di Antonio Errico
A volte si ha l’impressione che il tempo che stiamo attraversando non produca nessuna bellezza, che tutta la bellezza che abbiamo intorno, quella bellezza su cui possiamo contare, provenga esclusivamente dal passato. Potrebbe anche essere un’impressione sbagliata; potrebbe anche essere che questo tempo stia producendo una bellezza che noi a volte non riusciamo a riconoscere, non riusciamo a comprendere. Forse stanno cambiando o sono cambiati strutturalmente i codici, i canoni, le fisionomie con cui la bellezza si propone. Forse stanno cambiando o sono cambiati strutturalmente i linguaggi con cui la bellezza si esprime. Forse si tratta di imparare a ricercare o ad interpretare la nuova bellezza che non stiamo riuscendo a vedere o a capire. Oppure, se questa nuova bellezza non esiste, si tratta di determinare le condizioni per crearla. Perché un tempo e un luogo senza bellezza non possono esistere. Ma forse nessuno di coloro che hanno un’idea di bellezza storicamente stratificata può elaborarne una nuova. Forse soltanto i bambini sono in grado di elaborare nuove idee e nuove forme di bellezza, perché forse soltanto i bambini possono avvertire un sentimento della bellezza del tutto nuovo.
Ogni rapporto con la bellezza comincia da un sentimento: da una percezione, un’intuizione, uno stupore, che nel tempo si elaborano assumendo e integrando cognizioni e categorie culturali. L’infanzia è l’universo della percezione, dell’intuizione, dello stupore. Il processo di conoscenza della bellezza, dunque, comincia da lì, da quell’universo che sovrappone le sfere della natura e della cultura. E’ dentro quell’universo che matura il senso della relazione con gli esseri e le cose. Tutto quello che sarà dopo, il modo in cui sarà, dipenderanno dalla profondità delle tracce che il tempo dell’infanzia ha lasciato, dalla disponibilità nei confronti della bellezza che quel tempo avrà determinato.