di Antonio Errico
Fra qualche giorno, l’8 di luglio, il filosofo, sociologo, antropologo francese Edgar Morin avrà cent’ anni. Interprete del Novecento con lo sguardo scagliato verso questo nuovo secolo, questo nuovo millennio. Maestro di intere generazioni. Riferimento imprescindibile se si intende tentare di comprendere l’uomo di questo tempo e questo tempo per l’uomo che lo attraversa, a volte sorpreso, sbalordito da quello che gli accade intorno. Ha detto dell’incertezza che pervade ogni conoscenza, della necessità di confrontarsi continuamente con l’incognita, con la crisi che coinvolge i risultati raggiunti da qualsiasi scienza. Si è chiesto a quale luogo apparteniamo, a quale terra, qual è la condizione che viviamo, qual è l’identità che ci rappresenta, quella con cui l’altro ci riconosce, con cui noi stessi ci riconosciamo, qual è il senso che diamo al nostro abitare un dove, quello che ci spinge verso un altrove, quale vincolo ci tiene insieme, quale disinteresse ci separa. Ha lanciato il pensiero nella pluralità dell’identità, in quella delle culture, nella mescolanza delle storie, nei tratti differenti e comuni dei riti, nella diversità delle religioni, in tutti gli elementi di natura antropologica che coesistono nei confini di uno spazio, dimostrando la possibilità e l’urgenza di condividere i destini, l’avventura del transito su questa terra.
Morin ha insegnato che per tutto il XX secolo l’uomo si è ritrovato a confrontarsi con la condizione dell’inatteso, dell’evento che innesca conseguenze imprevedibili, che la storia, la conoscenza, il reale, si sono fondate e sviluppate sul senso dell’inatteso, dell’incertezza.
Il Novecento ha abituato ( si potrebbe dire che ha educato) l’uomo a vivere sugli argini di un baratro che da un istante all’altro potrebbero franare.
La paura dell’arma nucleare è stata ed è realtà e metafora di questo baratro.
Ha deprivato la civiltà del senso del futuro; fortunatamente non della speranza. Non ancora.
Il crollo della certezza storica ha sepolto tra le macerie anche il mito del progresso, che ora appare come condizione possibile ma non certa. L’esperienza dei conflitti mondiali o locali ha dimostrato come i destini si ritrovino comunque accomunati dai fenomeni della distruzione.