di Antonio Errico
Non esiste un tempo che non abbia bisogno di nuove idee. Esistono, invece, tempi che quel bisogno lo avvertono in una maniera più forte.
Sono quei tempi che si presentano con fisionomie sconosciute, che rivelano significati di cui non si aveva neppure immaginazione, che impongono confronti serrati con i fatti che accadono e con le situazioni che si determinano. Sono quei tempi che pretendono una diversa visione e interpretazione del mondo e delle storie che attraversano il mondo, che riconfigurano le forme delle nostre esistenze, che aboliscono le consuetudini e indicano strade diverse.
Il tempo che viviamo è un tempo così. Probabilmente i passaggi di millennio non sono soltanto cronologia: sono trasformazioni di mentalità, di codici, di sistemi. Il tempo che viviamo richiede nuove idee. Anche nuovi modi di esprimere le idee. Nuove parole.
Ma noi alle vecchie idee siamo affezionati, e siamo affezionati anche alle parole con le quali esprimiamo quelle idee. Ci danno certezze; sono come un rifugio quando tutt’intorno infuria la tormenta. Su quelle idee abbiamo strutturato tutta la nostra esistenza. Ci abbiamo creduto. Le abbiamo difese quando altre idee le volevano soppiantare.
Non è facile rinunciare alle idee. Forse sono le cose alle quali è più difficile rinunciare. Sono la sintesi e la proiezione della nostra esperienza, della nostra esistenza. Sono la sostanza del nostro passato e la chiave della porta sul futuro. Sono le stagioni che abbiamo vissuto e quelle che abbiamo speranza di vivere. Noi siamo le nostre idee. Rinunciarci è difficile, faticoso, doloroso. E’ come strapparsi la pelle di dosso.