di Antonio Errico
Vengono tempi in cui per l’accadere di fenomeni naturali o per il verificarsi di processi culturali, diventa inevitabile, e forse anche urgente, trasformare le proprie forme di pensiero, i modi in cui si osservano e si interpretano i segni della realtà e le configurazioni dell’immaginario, i modi con cui ci si confronta con le grandi storie dell’umanità per intero e con quelle piccole della vita di ciascuno che però per ognuno valgono quanto quelle dell’ umanità per intero.
Probabilmente il tempo che stiamo attraversando è uno di quei tempi che richiedono, o pretendono, un pensiero nuovo rispetto ad ogni contesto e ad ogni espressione del sociale, ai comportamenti, alle condizioni dell’essere e dell’essere nel mondo, nel proprio piccolo universo, nel paese in cui si vive, nella casa che si abita, con le persone che si conoscono, con quelle sconosciute.
Probabilmente occorre un pensiero nuovo anche per fare le cose che si sono sempre fatte: per quelle cose di ogni giorno, che talvolta si fanno anche senza pensare, adesso occorre un pensiero nuovo, un nuovo criterio per attribuire ad esse dei significati sostanziali.
Probabilmente è necessario riconsiderare e rielaborare e rifondare i significati di tutte le cose e dei fatti in generale e in particolare. Per cercare di attenuare, per quello che è possibile, il senso di disorientamento, di sbalordimento, il sentimento di precarietà.
Per non correre il rischio di non capire o di scoprirsi, all’improvviso, inadeguati nei confronti di quello verso cui poco tempo fa eravamo adeguatissimi, competenti, in grado di controllarne e governarne i meccanismi. Ma per non correre questo rischio, per non ritrovarsi davanti a barriere che consideriamo insuperabili, è necessario riformulare i significati vecchi oppure elaborare significati completamente nuovi.