Presentazione di Paolo Vincenti, Donne di potere nell’Alto Medioevo . Supersano, 12 dicembre 2024

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Il valore dell’arte e quello dei soldi

di Gigi Montonato


Tycoon cinese mangia la banana di Cattelan,

Su cosa sia l’arte si discute da sempre, è una delle discussioni più ricorrenti e appassionanti di ogni tempo. Nei manuali scolastici di filosofia vengono proposti all’uopo due riferimenti fondativi, Platone e Aristotile. Uno diceva che l’arte è imitazione dell’Idea che è nell’Iperuranio, l’altro riteneva che l’arte è imitazione della Natura; uno guardava al Cielo, l’altro alla Terra. In comune l’imitazione. Gira e rigira ancora oggi è così.

Il caso del nababbo giapponese che si è assicurato la banana di Cattelan per sei milioni e duecentomila euro, che peraltro ha poi mangiato, ha riproposto la questione di che cosa sia l’arte, non senza risvolti umoristici e irritanti. Mi spiego con un aneddoto vero. Un giovane di qualche anno fa, di quale paese non ha importanza, diplomato all’istituto magistrale e perciò maestro di scuola, regolarmente disoccupato, se ne andava in giro piuttosto sbiellato per ragioni un po’ ereditate e un po’ trovate nella società. Aveva scritto perfino un opuscolo, Teoria folle della vita, e un po’ per gioco, un po’ per finta e un po’ sul serio dava di matto. Quando aveva bisogno di soldi prendeva un pezzo di carta e vi scriveva sopra “vale L. 10.000”, o “100.000”, a seconda di quanto gli serviva in quel momento. Si presentava allo sportello di una banca o dell’ufficio postale e chiedeva all’impiegato di cambiargli la “banconota”. Alla risposta di quello, un po’ sorpreso e un po’ divertito, farfugliava poche parole e poi se ne andava. Non era un tipo pericoloso, per fortuna sua e degli altri.

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Taccuino di traduzioni 12. Omaggio a Pierre Alféri

di Antonio Devicienti

Portrait of Pierre Alferi 09/03/2022 ©Jean-Luc Guerin

Lavata dalla notte la città ha
un’aria di corte assolata
e deserta (rumore
sommesso dalla scuola) –
nessun adulto mi vede
– un banco,
una sbarra a più accessi,
imposte accostate, finestre chiuse –
meno che al secondo piano due
bolle d’intimità
penetrate dall’obiettivo –
una vecchia coi riccioli,
un giovane elegantissimo
fanno capire che
essere è essere
attraversati
dal pieno giorno – un rumore d’otturatore,
una pausa:
hanno chiuso insieme
sul fare del mattino
i finestrini di un convoglio
in partenza.

Lavée par la nuit la ville a
des airs de cour ensoleillée
déserte avec la rumeur
off de l’école —
aucun adulte ne me voit
— un banc
une barre à entrée multiple
volets fermés, fenêtres closes
sauf au deuxième deux
bulles d’intimité
crevées par l’objectif —
une vieille mise en plis
un jeune épinglé
posent la condition
être c’est être
percé
à jour — un bruit d’obturateur
une pause
ils ont fermé ensemble
sur le premier temps du matin
les hublots d’un convoi
qui démarre.

(da Brefs, P.O.L. Éditeur, 2016)

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Nuove segnalazioni bibliografiche 36. Invidia

di Gianluca Virgilio

La “norma fondamentale” che caratterizza il pensiero dei Greci in epoca arcaica e classica è che “la vita deve essere una mescolanza di beni e di mali, il principio empirico secondo il quale una fortuna eccessiva finisce inevitabilmente in una catastrofe e infine il destino, che una volta assegnato non può essere cambiato” (p. 190). Desumo questa citazione da un recente libro di Dino Baldi, È pericoloso essere felici, Quodlibet, Macerata 2023, che reca come sottotitolo L’invidia degli dèi in Grecia. Gli esempi che l’autore fa nel corso della sua trattazione sono molti: Prometeo, Creso, Policrate, Serse, Agamennone, le cui vicende finiscono in tragedia per l’intervento inesorabile del phthonos theòn, ovvero l’invidia degli dei, che non tollera la loro “felicità”. Il virgolettato serve a chiarire che il termine “felicità” va inteso nel senso più ampio, come sinonimo di potenza, ricchezza, benessere raggiunto e goduto nella sua pienezza, a tal punto da suscitare il risentimento divino. Platone ed Aristotele inaugureranno un diverso modo di guardare al divino, non più preda delle più basse passioni umane. Come può un dio essere invidioso? Noi oggi certo non lo capiamo ed è per questo che la moderna concezione del divino inizia con i due grandi filosofi su menzionati, che tanta parte hanno avuto nell’elaborazione della teologia cristiana.

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To’ francate

di Giuseppe Greco

To’ francate te pasta

to’ francate te luna

to’ francate te celu

            pe’ ttie

            ca cusi scusi sciurnate           

            ‘mpise a llu jaggiu

comu sira ‘llucisciuta a lle stelle

to’ francate te luce

intr’a luce t’u scuru

intr’i culori t’u core               

intr’a mmare ogni giurnu

to’ francate t’amore.

                (10.2.2002 h. 00,16)

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Gaetano Minafra, Arte sacra 17. Madonna con bambino

Colori acrilici, pietre preziose su legno, cm. 55 X 70, 2021.
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Il Festival di Sanremo e il gesto disperato di Luigi Tenco

di Antonio Errico

Quando cominciò era il principio degli anni Cinquanta. C’erano ancora le macerie della guerra. Presentava Nunzio Filogamo: cari amici vicini e lontani. Vinse Nilla Pizzi che cantava così: “Grazie dei fior. Fra tutti gli altri li ho riconosciuti. Mi han fatto male, eppure li ho graditi”.

L’ Italia era povera, rurale, contava 4 milioni di analfabeti; forse era anche allegra nella sua innocenza, certamente triste nella sua miseria. Un chilo di pane costava 115 lire, la pasta 180, la carne 870; un paio di scarpe da uomo 4.700, un biglietto del cinema 130 lire.

Poi quegli anni andarono e ne vennero altri; vennero altre storie. Poi venne e passò il Sessantotto; vennero e passarono gli anni di piombo, la stagione delle stragi, gli anni del riflusso, quelli dell’effimero; cambiarono i costumi, le mode, le voghe, cambiarono i governi, i papi, i partiti. Sotto i ponti passarono fiumi in piena, che travolsero molto, lasciando relitti galleggianti.

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L’una e l’altra vista

di Antonio Prete

Versa il rosa nel platino, l’aurora.

Poi nel celeste si dissipa il giorno.

E la luce del meriggio riaccende

nella pietra il respiro.

.

Nella spenta trasparenza s’inombrano

le piante. Si scurisce l’arabesco

dei larici nel brividio del lago.

.

Vestita d’alabastro

la luna solca il neroblu del cielo.

.

Un’altra luce penetra le tende,

fruga in perdute stagioni, diventa

fondale chiaroscuro

al ricordo, al pulsare dei pensieri.

.

Difficile conquista l’armonia

tra l’una e l’altra vista.

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Luigi Latino, Robotizzati


Acrilico su tela cm 40×50, 2024.
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Parole, parole, parole 39. L’ideologia woke e l’«immondo sangue dei negri»

di Rosario Coluccia

Woke (letteralmente ‘sveglio’) è un aggettivo inglese con il quale ci si riferisce allo ‘stare allerta’, ‘stare sveglio’ nei confronti delle ingiustizie sociali o razziali. Con questo significato la voce si è diffusa nella lingua inglese nel 2017 attraverso il movimento attivista statunitense Black Lives Matter (letteralmente: ‘Le vite dei neri contano’) originatosi all’interno della comunità afroamericana, impegnato nella lotta contro il razzismo, specificamente quello diretto contro le persone nere. Black Lives Matter negli Stati Uniti d’America organizza manifestazioni per protestare contro la discriminazione razziale, la disuguaglianza del sistema giuridico, la brutalità della polizia. Il movimento è diventato mondialmente noto nel 2020, a seguito dell’omicidio di George Floyd avvenuto il 25 maggio di quell’anno nella città di Minneapolis, in Minnesota. Il filmato dell’arresto, in cui un agente di polizia tiene immobilizzato Floyd premendogli per quasi nove minuti il ginocchio sul collo, ebbe vasta diffusione nei media internazionali e portò a manifestazioni di protesta contro l’abuso di potere da parte della polizia. Ho rabbrividito vedendo le immagini girate da una passante, trasmesse da centinaia di reti televisive e visualizzate su milioni di telefonini, ma la conversazione avvenuta in quei terribili 8 minuti e 46 secondi in cui un omone enorme schiaccia con il suo ginocchio il collo di Floyd è ancora più atroce, se possibile. «I cant’ breathe» ‘non respiro’ ansima Floyd più volte. E l’agente di rimando, continuando a gravargli sul collo: «Basta parlare, basta urlare. Ci vuole un sacco di ossigeno per parlare».

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Ufficio Smarrimenti & Ritrovamenti

Una ‘drammatica’ cronaca barese d’altri tempi

di Antonio Mele ‘Melanton’

         All’Ufficio “Smarrimenti & Ritrovamenti” di Bari, non lontano dal nuovo Teatro Margherita e dal Lungomare, c’era molta folla, quella mattina del primo agosto dell’anno di grazia 1929, e i due Impiegati facevano gran fatica a esaudire le numerose e pressanti richieste del pubblico.

         Uno Strano Signore, completamente decapitato, agitava freneticamente verso lo sportello una fotografia che riproduceva un volto a grandezza naturale, e di tanto in tanto l’avvicinava a sé, ponendosela sul collo.

      Il Maggiordomo che l’accompagnava cercava di spiegare all’Impiegato dietro lo sportello: – Vedete? il signor Conte ha perso la testa per una Ballerina… Osservate bene la fotografia e controllate cortesemente se la testa del signor Conte è stata ritrovata!

      Alle loro spalle, tra sbuffi e spintoni, un Uomo col cappello sulle ventitré farfugliava rumorosamente che l’avevano mandato lì perché aveva perso la memoria, mentre un Celebre Oratore seguitava ad urlare: – Insomma, sono due settimane che vengo qua, e domani ho la conferenza… Allora, l’avete trovato il filo del mio discorso?”.

      La confusione cresceva, finché sul posto non intervenne un burbanzoso Gendarme, con tanto di mustacchi scuri e di sciabolone alla cintola, che con voce poderosa ordinò: – Silenzio, o faccio sgombrare! Poi, con tono sarcastico, aggiunse: – Ci mancherebbe che, oltre al resto, perdiate pure la calma!

      La folla zittì, e sotto lo sguardo severo del Gendarme ripresero le richieste.

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Consonanze. Percorsi tra note e parole – Nardò, 9 dicembre 2024 – 7 maggio 2025

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Antonio Stanca, Universum A-36


 12-04-2004, olio su MDF, cm 39,8 X 39.8.
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Yesterday

di Ferdinando Boero

Su alcuni treni si possono vedere film: ne ho approfittato e ho guardato Yesterday. Racconta la storia di un cantante che, a seguito di un incidente e di un evento planetario di distorsione temporale, è l’unico a ricordare dell’esistenza dei Beatles, scomparsi dalla storia assieme alla Coca Cola e alle sigarette. E quindi inizia a proporre le loro canzoni come proprie, raggiungendo un successo planetario.
Ho visto i Beatles in concerto, a Genova, nel 1965. Avevo 14 anni. Il primo 45 giri che ho comprato è stato Twist and Shout, e il primo LP è stato Beatles for Sale. Dopo due anni, sempre a Genova, ho visto gli Stones. I Beatles hanno segnato il mio imprinting musicale. L’imprinting è stato scoperto da uno zoologo-etologo, e gli fruttò il Nobel. Riguarda l'”impressione” nella memoria di animali appena nati della prima figura che vedono al momento della nascita. Famosa l’immagine di Konrad Lorenz seguito da una fila di paperelle che hanno visto lui al momento della schiusa delle uova che le contenevano, riconoscendolo come loro madre. Io ho “seguito” i Beatles. Mi sono molto immedesimato in Yesterday, la riscoperta di quelle canzoni mi ha portato alla ricerca del tempo perduto, a quando le ho sentite la prima volta, agli eventi della mia vita che sono stati accompagnati da quelle melodie. Non sapevo l’inglese, allora. Le cantavo imitando suoni di cui non comprendevo il significato. Dopo, mi sono accorto della loro banalità: Voglio stringerti la mano, Lei ama te, fino a Lucia nel cielo con i diamanti e a Tutto quello di cui hai bisogno è l’amore. Non erano le note o le parole ad essere importanti, era la vita che stavo vivendo, che si accompagnava a quei suoni. I Beatles avevano i capelli lunghi, così mi feci crescere i capelli. Comprai anche un berretto simile a quello di John Lennon in Help, gli stivaletti alla Beatles e i jeans scampanati indossati da Harrison mentre attraversa Abbey Road. I capelloni erano considerati strambi, dai benpensanti, compresi i professori di scuola. Quell’abbigliamento, quel modo di presentarsi, era considerato riprovevole.

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Inchiostri 137. Quarto inchiostro romano / Scipione

di Antonio Devicienti

Era lavica rossa pittura Piazza Navona quei secoli lunghissimi e brevissimi in cui Scipione divorò la vita. Anche sulla Piazza ellittica e colonnata del Bernini e sulle mani rattrappite del Cardinal Decano turbinava il porpora della rivolta.

Immagina Roma sotto una colata densissima di lavico colore e il pittore al lavoro oppure la torre in Cosmedin ferma al passaggio dell’eclissi mentre sul Ponte gli angeli segnavento specchiavano l’alba sopravveniente nelle loro allucinate pupillle.

Così, nello sguardo e nel desiderio, fondò la città stratificata che taglia il vento e non dimentica nessuna luna né sabbia né conchiglie né rossi laterizi, ché il pittore discendeva nella sabbia nelle conchiglie e nei laterizi di San Clemente traversando i furori delle ere, di mitreo in mitreo e di basilica in basilica.

Lì, con soprassalto, forse udì il Nolano nobilmente gridare e vide i suoi aguzzini concepirne terrore, per cui stese di colori di merisiana visionarietà e di densissima scipionarietà turbinavano nel cielo e sulle verdure di Campo de’ Fiori. Rogo che ancora non s’estingue e andirivieni continuo tra ieri e oggi, tra oggi e ieri, così che di nuovo Roma aveva cieli violaporpora mentre il Ponte angeloforo livido riverberava come la Toledo del Greco.

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Abbasso il mare

di Paolo Vincenti

“È stato un temporale
pigro e passeggero
e il sole è su che brucia
in cielo, sulle tegole
ma non avevo visto mai un arcobaleno
essere centrato in pieno
da una rondine
come un lampione che si accende
in pieno giorno inutilmente”.

(Ferragosto – Samuele Bersani)

Ad agosto, “quando incrudelisce la rovente criniera del Leone” per dirla con Marziale1, qui da noi fa molto caldo, specie quando è scirocco, cioè quasi sempre. Il vento umido dal sud non fa respirare, attanaglia in una cappa di caldo, mosche e zanzare, e c’è chi lo vive come una vera maledizione. È il favonio, “sciroccu mputtanatu”, si dice in dialetto salentino. Io, ad agosto, quando prendo le ferie, mi trasferisco nella residenza estiva ma negli ultimi anni lo faccio più per compiacere mia moglie, che ama (come il 99% degli italiani) trascorrere le ferie al mare, che per reale convinzione. Anzi, a dirla tutta, ormai per me non è nemmeno un piacere, avendo sviluppato negli ultimi tempi una vera idiosincrasia per il mare e la spiaggia. Starò invecchiando? Non lo so. È certo che la confusione delle spiagge affollate ad agosto, il frastuono prodotto dalla musica ad altissimo volume, dai bambini schiamazzanti, dal passaggio di yacht, moto d’acqua, elicotteri, pedalò e gommoni, mi creano profondo fastidio che non riesco neanche a dissimulare, con la conseguenza che in quelle rare permanenze in spiaggia il disagio mi si legge in faccia e amici e famigliari evitano persino di rivolgermi la parola perché temono di averne in risposta degli improperi. Mi lasciano così sotto l’ombrellone, come un polipo appena sbattuto sulla roccia o un granchio cui sono state strappate le chele, a leggere un libro, nell’attesa che si faccia ora di pranzo ed io possa risalire in casa dopo aver pagato pegno, cioè onorato quel debito di convivenza famigliare che mi strozza peggio del nodo dei cravattari per l’usurato. Lo scirocco porta le nuvole cariche di sabbia, la fulva caligine2, e a volte anche delle tempeste improvvise, come dice Orazio, che descrive lo scirocco scatenatore di nembi3 e lo chiama niger, cioè “negro”o “fosco”4, proprio come il colore della pelle dei venditori ambulanti che infestano le spiagge d’estate e un tempo spregiativamente chiamati “vu cumprà” o “tappetì”. Che strana evoluzione, a pensarci bene, il costume. Mutano i tempi e le abitudini della gente.

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Marcello Toma, Due pennellate ispirate da “La città e le sue mura incerte” di Murakami


Gouache su cartoncino
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Incontro con Antonio Tabucchi

di Antonio Lucio Giannone

Antonio Tabucchi (Pisa, 1943 – Lisbona, Portogallo, 2012) è stato uno degli scrittori più significativi degli ultimi decenni del Novecento e dei primi anni Duemila, ma ha svolto anche un’intensa attività di studioso della letteratura portoghese, che ha insegnato presso l’Università di Siena,  di traduttore, in particolare di Fernando Pessoa, e di notista politico. Il suo romanzo più famoso è Sostiene Pereira (1994) da cui venne tratto un film di grande successo diretto da Roberto Faenza e interpretato  da Marcello Mastroianni nella parte del protagonista. Come è noto, Pereira è un anziano giornalista e l’azione si svolge in un mese d’estate del 1938 a Lisbona durante la dittatura di Salazar. La storia è quella della progressiva presa di coscienza da parte di Pereira del proprio ruolo sociale e della propria dignità umana e culturale, attraverso la conoscenza del giovane amico Monteiro Rossi, oppositore del regime, che verrà ammazzato dai sicari del dittatore, e il cui omicidio verrà denunciato proprio da lui.

Tabucchi era legato al Salento dove veniva spesso in villeggiatura. In particolare, amava il mare del Salento e la costa che va da Castro a Otranto. In una intervista pubblicata sul “Quotidiano di Lecce” il 24 aprile 2004, realizzata da Claudia Presicce, lo scrittore confessava di nutrire un “grande affetto” per questa terra che frequentava “da tempi non sospetti, per via di ‘antiche amicizie’ leccesi”. Rispondendo poi a una domanda dell’intervistatrice a proposito di ciò che gli piaceva, più in generale,  della Puglia, così diceva:

“La Puglia mi piace per tanti motivi, per le sue tradizioni culturali, per il mio affetto per la tradizione classica, per la Grecia e dunque per la grecità della Puglia. E mi piace vedere come gli stessi pugliesi stiano riscoprendo  questa grecità. In questo momento di globalizzazione essa ha costituito un ìncentivo  per ritrovare le proprie radici, la propria cultura. Apprezzo molto il fatto che i pugliesi stiano rifrequentando con questo affetto quella che è la base della civiltà mediterranea. E a questa civiltà, sento di appartenere anch’io. Inoltre devo aggiungere un aspetto antropologico: oggi si parla sempre di ‘gente’ come di qualcosa che non ha più un volto. Qui è bello scoprire sempre che a gente ha un volto e il fatto che sia molto riconoscibile è per me motivo di conforto. Ci sono poi tanti altri aspetti, le bellezze del paesaggio, la dolcezza della terra, le sue qualità gastronomiche, tante cose che rischierebbero di sembrare luoghi comuni, ma che sono invece vissuti da parte mia con mota adesione, in modo autentico”.

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Taccuino di traduzioni 11. Leonida di Taranto

di Antonio Devicienti

La nascita di Leonida si colloca intorno al 315 a. C. Dopo che Taranto fu conquistata dai Romani (272 a. C.) probabilmente il poeta andò vagando tra varie località della Grecia e dell’Asia; è anche probabile che morì in tarda età senza mai rivedere Taranto.

Poeta essenzialmente epigrammatico, i suoi testi sono giunti a noi grazie all’Antologia Palatina (silloge di epigrammi attribuiti a una cinquantina di poeti greci e compilata a Bisanzio nel X secolo d. C.).

L’epigramma è un breve componimento di carattere dedicatorio, encomiastico e, spesso, funerario (ma non mancano epigrammi erotici), caratterizzato da arguzia ed efficacia espressiva.

L’epigramma di Leonida tarantino si contraddistingue per la maestria con cui vengono impiegate le figure retoriche e di suono e per la scelta tematica: si va, infatti, dall’autobiografismo (il poeta parla di sé come uomo privo di mezzi e costretto a spostarsi di terra in terra) alla rappresentazione di umili persone d’estrazione popolare, alla descrizione paesaggistica.

Ho scelto alcuni testi nei quali il poeta medita sulla brevità e sulla fragilità dell’esistenza umana, altri in cui descrive vite umili o segnate da un destino particolare; in un testo Leonida rende omaggio al poeta Ipponatte, noto per i suoi versi particolarmente pungenti e fortemente satirici, in un altro compie, in forma poetica elegante e raffinata, un atto usuale nel mondo greco antico, ossia quello di dedicare un oggetto (anche umile) a una divinità.

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Le contraddizioni delle politiche repressive della Destra in materia di immigrazioni

di Guglielmo Forges Davanzati

La paura della sostituzione etnica, alla quale ha fatto riferimento il Ministro Lollobrigida seguito, più di recente, dal Ministro Valditara, ha due caratteristiche: non ha fondamento razionale (nel senso che è una pulsione che non regge all’analisi dei costi e dei benefici, per le ragioni che vedremo a seguire) e rientra nel novero delle profezie che si auto-avverano. Uno dei massimi studiosi delle discriminazioni razziali – lo svedese Gunnar Myrdal, autore, nel 1944 dell’opera An American Dilemma: The Negro Problem and Modern Democracy – osservava che il razzismo (riferendosi alla discriminazione nel mercato del lavoro statunitense degli immigrati africani negli anni cinquanta), e il suo correlato nativista (la tesi della superiorità morale e produttiva dei nativi) origina da pulsioni, istinti, paure, false credenze sulla “normalità”, che, tuttavia, nel momento in cui si realizzano, si perpetuano spontaneamente acquisendo, nel tempo, un fondamento logico o plausibile. Un esempio utile per comprendere il meccanismo ipotizzato da Myrdal è il seguente: la discriminazione espelle dal mercato del lavoro o tiene basse le retribuzioni di individui appartenenti a date etnie, del tutto indipendentemente dalle loro competenze; questi individui tendono a reagire, per effetti di scoraggiamento o, per converso, di conflittualità, non intenzionalmente, in modo tale da rafforzare la convinzione – in coloro che li discriminano – della razionalità della loro azione. Ad esempio, osserva Myrdal, gli immigrati discriminati tendono a vestirsi in modo inappropriato rispetto agli standard richiesti per ottenere un posto di lavoro, date le convenzioni prevalenti, avvalorando la convinzione che siano meno affidabili – e meno produttivi – dei nativi.

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