di Viator
Sono uscito nell’orto mite
di settembre a guardare il limone,
l’albero venerando d’età
ferito dal solco delle nevi
e dei venti, inclinato sul muro
a sorreggere la sua decrepitezza,
ora invasa dall’abbraccio mortale
d’una vite selvaggia.
Nel cristallo dell’autunno incipiente
brilla tuttavia l’oro dei suoi frutti,
se ne effonde il profumo.
Così a questa mia piccola vigilia
simile fecondità non sia negata.
Poeta è colui che vede nelle cose quel che altri non vedono. I filosofi li giudicano “filosofi”. Fra gli altri, in Italia, Emanuele Severino. Fuori, Martin Heidegger. Due grandissimi della filosofia del Novecento. Anche per questo Giovanni Bernardini (1923-2020), poeta tra i più rappresentativi del Salento, con ascendenze abruzzesi, affidò a Giovanni Invitto, un filosofo, una postfazione alla sua raccolta di poesie Nel mistero del tempo (2005). La poesia che qui proponiamo “Il limone” ne fa parte.
Fin dall’incipit il poeta crea un rapporto diretto fra la sua condizione, il tempo e l’oggetto. E’ settembre, mese di serenità autunnale, ovvero, trasposto nell’umano, di vecchiaia, “l’orto mite / di settembre”, fuori un “limone…venerando d’età”. Il poeta all’epoca ha 92 anni. Il limone metafora della vita: “ferito dal solco delle nevi / e dei venti”, dai dispiaceri, dai dolori, dagli insuccessi, dai drammi esistenziali. Ma l’albero è ancora capace di reggersi, aiutandosi con quanto gli è d’attorno, di vivere, di dare frutti nonostante la vecchiaia: “inclinato sul muro / a sorreggere la sua decrepitezza”, che non è la sola condizione di sofferenza, “ora invasa dall’abbraccio mortale / d’una vite selvaggia”. E’ l’uomo che nemmeno in tarda età è risparmiato dall’irriverenza della vita. La “vite selvaggia”, che lo avviluppa e l’immobilizza, è l’imponderabile, l’inaspettato che aggrava una condizione già di sofferenza. Nella vita per una mano che ti solleva (il muro) un’altra sembra spingerti (la vite selvaggia). In simile condizione il poeta esprime ottimismo nel pessimismo. Quel limone sfida tutto e tutti: “brilla tuttavia l’oro dei suoi frutti”, ne effonde tutt’intorno il profumo, quasi a marcare una vittoria. Il parallelismo è chiaro. Le poesie di questa raccolta sono la prova di capacità creativa del poeta, che vale quella produttiva del limone. Il poeta, venerando quanto il limone e sofferente alla pari, si augura che “nella [sua] piccola vigilia (involontaria corrispondenza con l’Ulisse dantesco) simile fecondità non sia negata”.
[“Presenza taurisanese” anno XXXIX – N. 329, Luglio-Agosto 2021, p. 7]