di Paolo Vincenti
Verso Sant’Elena (Milano, Bompiani, 2019, pp. 192), di Roberto Pazzi, è un romanzo che narra le vicende di un grande protagonista della storia, Napoleone Bonaparte, quando a bordo della nave inglese Northumberland, nell’ottobre del 1815, viaggia verso la sua ultima mèta, uno scoglio sperduto nell’Atlantico, dove gli Inglesi lo avevano condannato a terminare i suoi giorni. Il romanzo riprende proprio l’ultimo tratto del viaggio, quando l’approdo a Sant’Elena è ormai vicino, e tutta la narrazione si svolge in una notte. Una notte da tregenda, o notte dell’Innominato, anche se alla fine non c’è alcun pentimento, a differenza di quanto accade nell’opera di Dickens, Leggenda di Natale, a cui questo libro fa istintivamente pensare, quando al termine degli incontri con i vari fantasmi dei natali passati, il vecchio Scrooge si pente e decide di cambiar vita. Napoleone non cerca un’assoluzione anche perché sa che nessuno gliela darà. Anzi, è certo che Sant’Elena sia la sua fine, che niente potrà salvarlo, ma forse proprio la consapevolezza di essere giunto all’ultimo atto lo spinge di converso a sognare, a lasciarsi andare ad una lunga serie di riflessioni e considerazioni che, proprio per le condizioni oggettive in cui maturano, appaiono sincere. Napoleone è un uomo navigato, “tutto ei provò”, come dice Manzoni, è caduto, poi risorto, poi caduto ancora. Ha conosciuto la gloria, il brivido dell’onnipotenza, si è fatto esperto degli uomini e della vita, come Ulisse, ha viaggiato tanto, ma non c’è nessuna petrosa Itaca che lo aspetta, alla fine del mare, nessuna Penelope in trepidante attesa, nessun fedele servitore, alcuna speranza di riscatto: c’è solo lo scoglio inospitale di Sant’Elena, della sua isola prigione.