di Antonio Prete
Un verso di Gaspara Stampa: dalle sue Rime, che furono in gran parte rime d’amore. I poeti del Cinquecento italiano, rimodulando e reinventando le rime di Petrarca, maestro d’amore, consegnarono ai lettori una meditazione sull’amore che toccò un arco estesissimo di temi e sperimentò un ventaglio amplissimo di registri espressivi: al punto che se volessimo oggi dire del desiderio, delle sue forme, delle sue radici, della sua lingua, basterebbe raccogliere da quei lontani versi figure e motivi, e avremmo un compiuto trattato appunto sul desiderio, sorprendentemente in dialogo con le odierne idee sul nesso tra desiderio e mancanza, e sulla fisicità e corporeità del desiderio.
Nella stessa epoca numerosi Trattati d’amore e Dialoghi sull’amore (quelli del Tasso, tra i primi) fecero da controcanto ragionativo e analitico alla poesia d’amore. Michelangelo Buonarroti e Gaspara Stampa furono tra i poeti che con più vigore immaginativo affidarono al verso un pensiero dell’amore annodato intorno all’idea di mancanza, di privazione, di vuoto, e con una tensione tutta fisica che allo stesso tempo dialogava, nella finitudine, con la vertigine dell’oltre, dell’impossibile, dell’estremo. Il contributo della poesia femminile in questa corale ricerca sulla condizione amorosa è grandissimo, e ricco di soluzioni formali e di invenzioni stilistiche: Isabella Del Morra, Tullia D’Aragona, Veronica Franco, Chiara Matraini, ciascuna con i propri modi, si fecero fini tessitrici di un pensiero rinascimentale dell’amore.
Dalla sponda francese il rapporto con Petrarca passò, oltre che da Ronsard e dagli altri poeti della “Pléiade”, da Louise Labé, la “belle cordière” di Lyon, che nei suoi versi accesi, gridati, e insieme dolcissimi, tessuti di fisico ardore, mandò in frantumi i residui artifici del petrarchismo di maniera.