Per Franco De Paola, un gentleman salentino

di Paolo Vincenti

     Franco De Paola ha saputo unire nei suoi studi, in fertile connubio, il Salento e l’Inghilterra, e proprio questo scambievole legame si è voluto esprimere nel 2019, in occasione del compimento del suo ottantesimo genetliaco, con il titolo del libro che la Società di Storia Patria per la Puglia di Lecce gli ha dedicato, ovvero: Dalla rupe di Leuca alle scogliere di Dover. In onore del viaggio di Francesco De Paola[1],un volume che giungeva a coronamento di una vita spesa al servizio della collettività, per la grande e la piccola patria, per quest’ultima soprattutto, a vantaggio della sua crescita culturale e per la sua edificazione morale. Ci si riferisce ai lunghi anni di esercizio della nobile professione di docente e alla altrettanto lunga militanza di studioso impegnato sul campo. Ci si riferisce del pari al costante impegno nelle ricerche archivistiche e bibliografiche e all’acribia nello svolgimento del faticoso e non di rado ingrato lavoro di scavo; ci si riferisce ancora alla costante generosità dimostrata a non pochi colleghi nel mettere la propria competenza a disposizione del tutto disinteressatamente, nel condividere i frutti delle proprie ricerche rispondendo solo ad un intimo desiderio di socializzare la cultura dei luoghi.

 Come scrive Mario Spedicato nella Presentazione del succitato volume:

     Le due radici della sua formazione, anglista e salentina, convivono nella sua persona e si esprimono senza contrastarsi nel suo modo di essere, signorile nel suo aplomb di stampo britannico e caloroso nella relazione interpersonale propria della gente della nostra terra. E trovano efficace sintesi pure nella sua produzione culturale. Non è un caso che il primo destinatario delle sue attenzioni (primo sia in ordine cronologico che per profusione di energie e di tempo) sia quel Giulio Cesare Vanini il cui studio ha costituito un passaggio obbligato per tutti quegli studiosi salentini – di Taurisano in particolare – che non hanno resistito all’indubbio fascino esercitato da questo filosofo e che ne hanno fatto un banco di prova delle competenze archivistiche e storiografiche maturate. Proprio nell’esperienza umana e intellettuale del filosofo, De Paola ha identificato uno degli innumerevoli (e non sempre visibili) fili intessuti tra la Terra d’Otranto e i grandi centri dell’Europa che contava nel Seicento[2].

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Antonio Stanca, Universum A-38


25-4-2004, olio su MDF, cm 80,2 X 80,2.
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Da questo altrove. Carmelo Bene e il Sud del Sud dei santi. Una cartografia

di Simone Giuseppe Flocco

Da diversi anni, la casa editrice salentina Kurumuny di Martignano sta promuovendo lo sviluppo del dibattito attorno alla figura e all’opera di Carmelo Bene attraverso la collana Beniana del Centro Studi Phoné diretta da Simone Giorgino e Stefano Cristante, la quale conta diverse pubblicazioni di rilievo riguardanti l’artista salentino come Nota Bene di Piergiorgio Giacché e Dentro «’l mal de’ fiori». Il poema impossibile di Carmelo Bene di Alessio Paiano, entrambe del 2022. È invece del 2023 l’uscita del volume Da questo altrove. Carmelo Bene e il Sud del Sud dei santi. Una cartografia, raccolta di scritti critici curata da Simone Giorgino e da Alessio Paiano, la quale mira a configurarsi come una vera e propria cartina per addentrarsi all’interno dell’universo geopoetico di Bene. Infatti, se la prima parte è costituita da una serie di saggi che si concentrano sulla sua multiforme arte, la seconda è invece una vera e propria «cartografia poetica», un viaggio all’interno della vita e dell’opera di Carmelo Bene attraverso un sostanzioso apparato fotografico e geografico, con numerose immagini e documenti riguardanti l’artista e i comuni del Salento che maggiormente lo videro attivo.

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Taccuino di traduzioni 15. Johannes Bobrowski: Pescatori notturni

di Antonio Devicienti

Tra le belle fronde
il silenzio
inviolato.
Luce
con le mani
sopra un muro.
La sabbia fuoriesce dalle radici.
Sabbia, rossa, va’
smossa nell’acqua,
va’ sulla traccia delle voci,
va’ dentro il buio,
esponi il pescato nel mattino.
Le voci stanno cantando pallide come d’argento,
porta via,
al sicuro,
tra le belle fronde le orecchie in ascolto,
le voci cantano:
quel ch’è morto è morto.

NACHTFISCHER

Im schönen Laub
die Stille
unverschmerzt.
Licht
mit den Händen
über einer Mauer.
Der Sand tritt aus den Wurzeln.
Sand, geh rot
im Wasser fort,
geh auf der Spur der Stimmen,
im Finstern geh,
leg aus den Fang am Morgen.
Die Stimmen singen silberblaß,
bring fort,
in Sicherheit,
ins schöne Laub die Ohren,
die Stimmen singen:
tot ist tot.

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Il Natale è un canto antico: Enza Pagliara e Dario Muci, “La santa allegrezza”

di Adele Errico

“E io Giuseppe stavo camminando, ed ecco non camminavo più. Guardai per aria e vidi che l’aria stava come attonita, guardai la volta del cielo e la vidi immobile e gli uccelli del cielo erano fermi. Guardai a terra e vidi posata lì una scodella e degli operai sdraiati intorno, con le mani nella scodella: e quelli che stavano masticando non masticavano più, e quelli che stavano prendendo del cibo non lo prendevano più, e quelli che stavano portandolo alla bocca non lo portavano più, ma i visi di tutti erano volti in alto (…) e insomma tutte le cose, in un momento, furono distratte dal loro corso”.

Il Vangelo apocrifo di Giacomo, qui citato nell’edizione di Einaudi, racconta della nascita di Gesù. Ricorrendo a un meccanismo narrativo straordinariamente moderno, Giacomo adotta d’improvviso una variazione di  voce narrante: da un’onnisciente terza persona alla prima persona di Giuseppe che, allontanatosi dalla mangiatoia per cercare una levatrice, intuisce che qualcosa di singolare sta esercitando effetti straordinari sull’universo: suo figlio è nato e la volta del cielo ha assunto un’innaturale fissità, come in un dipinto nel quale ogni gesto, ogni moto venga cristallizzato in colori d’acquerello.  “Fermarono i cieli” è il titolo del canto natalizio scritto e composto da Sant’Alfonso de’ Liguori – autore anche del celebre “Tu scendi dalle stelle” – che si ispira al passo di Giacomo e spia qualcosa che dovrebbe restare segreto, l’intimo sguardo di una Madonna che è semplicemente una madre stanca che tenta di addormentare il figlio cantando una nenia d’amore. Insieme ad altri 11 brani e 4 poesie recitate, “Fermarono i cieli” è contenuto nel nuovo disco di Enza Pagliara e Dario Muci, “La santa allegrezza”.

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Marìsciu te Natale

di Giuseppe Greco

‘A luna comu ‘u sule tante fiate

se manìscia

cu sse mmasura sula

a mmenzu ‘ttante stelle

sparpajate cusì                                        

oltre ogni ‘ndoru

te luci te lanterne

‘mpise susu susu a ccraticciate

intr’a tteatri ‘perti intr’a nnui

‘na fiata l’annu                                      

            Tie

a mmanu ‘na francata te culori

cu ppitti maravije

‘ncartate

comu ricali                                             

            pe’ nnui

ca ddisegnamu ùli te cumete e

nne prasciamu

a rretu ‘lli Re Mmaggi

manu cu mmanu mentru                        

‘a luna

ne ùnge tutt’e sire te misteri

te luce janca janca.

                         (26.12.03 h. 15,12)

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Salvatore Sava, Natività

Particolare del Presepe realizzato in pietra leccese e ferro nel 2006 per Gualtiero Marchesi (1930 – 2017). Il Presepe è composto da 63 elementi. Attualmente esposto nella Fondazione Gualtiero Marchesi.
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Presentazione di Stefano Rizzelli, Terra promessa – Galatina, 28 dicembre 2024

Associazione socio-culturale no-profit Progetto Artec A.P.S. (Associazione di Promozione Sociale) – Comunicato Stampa via Castrignano, 162 -73025 -MARTANO (LE); T. 338.34.95.574 – e-mail: progetto.artec@yahoo.it; C.F. 92021250755

COMUNICATO STAMPA

Sabato 28 dicembre (open h18 – fino alle 20,30) al Teatro Cavallino Bianco di Galatina si terrà la presentazione del catalogo “Stefano Rizzelli – Terra promessa” a cura di Raffaele Gemma, sulla performance-installazione di Rizzelli tenutasi a fine agosto nell’ambito del Festival dell’aria consapevole, organizzato da Pro Loco Galatina. Interverranno oltre alle autorità, Stefano Rizzelli (AUTORE DELLA PERFORMANCE, giornalista RAI, regista, performer, antropologo culturale), Raffaele Gemma (AUTORE DEL LIBRO, presidente dell’ass.cult.Progetto-Artec), Renato Grilli (ATTORE, performer), Niccolò Zizzari ( AUTORE di un video su Terra Promessa, studente del Liceo Classico “P,Colonna”). Si tratta di un Evento Sincronico a Syncronicart-6, la biennale d’arte contemporanea in fieri a Galatina. Alla serata parteciperanno anche i musicisti Donatello Pisanello ( Officina ZOÈ, Officina Salentina) e il giovane cantautore galatinese Pietro Antonaci.

Si tratta di un evento culturale di rilievo visto lo spessore del regista e autore di testi di origine galatinese, ora ai vertici RAI in ambito dirigenziale, sul quale Raffaele Gemma ha posto la sua attenzione in ambito critico con questo testo dotato peraltro di una ricca iconografia, sottolineando la sua valenza come performer, capace di stimolare le coscienze su tematiche attuali secondo il suo stile, inserendolo a pieno diritto tra i grandi nomi della body art e dell’arte concettuale, con una ricerca di neo-avanguardia moderna. Bisogna considerare infatti che queste tendenze artistiche non si sono di certo esaurite negli anni sessanta e settanta, dal momento che, per loro natura, hanno una spinta propulsiva che arriva dalla relazione uomo e ambiente e dalla ricerca basata sull’aisthésis, l’allargamento della sensorialità capace di coinvolgere il pubblico fruitore con installazioni cosiddette “immersive”.

Organizzazione: Progetto-Artec, Pro loco Galatina, patrocinio di Assessorato alla Cultura Comune di Galatina, Provincia di Lecce.

INGRESSO LIBERO, aperto a tutta la cittadinanza, tuttavia è controllato, per cui gli interessati possono dare l’adesione  whats app al numero mobile 3383495574

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Manco p’a capa 233. Dumb all over

di Ferdinando Boero

Ho già trattato le canzoni che esaltano la violenza sulle donne, fino al femminicidio (clicca qui) e ora si ripresenta l’occasione di parlare di testi “inappropriati”. Un
cantante, invitato a partecipare ad un evento, è stato disinvitato quando chi lo ha invitato ha capito di che trattano le sue canzoni. Si è innescata così una discussione tra chi difende la libertà di espressione e chi difende le donne, considerate oggetti sessuali da strapazzare.
Ho una confessata passione per Frank Zappa, che il 21 dicembre ha compiuto 84 anni (Zappa, non la mia passione). Zappa ha scritto Jewish Princess in cui racconta le sue interazioni con la ragazza ebrea dei suoi sogni. L’Antidefamation League, che difende gli ebrei dalle maldicenze sul loro conto, lo denunciò, così Zappa scrisse Catholic Girls, per pareggiare i conti. E poi prese in giro i cocainomani (Cocaine Decisions) e i ballerini disco (Disco Boy) per non parlare dei gay che se la tirano da gay (He’s so gay). Prese in giro John Lennon (Oh No) e Elvis Presley (Elvis has just left the building), per non parlare dei giovani rampanti come Bobby Brown, castrati da femmine volitive. Zappa tratta quasi ogni espressione dell’animo umano, soprattutto se connotata da stupidità. Molti considerano osceni i suoi testi.
A metà degli anni Ottanta, durante il mandato di Ronald Reagan, la moglie del futuro vicepresidente Al Gore, Tipper Gore, con altre mogli di senatori, fondò un movimento che chiedeva di apporre etichette sulle copertine dei dischi in modo da segnalare contenuti inappropriati per chi avesse meno di una certa età, come si fa con i film. Ci fu un’audizione in Senato e Zappa partecipò, ingaggiando una discussione con Tipper e Al, e la registrò. Tipper lesse alcune delle liriche incriminate, per mostrare quanto fossero disgustose, e Zappa le montò in modo da avere Tipper che canta liriche oscene, quelle a cui voleva imprimere il marchio dell’oscenità. La canzone si intitola Porn Wars, e la potete trovare nel CD Frank Zappa Meets the Mothers of Prevention.

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Sugli scogli 25. Echi funesti

di Nello De Pascalis

Oltre sant’Emiliano

il cielo sbadiglia e segna

i confini della notte, mentre

ho lenze tra le mani

e un rimasuglio di luna

vaga a ponente.

Al di là del mare,

dal ginepraio dei Balcani

mi giungono echi

rossi di sangue,

ché i morti, forse,

i morti della barbarie

non hanno lasciato segni

o moniti.

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Non nel mio nome

di Paolo Vincenti

Pace: una parola troppo invocata per non rischiare di restare nel mondo dei sogni, al più nella testa degli illusi o negli slogan dei manifestanti. Il Medio Oriente è di nuovo come sempre in fiamme. In Italia chi è che invoca la pace? I Pro Pal, cioè i sostenitori della Palestina, che il più delle volte fanno gli interessi del terrorismo di Hamas e non dello stato palestinese (che poi, nella attuale vacatio di una guida governativa vera e propria, con le schiere di Hamas si confonde ed è confuso). Inoltre, agli anarchici e sovversivi i quali, manifestando, fanno sentire una forte voce di condanna della guerra, il che è legittimo, però con le conseguenze che le cronache ci raccontano, ossia scontri con le forze dell’ordine a causa delle marce non autorizzate, vetrine rotte e bidoni della spazzatura incendiati, piazze delle città messe a ferro e fuoco. Insomma, un caos, come quello che regna nella testa di questi esagitati. Da costoro direi che certo non mi sento rappresentato. Gli intellettuali di sinistra o di destra non governativa esitano a prendere pubblicamente posizione. Lo spauracchio è l’antisemitismo, invocato dai filoisraeliani, brandito dalla comunità ebraica italiana e dai suoi portavoce contro qualsiasi tentativo di elaborare un ragionamento che sia libero, scevro da pregiudizi e odi di parte, vecchi e logori moloch e urticanti tabù. “Osi dire che Israele sta esagerando nella risposta agli attacchi? Che la difesa non è proporzionata all’offesa?” “Sei uno sporco razzista”. “Sostieni che Israele abbia compiuto un genicidio a Gaza?” “Sei un antisemita e ti devi vergognare”. Se osi dire che i palestinesi in quanto arabi hanno i loro diritti e meriterebbero una casa e uno stato riconosciuto, puoi al massimo unirti a quei giovani universitari fancazzisti che occupano le aule in stato di agitazione permanente. Io non mi riconosco negli intellettuali ebrei italiani ma nemmeno nei sinistrorsi freakettoni e punkabestia universitari. Come la mettiamo allora? Dove mi colloco?

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Luigi Latino, La linea quasi scura


Plastica su tela, 30 x 40, 2024.
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Dell’arte del costruire o del Salento che continua a stupire

di Hervé Cavallera

   Con una regolarità ormai pluritrentennale (la prima strenna risale al 1989) a fine anno le leccesi Edizioni Grifo presentano dei preziosi volumi, a tiratura limitata, che si ammirano sia per la bellezza delle figure sia per il contenuto mai banale, anzi destinato a sollecitare ulteriori letture.

     La strenna di quest’anno è Salento. L’arte del costruire dal Medioevo al Neoclassicismo (272 pagine in grande formato di cm. 35×25, copertina cartonata con sovraccoperta e cofanetto stampati a colori) con oltre trecento immagini. L’autore è Mario Cazzato, architetto e apprezzato storico dell’arte (da ricordare i suoi tanti volumi sul Salento), nonché segretario della Società Storica di Terra d’Otranto e condirettore della “Rivista Storica del Mezzogiorno”.

     L’intento del volume è di offrire, con un taglio storico, un’esauriente illustrazione delle opere architettoniche (chiese, castelli e quant’altro) che dal Medioevo all’Ottocento preunitario sono state edificate in Terra d’Otranto, fornendoci, come prima mai era accaduto, un completo quadro degli artefici che si sono susseguiti nel corso del tempo. In questo modo il volume ha ottenuto almeno tre risultati che tra loro si fondono: l’essere una attenta ricostruzione del contributo artistico che Terra d’Otranto ha fornito alla nazione nel corso dei secoli; l’illustrazione  accurata di artisti spesso sconosciuti ai più e che invece hanno lasciato un segno in opere che ogni giorno continuiamo ad osservare; la raffigurazione nel complesso e nei particolari – ottime le fotografie – di gioielli architettonici che si estendono dal capo di Leuca al Brindisino e al Tarantino. E tutto questo fa di Salento. L’arte del costruire dal Medioevo al Neoclassicismo, stampato in solo 700 copie numerate, un libro insostituibile, peraltro arricchito, per chi vuole approfondire, di una più che esauriente appendice bibliografica.

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Iuncturae augura ai suoi lettori e ai suoi scrittori Buone Feste

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Gioventù salentina 3. Dalla goliardia alla politica. Il racconto di Carlo Gervasi (31 ottobre 2006)

di Gianluca Virgilio

Carlo, quando e dove sei nato?

Nel 1952, a Galatina.

Che tipo di educazione ti hanno dato i tuoi genitori?

Un’educazione molto rigida, specialmente in rapporto alle mie intemperanze scolastiche. Io dedicavo poco tempo allo studio, e allora i miei genitori, pur di farmi studiare, mi mandavano al doposcuola. Mio padre era un imprenditore agricolo e mia madre casalinga. Mi hanno dato un’educazione cattolica, ma senza troppe costrizioni. Andavo la domenica a messa, ma solo fino al primo liceo; da allora ci vado solo in certe circostanze, la notte di Natale, per esempio, quando si crea quell’atmosfera festiva che tanto mi piace.

Come è avvenuta la tua formazione culturale e politica?

Io ho vissuto di riflesso e dopo molti anni una parte della vita di mia madre, che ora ti racconterò. Mia madre era figlia di Carmine D’Amico, il fondatore della Clinica, socialista e amico personale di Saragat e di Matteotti – una sera ricordo a casa ospite il figlio di Matteotti -. Mio nonno fu componente della Costituente per i socialisti, dirigente nazionale del partito socialista, poi diventato partito socialdemocratico, sole nascente, maggioritario rispetto a Nenni, antifascista della prima ora. La vicenda è questa: durante la seconda guerra, da più parti qui si paventava che gli alleati sarebbero sbarcati a Brindisi. Mio nonno temeva che da questa zona sarebbe passata la prima linea; siccome mio nonno era sposato con una donna di Soresina (Cremona), ritenne opportuno, dopo l’8 settembre, mandare la moglie e le tre figlie dai parenti. Intendeva toglierle dal pericolo, in realtà la storia prese un’altra piega. La Puglia non fu toccata, mentre Cremona, che faceva parte della Repubblica sociale, divenne l’epicentro della guerra. Così per due anni la comunicazione di mia madre con Galatina fu interrotta, solo qualche lettera arrivava tramite il Vaticano. Qui mio nonno stava con il CLN in una situazione in cui resistenza non ce n’era, mia madre, invece, visse il periodo della resistenza a Soresina e la caduta della Repubblica sociale con la reazione fortissima della resistenza. Mia madre diceva sempre che i fascisti avevano avuto dei comportamenti non condivisibili, ma i comunisti erano peggio per quello che hanno fatto dopo. Molte sue amiche che avevano appoggiato il fascismo – mia madre raccontava – furono messe alla berlina, rasati i capelli, trascinate in piazza. Lo zio Tino, che ospitava i miei familiari, era un signore benestante, non si era mai interessato di politica, amava solo la caccia; subì un attacco dei comunisti che gli spararono alla porta. Tutti questi fatti raccontati da mia madre io li ritrovavo anni dopo, nel Sessantotto, quando c’era lo scontro in piazza, nei giornali “Il Candido”, “Lo specchio”, “Il borghese”. La sinistra aveva l’egemonia culturale e non faceva filtrare questi racconti, che potevano sembrare troppo spinti ovvero una reazione estrema alla forza dell’antifascismo. A distanza di anni, si è rilevato che quel discorso della destra aveva un suo fondamento, tant’è che se ne parla ancora.

Insomma, in famiglia io avevo un esempio di antifascismo moderato, mio nonno  -ricordo che, quando era costretto ad indossare la camicia nera, si metteva il camice che usava nella sala raggi-, e avevo un esempio di anticomunismo, per le vicende vissute in prima persona, in mia madre, che mi raccontava le cose che ti ho detto.

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Marcello Toma, Lettere dal fronte


Oil on panel, 35×28 cm.
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Parole, parole, parole 41. La marea montante dell’analfabetismo

di Rosario Coluccia

Il 6 novembre è uscita la 58a edizione del Rapporto Censis che interpreta i più significativi fenomeni socio-economici del Paese. Il Rapporto è uno specchio delle reazioni vissute dalla società italiana di fronte problemi complessi che ci troviamo ad affrontare: cambiamenti climatici e moltiplicarsi di eventi catastrofici, guerre, emigrazioni, insicurezza crescente, povertà. Non ho competenze specifiche per parlare di questioni così delicate, ma mi hanno colpito in modo particolare, i sintomi allarmanti di una crescente ignoranza che attraversa l’intera società.

Apparentemente non è così: cresce il numero dei laureati (più di 8 milioni, oltre il 18% della popolazione di età superiore ai 25 anni), si assottiglia sempre di più quello degli analfabeti (260.000, una percentuale minima, su una popolazione di oltre 58 milioni di persone). Sono dati in apparenza confortanti, paiono segnalare enormi progressi rispetto alle condizioni ancora di pochi di pochi decenni, quelli finali del Novecento, quanto avevamo un numero assai inferiore di diplomati e di laureati.  Ma non è così. Percentuali notevoli di italiani mostrano lacune spaventose in storia. Non parlo delle guerre puniche, che qualcuno anni fa invitava non studiare, dicendo che si trattavi di eventi lontani, che non avevano alcun rapporto con il mondo di oggi L’anno in cui Mussolini fu arrestato (1943) è ignoto per il 52% degli italiani, il 30,3 % non conosce l’anno dell’unità d’Italia (1861, eppure poco tempo fa ne abbiamo celebrato la ricorrenza dei 150 anni), la medesima percentuale non sa indicare chi era Giuseppe Mazzini. Non va meglio in letteratura: per il 41,1% L’infinito fu composto da Gabriele D’Annunzio e non da Leopardi; né in arte: per il 32,4% la Cappella Sistina fu affrescata da Giotto o da Leonardo; né in musica: per il 35,9%, l’Inno di Mameli (quello che sentiamo suonare e cantare prima delle partite della nazionale di calcio) fu composto da Giuseppe Verdi (senza neanche badare al fatto che ci sarà una ragione se l’Inno è detto “di Mameli”, appunto). Dati altrettanti sconfortanti riguardano la conoscenza della geografia o della matematica. Questa rubrica tratta di lingua italiana: molti compatrioti non sanno che correrò è futuro di correre.

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Per una critica della ragione militare

di Antonio Prete

Nelle guerre in corso l’orrore, giorno dopo giorno, è addomesticato, reso tollerabile perché evocato come notizia tra le notizie, come accadimento quotidiano e usuale: la stessa parola guerra finirà con essere rubricata accanto a voci come borsa, sport, cronaca nera e di costume. Le tante testimonianze di reporter e giornalisti esposti al pericolo ci trascorrono dinanzi agli occhi, con la loro immensa gravità, senza che l’indignazione dal singolo si estenda alla moltitudine, senza che il sapere del dolore sconfinato si trasformi in un grido, senza che la conoscenza diventi denuncia assidua e corale delle responsabilità.

E anche laddove alcune parole potrebbero avere in sé una più adeguata corrispondenza alla sconfinata violenza messa in atto, si ricorre ad attenuazioni, a distinzioni, a rassicuranti comparazioni storiche: la parola genocidio, usata per indicare quel che accade a Gaza, è apparsa e continua ad apparire a molti impropria (anche se il Papa e alcune inchieste delle Nazioni unite l’hanno adoperata). Un’anestesia del tragico permette di non introdurre il turbamento e l’angoscia nel ritmo delle giornate e nelle quotidiane occupazioni.

Se nei decenni trascorsi alcune guerre provocavano tra intellettuali, scrittori, artisti, forti prese di posizione, appelli condivisi, analisi – penso a quel che accadde con la prima guerra del Golfo – ora l’indignazione non trova le vie di una sua rappresentazione diffusa. E persino le condanne emesse, su certificata e incontestabile documentazione, da una Corte internazionale di giustizia suscitano riserve, distinzioni, tentativi di neutralizzazione.

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Metodo e passione. Studi sulla modernità letteraria in onore di Antonio Lucio Giannone

di Maria Dimauro

È all’insegna di plurime, stratificate “geografie sentimentali e poetiche”‒ parafrasando il titolo del contributo di Y. Gouchan (pp. 535-554) alla miscellanea Metodo e passione. Studi sulla modernità letteraria in onore di Antonio Lucio Giannone, a cura di Giuseppe Bonifacino, Simone Giorgino, Carlo Santoli, (Napoli, La Scuola di Pitagora, 2022). ‒ che prendono l’abbrivio e si svelano, inarcandosi lungo sessantadue contributi, le moltissime testimonianze di amici e colleghi italiani e stranieri in omaggio alla più che quarantennale attività scientifica e all’itinerario umano di Antonio Lucio Giannone. I due corposi tomi, che vanno a costituire questa preziosa miscellanea di studi, caratterizzati da un dinamismo tematico che contempla tuttavia un intimo, costante richiamo, fino all’intertestualità e alla citazione, al fecondo magistero di Giannone, alla sua poliedrica e ininterrotta, fruttuosa e appassionata attività di ricerca nel campo della letteratura contemporanea, sono significativamente inaugurati da un dittico dedicatorio che già ne dispiega, in nuce, direttrici esegetiche e ragioni affettive: Per Lucio,dei curatori Giuseppe Bonifacino, Simone Giorgino e Carlo Santoli, e una Lettera a Lucio di Simona Costa. In entrambi, infatti, è adombrata e insieme chiarita l’intitolazione complessiva di questi studi: dove nella diade di metodo e passione sono esaltati, in fertile embricatura, e come riportato dai curatori, «da un lato, la passione, in quanto modalità intrinsecamente etica di un bisogno estetico e di storia; e dall’altro […] il metodo, in quanto attenzione esaustiva al testo» (pp. XX-XXI).

E non sarà forse un caso che questa definizione s’attagli così compiutamente – come a sigillo di quasi cinque decenni di inesausta attività di ricerca e anche di “riscoperta” e “riattraversamento” di testi ai margini della tradizione acquisita e al di fuori delle maglie a volte troppo strette delle tassonomie canoniche – alla “lunga fedeltà” di Giannone alla lezione di maestri amati e dei quali ha raccolto a piene mani la non comune eredità, di “metodo” e “passione” come dal critico ribadito in una recente intervista.

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Presentazione di Massimo Galiotta, Arte e pensiero critico – Leverano, 23 dicembre 2024


Lunedì 23 dicembre alle ore 18:00, presso la Biblioteca di Comunità Piazza Coperta – Leverano Centrale (in Piazza della Costituzione a Leverano), Roberta Maci, docente di Lettere presso il Liceo “Galileo Galilei” di Nardò, laureata in Lettere Moderne presso l’Università del Salento e in Storia dell’Arte presso l’Università degli Studi di Verona, dialoga con Massimo Galiotta, critico d’arte, redattore della rivista Arte Trentina e autore del volume Arte e pensiero critico – Diario di un connoisseur. L’evento è organizzato dalle “Edizioni d’Arte Dusatti” di Rovereto, in collaborazione con il Comune di Leveranola e la rivista “Arte Trentina”
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