di Viator
E’ una palpebra malata
ad avvertirmi che Lei s’è mossa.
Non so da quanto partirà lontano
ma son sicuro ch’abbia scelto, ormai.
E’ una palpebra malata
a segnalare la trasformazione.
Quella borsa di pelle nell’angolo
d’uno sguardo mutato
riduce a sipario allusivo,
riduce a sacco di lacrime facili
una finestra che ignorando paure
si aprì felice sul mondo.
Ansioso rimango a spiare.
E’ come se una parte morta di me
dallo specchio ammiccasse
che gran tempo del vivere passò.
Florio Santini (!923-2007) non poteva essere che un tosco-salentino; per quel suo essere narciso da non sopportare altri narcisi. Tosco di nascita, salentino d’adozione. Un narciso al quadrato, perché oltre che della sua anima era innamorato del suo corpo. Lucchese, poi cittadino del mondo, addetto cultura in varie ambasciate d’Italia asiatiche e africane, approdato a Porto Badisco come Enea. Amante di simboli e metafore, si riconobbe in uno dei più suggestivi e curiosi personaggi del mosaico di Otranto, l’asino con l’arpa. E disse: io sono l’Asino Arpista. Ero qui da tanti secoli. Visse come un personaggio letterario, fra Otranto e Casamassella, in un angolo del castello dei De Viti De Marco, dove ogni tanto si facevano ricevimenti nuziali. Tentò perfino di ricreare nei paraggi atmosfere toscane in scenari salentini. Il suo ristorantino letterario andò male.
Aveva un tumore, che lui ironicamente considerava un “clandestino a bordo”. Teatrale, quanto bastava per accorgersi che ad un certo punto la parte era finita, che il sipario calava su tutto; confuse la realtà con la finzione, la vita col sogno; e fu sincero in entrambe le dimensioni, sì da lasciare nel dubbio chi lo conobbe e lo lesse. Tutto gli suggeriva qualcosa, lo ispirava, lo svelava. Disorganico in ogni suo essere e apparire, lasciava grani di saggezza dove meno te l’aspettavi, poesie su cartoline, informalmente inviate con una foto o un’immagine.
“E’ una palpebra malata”, inserita in uno dei suoi ultimi libretti,“Anche la vita ha i suoi scavi” (2001), propone un intricato ricamo, in cui più immagini si sovrappongono e s’intrecciano. Qualcosa nel suo corpo lo avverte di un cambio, di una rottura. In gioventù era stato un bel giovane, colto, brillante; e di conquiste …ahi quante! Ora la sua immagine nello specchio appare deformata dal tempo; una “palpebra malata” gli dice che “Lei s’è mossa”: “Non so da quanto partirà lontano / ma son sicuro ch’abbia scelto, ormai”. Lei, chi? Qualcosa è cambiato in lui, e quella “palpebra” gli segnala “la trasformazione”, l’approssimarsi di un arrivo. Diventa sipario che nasconde “una finestra che ignorando paure / si aprì felice sul mondo”. Ora trattiene un “sacco di lacrime facili”. Non gli resta che rimanere “ansioso…a spiare”, mentre l’ora e il male deturpanti gli ammiccano “che gran tempo del vivere passò”.
[“Presenza taurisanese”, giugno-luglio 2016]