Come domarono il Samovar

di Evgenij Permjak



Vasilij Perov, Un tè a Mytišči. 1862.

La gente racconta le stesse favole, anche se in modo diverso. Ecco cosa mi raccontò mia nonna…

Fokà, Testa Quadrata, il Capomastro dello Stato, aveva un figlio. Anche lui di nome Fokà, come il padre, e, come suo padre, Fokà Fokič era assai sveglio e intelligente. Niente poteva sfuggire al suo perspicace sguardo. Ad ognuno sapeva assegnare un mestiere. Insegnò persino ad una cornacchia a gracchiare prima della pioggia, facendola diventare un’ottima esperta delle previsioni del tempo.

Un giorno, Fokà Fokič stava seduto, a prendere il the. Il suo sguardo perspicace si soffermò a guardare il Samovar sulla tavola, da cui, attraverso la valvola dello sfiato, usciva un denso vapore forte con un fischio sibilante. Tanto forte era il vapore che, persino sulla testa di quel panciuto di Samovar, tremava la teiera di porcellana sopra il suo fornello-diffusore di calore.

«Guarda, guarda, che forza potente viene sprecata per niente! Sarebbe bello trovarti, mio caro Samovar, un buon mestiere» – disse Fokà Fokič, riflettendo intanto sul modo con cui ciò si potrebbe fare.

«Quale altro mestiere?» – sbuffò, ansimando il panciuto Samovar indolente. «Sono già fin troppo impegnato nel far bollire l’acqua, scaldare la teiera di porcellana, rallegrare le anime col mio canto ed abbellire una tavola.»

«E’ vero» – disse Fokà Fokič. «Ogni scemo è capace soltanto di cantare e di ostentare la bellezza. Per esempio, Samovar, non sarebbe niente male adattarti a trebbiare il frumento.»

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