di Viator
Vorrei essere fieno sul finire del giorno
portato alla deriva
fra campi di tabacco e ulivi, su un carro
che arriva in un paese dopo il tramonto
in un’aria di gomma scura.
Angeli pterodattili sorvolano
quello stretto cunicolo in cui il giorno
vacilla: è un’ora
che è peggio solo morire, e sola luce
è accesa in piazza una sala da barba.
Il fanale d’un camion,
scopa d’apocalisse, va scoprendo
crolli di donne in fuga
nel vano delle porte e tornerà
il bianco per un attimo a brillare
della calce, regina arsa e concreta
di questi umili luoghi dove termini,
meschinamente, Italia, in poca rissa
d’acque ai piedi d’un faro.
E’ qui che i salentini dopo morti
fanno ritorno
col cappello in testa.
Della triade poetica salentina del Novecento, Comi-Pagano-Bodini, chi rappresenta meglio la sua terra d’origine è il terzo nell’ordine elencato, Vittorio Bodini (1914-1970). Comi si forma nel Nord, tra Parigi-Firenze-Roma, e risente di esperienze europee; Pagano viene influenzato dai “maledetti” francesi, da lui tradotti, perfino nella vita; Bodini resta mediterraneo, tra Salento e Spagna. La Spagna dei colori e delle atmosfere esteriori, il Salento della noia e dell’infinita periferia della terra. Se l’operazione fosse valida si potrebbe mettere insieme in un unico corpo i suoi versi più noti o – se vogliamo – più celebri. Il resto sono variazioni sul tema.
In Finibusterrae (Dopo la luna, 1952-1955; ed. Macrì) troviamo molto della sua Anschauung. Le cartoline: “fieno sul finire del giorno”, “campi di tabacco e ulivi”,”carro…in un paese dopo il tramonto”. La visività introduce la cartolina dell’anima: “un’ora / che è peggio solo morire”. La desolazione è resa plastica dalla “sola luce…in piazza una sala da barba”. Il surrealismo del “fanale d’un camion” scopre “crolli di donne in fuga” tra suggestioni bibliche (“scopa d’apocalisse”) e il bagliore sulla “calce, regina arsa e concreta”. E in chiusura la damnatio dei luoghi: “dove termini, meschinamente, Italia, in poca rissa d’acque ai piedi d’un faro”; che sono lo Jonio e il faro di Leuca. Il “…greco mar da cui vergine nacque / Venere” (Foscolo).
Stati d’animo d’un poeta insoddisfatto, che altrove aveva scritto: “Qui non vorrei morire dove vivere / mi tocca, mio paese, / così sgradito da doverti amare” (La luna dei Borboni, 1950-1951; ed. Macrì).
Gli stessi luoghi, che tra il secolo bodiniano e il nuovo sarebbero stati ri-scoperti dal mondo come incantevoli; con cui i nuovi poeti salentini – che sono fondamentalmente i cantanti – sono entrati in perfetta sintonia!
Ma, allora, per diventare qualcuno, era necessario andarsene altrove; e, per avere finalmente il riconoscimento della propria gente, ritornare “dopo morti…col cappello in testa”.
[“Presenza taurisanese, agosto 2016]