di Antonio Errico
Per dove vanno quegli incantati cavalieri, sul loro cavallo a dondolo, fra terra, mare e cielo, verso quale avventura, quale destino, quale mistero di tempo, con quale desiderio dentro, quale nostalgia, quale ricordo. Verso quale orizzonte vanno, quale lontananza, quale terra estrema, verso quale regno senza sudditi e senza sovrani, quale visione hanno dentro gli occhi, quale inconfessata tristezza, quale sentimento di partenze che non contemplano l’affanno del ritorno.
Verso quale terra di utopia intraprendono il viaggio, quei cavalieri che stanno fra un poema dell’Ariosto, una pagina di Cervantes e una fiaba popolare.
Vittorio Tapparini disegna un mondo parallelo, un universo che risponde solo alle regole della magia, generato da un incantamento, una meraviglia, uno stupore. Da questo provengono le sue figure, esiti di una delicata allitterazione: da una fantasia di oltremondo che riformula, riconfigura, ricompone immagini del reale, le trasforma e le organizza in sequenze di narrazione. Perché è una narrazione di forme e di colori la pittura di Vittorio Tapparini. Ma di questo si dirà fra qualche riga.
Un mondo di utopia, dunque, quello di Tapparini. Dove tutto accade pur nella immobilità assoluta; dove nulla accade pur nella continua mutazione Una condizione favolosa, di straordinarietà. Apparizioni improvvise, sorprendenti. Un luogo ameno. Un’età dell’oro. Una metamorfosi del generale e del particolare. Una felicità possibile. Un dolore inesistente. Ma forse soprattutto: un desiderio di conoscenza, un sogno ad occhi aperti, un ininterrotto stupore. Le figure di Tapparini sono alterazione del tempo, sono dilatazioni dello spazio, sconfinano, si aprono all’accoglienza dell’alterità, si proiettano verso l’altrove. Sono in una sospensione, in un prolungamento dell’esistenza, nella indeterminatezza del sogno.
E’ il sogno l’orizzonte del viaggio di Tapparini. Verso questo orizzonte vanno le sue creature fatte di colori che brillano, scintillano, risplendono. Quelle sue creature trasognate, spensierate come bambini sulla giostra, con un’armonia disegnata sopra il volto a contraddire la disarmonia delle proporzioni.