di Antonio Prete
Chi si accostava alla critica della letteratura nei primi anni Sessanta incontrava il nome di Starobinski, scomparso il 4 marzo scorso all’età di 98 anni, dentro una costellazione di scrittori e critici designati da un vessillo: “nouvelle critique”. Un drappello di critici, diversi tra di loro per formazione e modi di scrittura, che proponevano un’idea di letteratura sottratta alla tradizionale storiografia accademica, ancora dedita ai “quadri storici”, alle classificazioni, agli ordinati giudizi, al biografismo, insomma ai paradigmi che componevano la cosiddetta “storia della letteratura”.
Di questa costellazione, il parigino Roland Barthes era il più combattivo e il più – elegantemente e proustianamente – anticonformista (si pensi al pamphlet Critique et verité (Critica e verità) in risposta al libello di Picard Nouvelle critique, nouvelle imposture). Ma il ginevrino Starobinski era il più attrezzato quanto a strumentazione teorica, e anche il più incline a caricare la “nuova critica” di un arduo e insieme appassionante compito: quello di vivere l’esercizio critico come il campo in cui la conoscenza del testo, della sua nascosta tessitura, dei suoi registri, dei suoi temi, si potesse unire alla conoscenza del mondo. E questo facendo della lettura interpretazione, dell’interpretazione scrittura.
In effetti, la “nouvelle critique”, contro l’intorpidita critica storico-erudita, recuperava nell’atto critico la libertà inventiva della lettura, di una lettura intesa in tutta la sua estensione di umore, di immaginazione, di stile. E per questo ogni indagine critica non poteva che respirare nella scrittura propria del critico, nel suo linguaggio. Critica e scrittura erano una sola cosa. In qualche modo la critica si riproponeva con quelle caratteristiche che già al suo tempo il giovane Baudelaire le aveva attribuito: partiale, passionnée, politique. Né, d’altra parte, erano mancate nella cultura francese esperienze di una critica libera da ipoteche di metodo e di scuola e insieme profonda: da Alain a Rivière, da Proust stesso a Thibaudet. Ed erano ancora un esempio di bella lettura, in particolare per Starobinski, le pagine di Georges Poulet, di Marcel Raymond, di Jean Rousset.