di Raffaele Nigro
Torna a
farci compagnia per la sesta volta il vice questore di Brindisi Donato
Tanzarella. Creatura nata dalla fantasia di Ettore Catalano, già docente di
Letteratura Italiana presso le Università di Bari e di Lecce. Con l’età,
Catalano ha rastremato la sua narrativa,
rendendola a tratti molto scorrevole e a volte eccessivamente erudita. Il
che se da forza al carattere di un
vicequestore infervorato per la cultura letteraria, talvolta tende a rallentare
il racconto poliziesco che di per sé spinge il lettore a cercare l’assassino, i
mandanti e le ragioni dell’atto delittuoso. E con acume Gino Dato, patron della
Progedit, sta provvedendo a colmare il vuoto narrativo creato dalla editrice
Laterza, dove per anni ha lavorato come editor, pubblicando una serie di narratori
e poeti.
Originario
di Ostuni, il vicequestore Tanzarella ha una passione profonda per le
letterature comparate, un aspetto che lo differenzia dai colleghi che animano
le avventure di Gabriella Genisi, di
Gianrico Carofiglio, di Mariolina Venezia. Più vicino forse a Montalbano,
per una passione mai celata di Catalano per l’ironia di Andrea Camilleri e con
un’aspirazione costante alla linea politica e di denuncia sociale propria di
Sciascia. Tanzarella ha una fidanzata, Viola Lorusso, anatomopatologa sempre
pronta ad aiutare il compagno con i suoi referti ma anche così sensibile da
attorniare “mamma Immacolata”, l’anziana madre del fidanzato, rimasta vedova ad
Ostuni e affidata a una badante.
Mi colpisce
di questo romanzo la divisione degli interessi di Catalano e dunque dell’io
narrante tra le vicende poliziesche e le premure per una mamma che a causa
dell’ Alzheimer scambia il figlio per suo marito, disprezza la cucina della
badante rumena e recalcitra all’idea che debba spostarsi all’ospedale Perrino
di Brindisi per accertamenti. Ma è l’aspetto più bello del romanzo. La creatura
che offre maggiore umanità al tutto, in quanto introduce argomenti non casuali
sulla morte e sul senso della vita. Immacolata Tanzarella che verrà raggiunta in
ospedale dalla morte. Il giovane poliziotto – ma leggi pure Ettore Catalano, rivivrà
la vicenda trattandola con i versi di
Alberto Bevilacqua in Tu che mi ascolti, offrendo parole molto toccanti.
”Credevo che la sofferenza che avevo provato quando mio padre, la mia quercia, era
venuto meno, fosse lo schianto più grande che si potesse provare: invece ora mi
sorprendevo ad avvertire uno sradicamento ancora più profondo e inesorabile,
scoprivo il buio del grembo in cui mi aveva portato, l’immensa dolcezza da cui
ero venuto fuori e il disorientamento di esistere come fosse una colpa mentre
lei non c’era più”.