Marcello Toma, Train de vie


Olio su tela, 80×120 cm, 2023.
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Parole, parole, parole 40. Gli eccessi deleteri della «cancel culture»

di Rosario Coluccia

La «Major League Baseball» (in sigla MLB) è il campionato di baseball americano al quale partecipano le più forti squadre di quella nazione. Sono celeberrimi i «Cleveland Indians», una squadra che, secondo una notizia da molti ripetuta, trarrebbe il nome Indians dal fatto che nel Cleveland giocò per alcuni anni il fortissimo Louis Sockalexis, un Nativo Americano che si riferiva normalmente alla propria squadra indicandola semplicemente come gli Indians. Altrettanto famosi sono i «Washington Redskins», leggendaria squadra di football americano, il cui logo presenta il volto di profilo di un capo pellerossa. Nel 2021 i «Cleveland Indians» hanno cambiato il loro nome in «Cleveland Guardians», scompare il riferimento agli «Indians». Un procedimento identico ha coinvolto i «Washington Redskins», che nel 2022 hanno assunto il nuovo nome di «Washington Commanders», non c’è più alcuna allusione ai «Redskins», ai pellerossa che erano richiamati nella denominazione precedente. Nell’uno e nell’altro caso il cambio è dovuto alla pressione degli sponsor e alle proteste generali contro le ingiustizie razziali. Il «National Congress of American Indians» ha puntualizzato che l’immagine stereotipa degli Indiani trasmessa dalle due squadre creava, manteneva e rafforzava (anche al di là delle intenzioni) una visione culturalmente inaccurata dei popoli nativi d’America e delle loro culture. E quindi è stato giusto eliminare quel tipo di riferimenti.

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La guerra di Vittorio Manno

di Maurizio Nocera


Nei giorni scorsi, il 6 dicembre 2024, è stato presentato nella Biblioteca comunale di San Donato di Lecce il libro di Marisa Manno, In guerra con Tale su iniziativa dell’ARCI CREA, alla presenza del sindaco Alessandro Quarta, che ha portato i saluti ed è intervenuto nel merito del romanzo storico. È intervento anche il delegato alla Biblioteca Antonio Luceri e l’editore Nando Simeone. Quella che segue è una lettura di chi qui si firma.  
Si tratta di un romanzo storico, di ricordi di una vita vissuta, al cui centro, come riferimento dell’intero romanzo, c’è il suo paese, San Donato di Lecce. L’autrice comincia a interessarsi a quella memoria, curiosa di sapere quale fosse stata la vita del padre Vittorio. Leggendo e rileggendo scopre che si tratta di una vita assai avventurosa, svoltasi durante l’epoca del fascismo. Il testo è scritto parte in italiano parte in dialetto. Molti i dialoghi o, per meglio dire, la forma del romanzo è per buona parte dialogica. In tutto si tratta di tre parti.
La prima narra della partenza della nave da Napoli con uno incipit tipico di quel secolo.
Siamo alla fine degli anni ’30, esattamente il 1938. Il soldato parte “per terre assai lontane”. Chi resta sulla banchina piange e sventola il fazzoletto bianco sperando che il proprio caro ritorni quanto prima. Francamente è un inizio commovente.

Il soldato Vittorio, che a San Donato di Lecce, faceva l’elettricista, parte con la littorina (da
fascio littorio) per andare verso Lecce per poi proseguire per il porto di Napoli. Saluta
affettuosamente la moglie Giulia e la piccola figlia Maria, le dice, in un dialetto stretto stretto: “Nu stare cu lu pensieru, stau attentu, me canusci no?”.

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Presentazione di Giuseppe Albahari, Mestieri del Novecento – Gallipoli, 14 dicembre 2024

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Intervista di Rosario Coluccia su Vocabolario Dantesco e Vocabolario Dantesco Latino – Rai Radio 3, 15 dicembre 2024

Domenica 15 dicembre 2024, durante la trasmissione La Lingua batte di radio3, dalle 10.45, andrà in onda una breve intervista che ha rilasciato Rosario Coluccia su Vocabolario Dantesco Vocabolario Dantesco Latino, nella quale il linguista salentino illustrerà gli obiettivi di questi lavori. Da non perdere!

Per ascoltare la trasmissione, clicca qui.

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Noterellando… Costume e malcostume 27. Il terminale della Bellezza?

di Antonio Mele / Melanton

Mi addolora moltissimo scriverne. Di quale argomento specifico, lo dirò più avanti.

Mi sanguina davvero il cuore, ma non si possono sminuire – e men che meno sottacere – le sempre più evidenti incongruità e inadeguatezze né l’ignavia di chi dovrebbe essere preposto a controllare e a intervenire di fronte a turpitudini di vario genere, che danneggiano ormai sistematicamente, agli occhi nostri e del mondo, l’immagine delle città e dei luoghi dove viviamo.

Né si possono accantonare le evidenti assenze dei più, comprese quelle di noi stessi: distratti o indolenti cittadini, che sembriamo avere smarrito non dico il senso del dovere civico (merce che si fa sempre più rara), ma neanche la dignità e l’amor proprio per reclamare e ribellarsi alle frequenti e progressive turpitudini, ignoranze, sciatterie, e ai vandalismi (quasi sempre impuniti) che concorrono inevitabilmente, e proditoriamente, a violentare e deturpare la nostra ‘casa comune’: che sia essa Roma, Palermo, Milano o Lecce o Galatina.

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Inchiostri 138. Primo inchiostro leccese / Per Vittorio Bodini

di Antonio Devicienti

E il poeta visionario cercò l’ombra dell’olivo nella calura dell’ora meridiana. Attorno era pietra bianca affiorante, conche di terra rossa, radi olivi o fichi.

L’aria rovente.

Seduto contro il tronco della pianta, dalla veglia meridiana generò il sogno di una città simile a una macchina di teatro o scatole di tenerissima pietra e luce. Appoggiò la città sopra la pianura calcinata dal sole e cominciò a costruirla e a percorrerla edificio dopo edificio.

Bodini si sapeva prigioniero in quell’universo copernicano e galileiano, costruì un labirinto di sogni, o poema infinito, in un giuoco a perdersi nella selva d’invenzioni, nella gratuità delle sue invenzioni, in catene o sequenze od ondate di ghirlande di pietra colonne tortili mascheroni volute balaustrate aggetti arcate doccioni figurati cornici putti alati scaloni torciglioni colonne d’angolo edicole merlature bugnati anditi e – –

Il poeta visionario soffriva, quel sonno gli procurava fitte orribili al capo. Forse era malato: malinconia o lontananza.

Poi nel sogno si sognò seduto sulla scalinata della Chiesa del Rosario, quella con le colonne tortili sulla facciata e da lì sognava la Scatolacattedrale dentro la quale accendere un teatro labirintico di specchi cortine e veli. Fece una luna di tufo (quella pietra porosa emersa dal mare, ancora intrisa di salino assieme a fossili marini) e la sospese nella Scatolacattedrale, poi la sdoppiò in un astro nero e lasciò salire, salire, salire i due globi nello spazio delle incantagioni.

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Manco p’a capa 231. Attenzione: sta montando la rabbia!

di Ferdinando Boero

Il giustiziere che punisce chi opprime i deboli è un classico del repertorio cinematografico, da Robin Hood e Zorro fino ai supereroi e ai personaggi interpretati da Bronson, Neeson, Cruise e Statham. L’uccisione del cattivo è accolta con sollievo dal pubblico: ha avuto quel che meritava. In Fight Club c’è l’11 settembre, prima che l’evento si verificasse davvero. Un recentissimo caso richiama queste suggestioni: un tale che ha fatto i milioni con le assicurazioni, magari negando l’aiuto promesso, grazie a una piccola clausola in un contratto incomprensibile, è stato assassinato (attenzione: non “giustiziato”) da un apparente “giustiziere” che sui proiettili ha inciso parole che richiamano le modalità con cui le assicurazioni negano quanto promesso.
Circolano pubblicità che promettono grandi guadagni dall’investimento dei propri risparmi, dichiarando che il capitale è a rischio e può essere perduto. Una pubblicità prometteva: Obiettivo di protezione costante e Puoi chiedere il rimborso quando vuoi e poi, piccolo: non vi è garanzia di rendimento o di restituzione del capitale. La protezione costante è un obiettivo, ma potrebbe non essere raggiunto; il rendimento non è garantito, puoi chiedere la restituzione, ma la richiesta potrebbe non essere accettata! Quanti hanno perso i propri risparmi, affidati a gestori di investimento che promettevano mirabilie, firmando contratti con clausole scritte in piccolo?

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Curiosità

di Paolo Vincenti

“Sono già via
scrivo da questo mare, sono già via
non si farà legare l’anima mia
fatta di roccia più dura
perché l’anima è un concetto senza età
senza famiglia né bandiera”

(Ulisse– Enrico Ruggeri)

Che cos’è la curiosità? La definizione del Devoto Oli: “desiderio abituale o episodico di rendersi conto di qualcosa per vie insolite o per motivi personali, talvolta, sintomo di indole leggera e pettegola, ma non necessariamente biasimevole”. Cicerone, nelle Tusculanae disputationes, parla di curiosus nel senso di “curioso, indagatore” (“Chrysippus… est in omni historia curiosus”1), ma anche nel De finibus dice curioso nel senso di “molesto, importuno”, dal greco periegos2. Nel linguaggio parlato, che attinge dal dialetto, curioso vale “stravagante, bizzarro”, “è curiosu” in dialetto salentino indica una persona di spirito, simpatica, pronta a fare battute, mentre “curiositusu” indica una persona che si interessa di tutto, spesso impiccione, ficcanaso. Si tratta di una forma di curiosità pettegola diffusa soprattutto nei paesi di provincia, nei borghi rurali o montani della nostra Italia, in quei posti insomma in cui ci si conosce un po’ tutti ed è facile che ciascuno voglia sapere di più della vita degli altri, parenti o amici che siano. In psicologia si intende con questo termine una motivazione di base, comune all’uomo e all’animale, che spinge alla ricerca del nuovo, all’esplorazione, alla ricognizione di ciò che è estraneo a sé stessi e al proprio ambiente. Non è un bisogno primario fisiologico, come mangiare e bere, ma muove un impulso dentro di noi che trova soddisfazione nel momento in cui viene realizzato. “Dato il tipo di attività essenzialmente rivolta al conoscere, la curiosità si può definire anche come motivazione cognitiva alla base di qualunque comportamento rivolto ad esplorare e conoscere il mondo esterno”3. La curiosità appunto non è mica un male, anzi, se è appassionata, spinge i creativi a comporre le proprie opere, si manifesta come ispirazione, fervore, uzzolo, ghiribizzo, sfizio. Se gli scrittori non osservassero le vite degli altri come produrrebbero i libri oppure i cantanti impegnati, oggi i trapper, cosa scriverebbero nelle loro canzoni? Se i giornalisti non indagassero nella vita dei personaggi pubblici come produrrebbero le loro inchieste? La curiosità muove i ricercatori e gli esploratori, spinge i naviganti a mettersi in viaggio. E il viaggio è ragione di vita per Ulisse, l’uomo “dal multiforme ingegno”, definito da Omero polùtropos, “versatile”, da Livio Andronico versatus, e da Orazio duplex4, che diviene per Dante (nel XXVI Canto dell’Inferno) uomo astuto e intraprendente, mosso da inestinguibile curiosità verso il mondo e le cose, riscattato dalla condizione di brutalità e spinto verso la virtù e la conoscenza. Quella curiosità è forte in colui che “al largo sospinge ancora il non domato spirito”, come dice Umberto Saba nella poesia intitolata proprio Ulisse.

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Presentazione di Paolo Vincenti, Donne di potere nell’Alto Medioevo . Supersano, 12 dicembre 2024

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Il valore dell’arte e quello dei soldi

di Gigi Montonato


Tycoon cinese mangia la banana di Cattelan,

Su cosa sia l’arte si discute da sempre, è una delle discussioni più ricorrenti e appassionanti di ogni tempo. Nei manuali scolastici di filosofia vengono proposti all’uopo due riferimenti fondativi, Platone e Aristotile. Uno diceva che l’arte è imitazione dell’Idea che è nell’Iperuranio, l’altro riteneva che l’arte è imitazione della Natura; uno guardava al Cielo, l’altro alla Terra. In comune l’imitazione. Gira e rigira ancora oggi è così.

Il caso del nababbo giapponese che si è assicurato la banana di Cattelan per sei milioni e duecentomila euro, che peraltro ha poi mangiato, ha riproposto la questione di che cosa sia l’arte, non senza risvolti umoristici e irritanti. Mi spiego con un aneddoto vero. Un giovane di qualche anno fa, di quale paese non ha importanza, diplomato all’istituto magistrale e perciò maestro di scuola, regolarmente disoccupato, se ne andava in giro piuttosto sbiellato per ragioni un po’ ereditate e un po’ trovate nella società. Aveva scritto perfino un opuscolo, Teoria folle della vita, e un po’ per gioco, un po’ per finta e un po’ sul serio dava di matto. Quando aveva bisogno di soldi prendeva un pezzo di carta e vi scriveva sopra “vale L. 10.000”, o “100.000”, a seconda di quanto gli serviva in quel momento. Si presentava allo sportello di una banca o dell’ufficio postale e chiedeva all’impiegato di cambiargli la “banconota”. Alla risposta di quello, un po’ sorpreso e un po’ divertito, farfugliava poche parole e poi se ne andava. Non era un tipo pericoloso, per fortuna sua e degli altri.

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Taccuino di traduzioni 12. Omaggio a Pierre Alféri

di Antonio Devicienti

Portrait of Pierre Alferi 09/03/2022 ©Jean-Luc Guerin

Lavata dalla notte la città ha
un’aria di corte assolata
e deserta (rumore
sommesso dalla scuola) –
nessun adulto mi vede
– un banco,
una sbarra a più accessi,
imposte accostate, finestre chiuse –
meno che al secondo piano due
bolle d’intimità
penetrate dall’obiettivo –
una vecchia coi riccioli,
un giovane elegantissimo
fanno capire che
essere è essere
attraversati
dal pieno giorno – un rumore d’otturatore,
una pausa:
hanno chiuso insieme
sul fare del mattino
i finestrini di un convoglio
in partenza.

Lavée par la nuit la ville a
des airs de cour ensoleillée
déserte avec la rumeur
off de l’école —
aucun adulte ne me voit
— un banc
une barre à entrée multiple
volets fermés, fenêtres closes
sauf au deuxième deux
bulles d’intimité
crevées par l’objectif —
une vieille mise en plis
un jeune épinglé
posent la condition
être c’est être
percé
à jour — un bruit d’obturateur
une pause
ils ont fermé ensemble
sur le premier temps du matin
les hublots d’un convoi
qui démarre.

(da Brefs, P.O.L. Éditeur, 2016)

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Nuove segnalazioni bibliografiche 36. Invidia

di Gianluca Virgilio

La “norma fondamentale” che caratterizza il pensiero dei Greci in epoca arcaica e classica è che “la vita deve essere una mescolanza di beni e di mali, il principio empirico secondo il quale una fortuna eccessiva finisce inevitabilmente in una catastrofe e infine il destino, che una volta assegnato non può essere cambiato” (p. 190). Desumo questa citazione da un recente libro di Dino Baldi, È pericoloso essere felici, Quodlibet, Macerata 2023, che reca come sottotitolo L’invidia degli dèi in Grecia. Gli esempi che l’autore fa nel corso della sua trattazione sono molti: Prometeo, Creso, Policrate, Serse, Agamennone, le cui vicende finiscono in tragedia per l’intervento inesorabile del phthonos theòn, ovvero l’invidia degli dei, che non tollera la loro “felicità”. Il virgolettato serve a chiarire che il termine “felicità” va inteso nel senso più ampio, come sinonimo di potenza, ricchezza, benessere raggiunto e goduto nella sua pienezza, a tal punto da suscitare il risentimento divino. Platone ed Aristotele inaugureranno un diverso modo di guardare al divino, non più preda delle più basse passioni umane. Come può un dio essere invidioso? Noi oggi certo non lo capiamo ed è per questo che la moderna concezione del divino inizia con i due grandi filosofi su menzionati, che tanta parte hanno avuto nell’elaborazione della teologia cristiana.

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To’ francate

di Giuseppe Greco

To’ francate te pasta

to’ francate te luna

to’ francate te celu

            pe’ ttie

            ca cusi scusi sciurnate           

            ‘mpise a llu jaggiu

comu sira ‘llucisciuta a lle stelle

to’ francate te luce

intr’a luce t’u scuru

intr’i culori t’u core               

intr’a mmare ogni giurnu

to’ francate t’amore.

                (10.2.2002 h. 00,16)

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Gaetano Minafra, Arte sacra 17. Madonna con bambino

Colori acrilici, pietre preziose su legno, cm. 55 X 70, 2021.
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Il Festival di Sanremo e il gesto disperato di Luigi Tenco

di Antonio Errico

Quando cominciò era il principio degli anni Cinquanta. C’erano ancora le macerie della guerra. Presentava Nunzio Filogamo: cari amici vicini e lontani. Vinse Nilla Pizzi che cantava così: “Grazie dei fior. Fra tutti gli altri li ho riconosciuti. Mi han fatto male, eppure li ho graditi”.

L’ Italia era povera, rurale, contava 4 milioni di analfabeti; forse era anche allegra nella sua innocenza, certamente triste nella sua miseria. Un chilo di pane costava 115 lire, la pasta 180, la carne 870; un paio di scarpe da uomo 4.700, un biglietto del cinema 130 lire.

Poi quegli anni andarono e ne vennero altri; vennero altre storie. Poi venne e passò il Sessantotto; vennero e passarono gli anni di piombo, la stagione delle stragi, gli anni del riflusso, quelli dell’effimero; cambiarono i costumi, le mode, le voghe, cambiarono i governi, i papi, i partiti. Sotto i ponti passarono fiumi in piena, che travolsero molto, lasciando relitti galleggianti.

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L’una e l’altra vista

di Antonio Prete

Versa il rosa nel platino, l’aurora.

Poi nel celeste si dissipa il giorno.

E la luce del meriggio riaccende

nella pietra il respiro.

.

Nella spenta trasparenza s’inombrano

le piante. Si scurisce l’arabesco

dei larici nel brividio del lago.

.

Vestita d’alabastro

la luna solca il neroblu del cielo.

.

Un’altra luce penetra le tende,

fruga in perdute stagioni, diventa

fondale chiaroscuro

al ricordo, al pulsare dei pensieri.

.

Difficile conquista l’armonia

tra l’una e l’altra vista.

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Luigi Latino, Robotizzati


Acrilico su tela cm 40×50, 2024.
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Parole, parole, parole 39. L’ideologia woke e l’«immondo sangue dei negri»

di Rosario Coluccia

Woke (letteralmente ‘sveglio’) è un aggettivo inglese con il quale ci si riferisce allo ‘stare allerta’, ‘stare sveglio’ nei confronti delle ingiustizie sociali o razziali. Con questo significato la voce si è diffusa nella lingua inglese nel 2017 attraverso il movimento attivista statunitense Black Lives Matter (letteralmente: ‘Le vite dei neri contano’) originatosi all’interno della comunità afroamericana, impegnato nella lotta contro il razzismo, specificamente quello diretto contro le persone nere. Black Lives Matter negli Stati Uniti d’America organizza manifestazioni per protestare contro la discriminazione razziale, la disuguaglianza del sistema giuridico, la brutalità della polizia. Il movimento è diventato mondialmente noto nel 2020, a seguito dell’omicidio di George Floyd avvenuto il 25 maggio di quell’anno nella città di Minneapolis, in Minnesota. Il filmato dell’arresto, in cui un agente di polizia tiene immobilizzato Floyd premendogli per quasi nove minuti il ginocchio sul collo, ebbe vasta diffusione nei media internazionali e portò a manifestazioni di protesta contro l’abuso di potere da parte della polizia. Ho rabbrividito vedendo le immagini girate da una passante, trasmesse da centinaia di reti televisive e visualizzate su milioni di telefonini, ma la conversazione avvenuta in quei terribili 8 minuti e 46 secondi in cui un omone enorme schiaccia con il suo ginocchio il collo di Floyd è ancora più atroce, se possibile. «I cant’ breathe» ‘non respiro’ ansima Floyd più volte. E l’agente di rimando, continuando a gravargli sul collo: «Basta parlare, basta urlare. Ci vuole un sacco di ossigeno per parlare».

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Ufficio Smarrimenti & Ritrovamenti

Una ‘drammatica’ cronaca barese d’altri tempi

di Antonio Mele ‘Melanton’

         All’Ufficio “Smarrimenti & Ritrovamenti” di Bari, non lontano dal nuovo Teatro Margherita e dal Lungomare, c’era molta folla, quella mattina del primo agosto dell’anno di grazia 1929, e i due Impiegati facevano gran fatica a esaudire le numerose e pressanti richieste del pubblico.

         Uno Strano Signore, completamente decapitato, agitava freneticamente verso lo sportello una fotografia che riproduceva un volto a grandezza naturale, e di tanto in tanto l’avvicinava a sé, ponendosela sul collo.

      Il Maggiordomo che l’accompagnava cercava di spiegare all’Impiegato dietro lo sportello: – Vedete? il signor Conte ha perso la testa per una Ballerina… Osservate bene la fotografia e controllate cortesemente se la testa del signor Conte è stata ritrovata!

      Alle loro spalle, tra sbuffi e spintoni, un Uomo col cappello sulle ventitré farfugliava rumorosamente che l’avevano mandato lì perché aveva perso la memoria, mentre un Celebre Oratore seguitava ad urlare: – Insomma, sono due settimane che vengo qua, e domani ho la conferenza… Allora, l’avete trovato il filo del mio discorso?”.

      La confusione cresceva, finché sul posto non intervenne un burbanzoso Gendarme, con tanto di mustacchi scuri e di sciabolone alla cintola, che con voce poderosa ordinò: – Silenzio, o faccio sgombrare! Poi, con tono sarcastico, aggiunse: – Ci mancherebbe che, oltre al resto, perdiate pure la calma!

      La folla zittì, e sotto lo sguardo severo del Gendarme ripresero le richieste.

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