempo avete taciuto e non continuato a pensare?» quell’espressione (“in quel tempo”) si riferisce al Nazionalsocialismo e al fatto che milioni di Austriaci (così come in precedenza i Tedeschi) l’avevano accolto, chi con manifesto entusiasmo, chi in silenzio.

La poesia è, dunque, “continuare a pensare”, tenere desta l’attenzione critica, la coscienza, la consapevolezza del momento storico in cui ci è dato vivere?

Un caro saluto [A. D.]

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Marcello Toma, Un po’ di luce


Olio su tela. 40×30 cm, 2020.
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Nuovo Zibaldone Salentino IV

di Gianluca Virgilio

Riapre la biblioteca. Ora che la biblioteca di Galatina è stata riaperta al pubblico ed accoglie le giovani generazioni fra i suoi libri vecchi e nuovi, non posso non pensare a com’era un tempo, tanti anni fa, quando mi ci recavo le prime volte. Ci andavo veloce sulla mia bicicletta rossa per portare una richiesta libraria di mio padre al direttore Antonio Linciano, lieto sempre di soddisfarla col suo fare tra il burbero e il buono. L’accesso era dalla porta che s’apre di fronte per chi entra nella prima sala dell’odierno Palazzo della cultura, dove oggi v’è una silenziosa e attrezzata sala lettura. Ricordo i numerosi cartoni disseminati in questa stanza dai soffitti crepati e un po’ umidi, e in altre ancora, per terra e sui tavoli, contenenti le collane editoriali di quegli anni, che oggi sono disposte in buon ordine sulle scaffalature alte fino al soffitto. Trovato il volume tra mille, per me tredicenne veniva la parte difficile che il direttore mi imponeva come un dovere inderogabile: dovevo compilare le schede del prestito. Ce n’era una bianca, che attestava la consultazione preliminare, ed una verde per il successivo prestito esterno. Su entrambe, dovevo scrivere con precisione tutti i miei dati anagrafici e quelli bibliografici, sotto gli occhi attenti e severi del direttore, che a sua volta scriveva dei numeretti con una penna rossa su un quaderno nero, barrandoli all’atto della restituzione del libro. Così teneva il conto, pensavo, dei prestiti avvenuti e delle restituzioni. Cogli anni Donato Grandioso avrebbe snellito la pratica del prestito fino al velocissimo prestito computerizzato. Intanto, nel tempo, e al prezzo di un’immane fatica, al catalogo redatto dal Bardoscia e dal Cesari, con la calligrafia fiorita d’uso in anni lontani, si era aggiunto, e poi sostituito, il catalogo cartaceo scritto a macchina, curato da Linciano in collaborazione con l’ottima catalogatrice dott.ssa Angela Impagliazzo, ch’era un piacere sfogliare alla ricerca di… Chissà se nel generale rinnovamento della biblioteca si è pensato di conservare questi due “piccoli monumenti” che riguardano la sua storia ormai più che secolare?

Oggi tutto è cambiato, il catalogo è online, comodamente consultabile da casa e c’è anche la possibilità di accedere alle biblioteche afferenti al sistema bibliotecario di Puglia. Quanto ben di Dio a disposizione dei giovani, mi son detto, percorrendo le sale piene di libri ben disposti della nuova biblioteca. Sono certo che essi ne approfitteranno!

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I resti di Babele 25. La saggezza imprescindibile nei libri che ci saranno fatali

di Antonio Errico

Il 23 aprile di ogni anno si celebra la giornata mondiale Unesco del libro e del diritto d’autore. In un saggio che si intitola La saggezza dei libri, Harold Bloom, il più celebre e influente critico americano, professore a Yale, scrive: “per scegliere che cosa continuare a leggere e insegnare, mi attengo soltanto a tre criteri: lo splendore estetico, il vigore intellettuale e la saggezza”. Le pressioni delle contingenze, le situazioni sociali, le mode giornalistiche  – dice – possono anche oscurare per un certo tempo questi criteri, ma si tratta di un tempo, appunto, limitato. “Le opere che non riescono a trascendere il loro particolare contesto storico sono destinate a non sopravvivere”.

Ci sono libri che devono essere letti. Rappresentano condizioni essenziali di civiltà, di cultura. Sono tornasole di conoscenza e di coscienza. Portano l’esperienza di anni, di secoli. Devono essere letti perché – semplicemente – indicano strade – non una ma molte, infinite – lungo le quali ciascuno si ritrova in un giorno o l’altro della vita.

Ci sono libri che devono essere letti. Perché sono racconti o resoconti di destini, di storie. Dicono tutto quello che è accaduto e che quindi può accadere un’altra volta. Tutto il vissuto del mondo, il divenire del tempo, l’essere e il non essere, la realtà e la finzione, la verità e la menzogna. Dicono di sogni ad occhi chiusi e aperti.

Ci sono libri che devono essere letti perché hanno assorbito nelle parole le voci degli uomini di ogni tempo e di ogni luogo, le loro fantasticherie e le loro paure, i sentimenti di odio e di amore, i silenzi più profondi di un  abisso e le urla alte più di mille Everest.

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Gaetano Minafra, Arte contemporanea 20. Senza titolo

Carta su legno, cm. 15 x 31, anno 2023.
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Manco p’a capa 250. Bufale per la guerra

di Ferdinando Boero

Leggo i giornali e guardo la televisione, per capire come le strategie di comunicazione possano condizionare la pubblica opinione. Il 3 aprile, ad esempio, a Otto e Mezzo è intervenuto Roberto Cingolani, prima a capo dell’Istituto Italiano di Tecnologie, poi Ministro della Transizione Ecologica, ora a capo di Leonardo. La sua autorevolezza è indiscussa, visti i ruoli affidatigli. A -2.58 minuti dalla fine della trasmissione, però, (https://www.la7.it/otto-e-mezzo/rivedila7/otto-e-mezzo-03-04-2025-589777) dice: “Supponiamo che non ci fosse nessuna guerra sul pianeta e fossimo una specie pacifica, non una specie predatoria che è il primo anello della catena alimentare, essendo la più debole. Perché noi siamo questo. Sapiens è questo”.
Da ministro della transizione ecologica Cingolani affermò che “tutto il pianeta è sovrappopolato, c’è un problema di sostenibilità. Il pianeta è progettato per tre miliardi di persone”.
https://www.imolaoggi.it/2021/06/17/cingolani-pianeta-e-progettato-per-3-miliardi-di-persone/?utm_source=chatgpt.com
Durante la stessa puntata di Otto e Mezzo, inoltre, Cingolani avverte che un missile ipersonico che parte da Mosca impiega 190 secondi a raggiungere Roma.

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L’altare della Madonna del Pilastro e il monumento ad Antonio Trombetta nella Basilica del Santo a Padova: storia e restauri

di Rocco Orlando

     Uno dei tanti altari presenti nella Basilica del Santo a Padova è intitolato alla Madonna del Pilastro (o dei ciechi, nome probabilmente dovuto alla sosta che vi facevano i ciechi per chiedere l’elemosina).

     Il padre Bernardo Gonzati  scrive:  “Dell’immagine, che sta nel mezzo di una cornice d’argento di buon lavoro, alcuni fanno autore Stefano da Ferrara, altri Filippo Lippi.  Forse hanno ragione tanto i primi, quanto i secondi; perché l’avviso degli intelligenti, la Vergine è opera del ferrarese, gli angioli che la coronano e i due santi laterali, del fiorentino. Certo notabile è la differenza fra la mano che coloriva con proporzioni oltre al naturale sì la Vergine oltre che il Putto, e l’altra che ritrasse gli angeli che stanno per deporre l’aureola al capo di Maria. Onde pare a noi che nel portar giudizio dell’autore di quest’opera s’ingannassero del pari e il Vasari che senz’altro l’attribuiva a Stefano, e l’Anonimo che lo dice di fra Filippo. Lo Zanoni restaurava tutto l’affresco. La Vergine ha in braccio il Bambino che col braccio destro si avvinghia al collo materno ed esprime infinita tenerezza.  Sotto l’immagine della Madonna si legge “Sine labe originali concepta –Concepita senza peccato originale”.

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Lo stato dell’Arte 4. Turismo culturale di massa, Bronzino e la “Cappella di Eleonora di Toledo”, ovvero come superare il limite della «fruizione compulsiva» da iperturismo

di Massimo Galiotta


Michelangelo Buonarroti, Sacra famiglia – Tondo Doni (1506 c.), Galleria degli Uffizi, Firenze.

Capita di andar per città d’arte, per fare ricerca, per approfondire epoche e autori – o, molto più verosimile, per entrare in contatto con i capolavori del passato, quelli meno noti ma non meno decisivi per le future sorti dell’arte, della cultura: Giotto, Botticelli, Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Vasari e Caravaggio sono le star del passato, di un’epoca d’oro che molti vogliono ammirare. Ma esiste una fitta schiera di autori di primissimo piano che hanno scritto pagine importantissime della storia dell’arte di tutti i tempi ma che non sono celebrati come meriterebbero: La Cappella di Eleonora di Toledo a Palazzo Vecchio, opera di Agnolo di Cosimo, meglio noto come “Bronzino”, è un esempio di quanta poca attenzione riceva questo autore. Come lui sono tanti gli artisti che passano in secondo piano, a volte del tutto trascurati, a vantaggio di altri decisamente più popolari.

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Studi su Edmondo De Amicis 1. Edmondo De Amicis corrispondente de “La Nazione” in Spagna (1872)

di Ettore Catalano

Chiunque abbia veramente amato la letteratura e praticato, senza disonore e senza cortigianeria, la critica letteraria sa che il torto più grande che si possa fare ad uno scrittore è parlare del suo libro che passa come il più noto. Perciò, andando oltre  Cuore, massacrato forse troppo da poeti come Carducci (che definì De Amicis “Edmondo dei languori” e più tardi avrebbe patito, egli stesso, svariati e pesanti soprannomi) e da critici del livello di Umberto Eco (“gran mare di languorosa melassa”), dedichiamoci, per rapidi prelievi, forse capaci di suscitare curiosità, ad un aspetto davvero molto interessante della  produzione letteraria  deamicisiana che precede l’uscita di Cuore (1886): i libri di viaggio e i reportages, da Spagna a Olanda e Dintorni di Londra, da Marocco a Costantinopoli, negli anni che vanno dal 1872 al 1879 di Ricordi di Parigi.  Come suggerisce opportunamente Folco Portinari, quei resoconti di viaggio concedono qualcosa agli itinerari canonici dell’esotismo  fin de siécle  e sembrano pure esercizi di prosa interessanti nei quali, come si vedrà dai miei prelievi deamicisiani, si dispiega “ somma abilità nel cogliere i dettagli e nel coinvolgere il lettore” (Portinari), ma non mi pare utile parlare, come pure si è fatto, di queste prose di viaggio come “fotografie”, perché nelle pagine deamicisiane ci sono sempre un certo elegante humour e anche una partecipazione sentimentale,  (Francesco Surdich parlava opportunamente dei libri di viaggio deamicisiani come “fonte di emozione  e di diletto”), un mettersi consapevolmente dentro le vicende osservate e i panorami gustati, una capacità descrittiva che trasferisce emozioni, un procedere fluido e garbato, ma anche rapidi colpi di spatola capaci di un colorismo drammatico, come vedremo a proposito della corrida. In poche parole, quei resoconti di viaggio, prima dell’avventura salgariana, accenderanno la fantasia dei lettori europei, grazie anche al diffondersi contemporaneo nelle sale concertistiche, dopo il successo di Carmen, “di una Spagna ritmicamente sognata” (Portinari).

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La parola paesaggio. Un’introduzione

di Simone Giorgino

Per il Grande Dizionario della Lingua Italiana, la parola paesaggio indica «Ciò che un osservatore (fermo o in movimento) può vedere dei luoghi che lo circondano con uno sguardo complessivo dal punto in cui si trova in un determinato momento o via via si colloca» (gdli, v. xii, 1984, p. 348). Alla base del concetto di paesaggio, secondo quanto riporta il vocabolario, troviamo dunque un soggetto che osserva una data porzione di mondo in un dato momento storico. Anche la Convenzione europea del paesaggio, siglata a Firenze il 20 ottobre 2000 dagli Stati membri del Consiglio europeo, si concentra su questi stessi elementi, pur insistendo maggiormente sulla percezione collettiva del territorio piuttosto che su quella di un singolo osservatore: come si legge nell’art. 1 del documento, la parola «“Paesaggio” designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni».

Già stando a queste definizioni di servizio e declaratorie, il paesaggio appare dunque come la risultante di un’interazione fra l’insieme degli elementi naturali e artificiali che caratterizzano un determinato territorio e un soggetto (sociale o individuale) che lo osserva da una particolare prospettiva. Il paesaggio ha insomma uno statuto duale, ibrido, materiale e immateriale: non è costituito solo da elementi geografici o architettonici o naturalistici, insomma da realtà concrete e oggettive, ma anche da esperienze, relazioni, sentimenti, traumi, ricordi legati all’interiorità dell’osservatore. Il paesaggio è inoltre segnato dalla storia, personale e collettiva, che lo ha attraversato, modellandolo. Come è stato chiarito da numerosi specialisti di diverse discipline (filosofi, storici e teorici dell’arte e della letteratura, geografi, antropologi, urbanisti ecc.) il paesaggio non è solo un fenomeno fisico ma anche culturale, sociale, politico, psichico, estetico; anzi potremmo dire sinestetico, perché coinvolge direttamente, nella percezione, tutti i nostri sensi: profumi, colori, suoni, sapori, sensazioni tattili associati a particolari momenti della nostra vita, che – e non potrebbe essere diversamente – è sempre legata ai luoghi.

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Simone Giorgino, La parola paesaggio. Scritture del Finisterre

In libreria
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Sugli scogli 32. Marina di Andrano

di Nello De Pascalis

Irrompe un fremito

nella bonaccia

di questa mia vita:

marina di Andrano,

quel giorno,

la voglia di debordare

sul ciglio del mare.

Aba, Aba, quante fughe

snoda il tuo ricordo!

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Il cappello sulle ventitré (a mo’ di Introduzione)

di Paolo Vincenti

    Ancora un libro assemblato, ricostruito, composto come un patchwork, un mosaico di argomenti fra i più disparati e spesso bizzarri. Si tratta di articoli scritti in un arco temporale di circa un anno e mezzo e raccolti in questa antologia per tema che il tempo li cancelli, che il vento si porti questi fogli vaganti e li disperda. Una miscellanea, che potrebbe definirsi Florealia, come quei bellissimi almanacchi che a volte si trovano sulle bancarelle dei mercatini di antiquariato, oppure minestrone, a seconda che si sia ispirati o indispettiti.

Chi ha letto altri miei libri, conosce la mia scrittura e saprà cosa aspettarsi da questo ennesimo volume; potrà quindi evitarlo, se non ama la mia penna, o leggerlo con gusto, se invece la apprezza (ergo, a lume di naso, nove su dieci non lo leggeranno). Molti anni fa, in un pezzo intitolato Da Mollaian all’Ikea, parlavo degli “Stromata” che è il titolo greco (uso per comodità di lettura la traslitterazione secondo l’alfabeto italiano) di un’opera dello scrittore cristiano Clemente Alessandrino, del II Secolo d.C. Si tratta di un’opera miscellanea, sostenuta dalla forte fede religiosa dell’autore. Stromata in greco significa “tappeti”, ad indicare l’estrema ricchezza di argomenti trattati. I tappeti simboleggiavano nella letteratura greca la varietà di generi e l’eterogeneità degli scritti. Essi ci fanno subito pensare ai complementi d’arredo che quasi tutti abbiamo nelle nostre case. “Tappetì tappetì!”, gridava l’ambulante marocchino (che noi eravamo abituati a chiamare spregiativamente vu cumprà), che passava sotto casa mia quasi ogni mattina d’estate, quand’ero bambino.

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