di Rosario Coluccia
Questa settimana, come due puntate fa, rispondo a una lettera a me indirizzata, tramessami dalla segreteria di «Nuovo Quotidiano». Eccola: «Egregio Professore, mi chiamo Raffaella Greco, anni fa Lei è stato il mio docente di linguistica presso l’Università del Salento, laurea che ad oggi ho davvero sfruttato pochissimo, visto che la vita mi ha condotto presso altre attività, ma non è questo il motivo di questa email. Le scrivo, e mi scuso anticipatamente per il disturbo, perché ho una domanda a cui non so dare una risposta. Da anni mi chiedo se in qualsiasi altra lingua esiste un significato tanto religioso come quello della lingua italiana nel ringraziare e rispondere al ringraziamento. Nei nostri “grazie ” e “prego” credo ci sia una chiara matrice cattolica, giusto? La ringrazio fin da subito per il tempo concessomi».
Provo a rispondere alla gentile e cara lettrice. L’interiezione «grazie» esprime ringraziamento, gratitudine, riconoscenza ed è frequentissima nella conversazione parlata e scritta: «grazie per il regalo», «grazie per tutto quello che hai fatto per me»; anche con diverso costrutto: «grazie di tutto», «grazie dei fiori»; anche in espressioni stereotipe: «grazie di cuore», «grazie tante», «grazie mille», ecc. Nasce dal plurale del latino «gratia», che in quella lingua aveva un duplice valore, sia astratto (‘riconoscenza’), sia concreto (‘servizio reso’, ‘atto con il quale si acquista gratitudine’): la parola latina allude a un pensiero o a un comportamento positivo. Da quella base, poco alla volta, si sono sviluppati i significati di ‘bellezza’, ‘grazia’ come anche noi li intendiamo. La mitologia classica conosceva Tre Grazie, dee figlie di Zeus e della ninfa Eurinome, portatrici di gioia e bellezza. I loro nomi erano Aglaia (‘splendore’), Eufrosine (‘gioia e letizia’) e Talia (‘prosperità’); presiedevano ai banchetti e alle danze, accompagnavano Afrodite ed Eros, divinità dell’amore, e con le muse danzavano per gli dei al suono della lira di Apollo. Ne esistono raffigurazioni molteplici, in scultura e in pittura, fin dall’età antica. La più famosa è dovuta a Botticelli: nella sua celebre “Primavera” (1477-1482, conservata nel fiorentino Museo degli Uffizi) le tre donne, a differenza della tradizione classica, danzano tenendosi per mano e lasciando svolazzare i leggeri veli che le rivestono. Simboleggiano bellezza, castità e amore, muovendosi in un girotondo armonioso, dove tutto è idealizzato secondo la filosofia neoplatonica professata dal pittore.