di Viator
Ho fiancheggiato le serre salentine,
dall’altro lato una tempesta
di fiori di tabacco.
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Ho attraversato paesi
nell’umidore d’uno scirocco fiaccante.
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Sono arrivato a Taurisano
nell’ora della Messa vespertina.
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Nella tua casa fanno il nido le rondini.
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Com’è lontana Tolosa
e il buio secolo.
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Ma che aria di sonno
nella tua patria di cenere,
o Vanini!
Ercole Ugo D’Andrea (Galatone, 1937–2002) è stato tra i poeti più esclusivi del Novecento salentino: un crepuscolare in vita e in arte: “Io la mia vita / la sto morendo tutta”, con echi ungarettiani; un simbolista: “Dio usciva dalla credenza, / dal fumo caldo della zuppiera, / intorno camminava un gatto”. Così in Scardanelli, una sua piccola raccolta di poesie. Scardanelli, uno dei tanti nomi in cui Hölderlin, poeta romantico tedesco, uno dei più grandi della lirica universale, vagava alla ricerca del proprio <io> smarrito. D’Andrea ne era suggestionato.
Elegante ed epigrammatico, la parola forbita corrispondeva alla sua leggerezza. La noia che esprimeva era la stanchezza di un esteta. La pesantezza della vita in lui era eterea. La quotidianità s’elevava e la sua ineliminabile salentinità si coniugava con la più aristocratica poesia europea.
Tra i suoi corrispondenti, poeti come Betocchi e Luzi, critici come Macrì e Ramat. La sua poesia era popolata di poeti, di scrittori, di pittori, di musicisti. E la sua Silvana, che appariva nei versi e scompariva.
«Il poeta – diceva – oggi deve sempre chiedere scusa di esserci». Viveva la crisi della figura del poeta nella società contemporanea in naniera filosofica. Contro i tempi non val combattere. Si vive e si muore, chi da poeta e chi da filosofo.
Si sentiva affascinato dalla figura di Giulio Cesare Vanini, il filosofo arso a Tolosa. Salentinità a parte, D’Andrea aveva incontrato Vanini leggendo Hölderlin, che al filosofo di Taurisano aveva dedicato una lirica. Un po’ di anni prima D’Andrea aveva visitato la casa del filosofo a Taurisano e scritto una poesia, con l’esergo hölderliniano “O sacro uomo!”, poi compresa nella Confettiera. Hölderlin e Rilke erano suoi riferimenti costanti.
I fiori di tabacco, l’umidore d’uno scirocco fiaccante, l’ora della Messa vespertina, il nido delle rondini, l’aria di sonno, la patria di cenere, concorrono a creare atmosfere levantine e crepuscolari, dalle quali non si può non cogliere una mediata condizione di sospirosa denuncia.
[“Presenza taurisanese”, ottobre 2015]