di Antonio Errico
Dal 4 gennaio al 20 giugno di quest’anno, nelle librerie online e fisiche, e nella grande distribuzione, sono stati venduti 15 milioni di copie di libri a stampa in più rispetto al 2020. Considerando questi risultati forniti dall’ufficio studi dell’Associazione Italiana Editori, su dati NielsenIQ, viene da pensare che le stagioni del libro di carta non sono ancora passate e che probabilmente non passeranno: non nel secolo che corre, quantomeno. Viene anche da pensare che probabilmente aveva ragione Umberto Eco quando diceva che il libro è come il cucchiaio, il martello, le forbici, la ruota, che una volta inventati non si può fare di meglio. Peraltro c’è da tener conto del fatto che noi abbiamo le prove che un libro di carta dura anni, decenni, secoli; per gli e-book, invece, non abbiamo, almeno per adesso, le stesse prove. Certo sarebbe straordinaria una biblioteca dentro casa con gli scaffali traboccanti di libri di carta e in mezzo ad essi gli e-book. Sarebbe straordinaria una biblioteca del genere in ogni piccolo paese di provincia, centinaia, migliaia di biblioteche del genere in ogni grande città. Libri di carta ed e-book messi insieme. Però vorrei permettermi il suggerimento di non dare mai un e-book in mano a un bambino che comincia a leggere.
A un bambino che comincia a leggere si devono dare quei grandi, cartonati, colorati libri di fiabe, quelli che uno s’incanta soltanto a guardarli, quelli con cui devi per forza imparare a leggere perché inconsciamente senti che la loro bellezza non la puoi tradire. Quando l’infanzia sarà passata, quando diventerà lontana lontana, a quel bambino resteranno i colori magici di quelle immagini, il ricordo dei suoi occhi rapiti dalla meraviglia. Lo racconta Jean Paul Sartre in Le parole tradotto da Luigi De Nardis per il Saggiatore nel 1982. Probabilmente non passeranno mai le stagioni del libro di carta. Forse perché soltanto il libro di carta consente di scendere nelle profondità dei significati, di ritornare sui concetti, di confrontare testi diversi. Ma le generazioni cambiano e cambiano i saperi e cambiano anche gli strumenti con i quali le generazioni si confrontano con i saperi. E’ normale che sia così; è anche giusto che sia così. Non solo è giusto e normale: è anche bello che i territori del sapere vengano attraversati con strumenti diversi. L’importante è non sostituire, non archiviare. L’importante è usare gli strumenti quando servono e nel modo in cui servono.