La consistenza. Il valore della cultura oltre le mode

di Antonio  Errico

Probabilmente sarà capitato a molti di noi di aspettare, qualche volta anche con una certa trepidazione, l’uscita dell’ultimo capolavoro del tale scrittore dal successo universale, annunciato con assordanti squilli di tromba attraverso tutti i possibili canali di comunicazione.

Poi abbiamo letto il capolavoro, che in realtà era ben progettato, ben costruito, ben confezionato. Ma di quel capolavoro, dopo neanche molto tempo, ci è rimasto soltanto qualche incerto ricordo, e in qualche caso neppure quello. A volte nemmeno il titolo e nemmeno il nome dell’autore perché lo confondiamo con tanti altri dall’identico successo planetario.

Probabilmente sarà capitato a molti di noi di fare la fila al botteghino per conquistare il biglietto che ci consentisse la  prima visione dell’ultimo film con cast d’eccezione dell’ eccezionale regista, ovviamente sperimentale, candidato naturale a premi d’ogni sorta, a incassi da primato. Ma anche di quell’opera, dopo un  tempo breve comunque,  ci è rimasta qualche scena sbiadita, poi svanita del tutto.

Eppure, di altri libri, magari per nulla reclamizzati, dalla diffusione sostanzialmente amicale, ricordiamo intere pagine quasi a memoria; di altri film ricordiamo perfettamente intere parti, dialoghi, dissolvenze, ambientazioni.

Allora ci si chiede quali possano essere gli elementi che fanno la differenza, che cosa determina la permanenza di un’opera nella memoria, che cosa la sua dimenticanza.  

Probabilmente le cause sono molte. Ma ce n’ è una che è trasversale, che si potrebbe sintetizzare con l’espressione di “anima del testo”, senza nessun riferimento a questa teoria o a quell’altra, ma soltanto con qualche suggestione provocata da Roland Barthes.  Perché può accadere, alcune volte, che un libro o un film risultino  perfetti nella loro progettazione, costruzione, confezione editoriale, che siano  davvero eccezionali nella tecnica di realizzazione, ma che non abbiano un’anima: quella condizione che li fa penetrare nella dimensione della ragione, del sentimento, che provoca la riflessione profonda, l’incomparabile e irripetibile emozione.

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