di Giuseppe Spedicato
A Sarah e Sofia, figlie di un incontro d’amore tra due mondi costretti al conflitto.
“Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto”. Don Lorenzo Milani
“Giordano del quondam Giovanni Bruni frate apostata da Nola di Regno, eretico inpenitente. Il quale esortato da’ nostri fratelli con ogni carità, e fatti chiamare due Padri di san Domenico, due del Giesù, due della Chiesa Nuova e uno di san Girolamo, i quali con ogni affetto e con molta dottrina mostrandoli l’error suo, finalmente stette senpre nella sua sua maledetta ostinazione, aggirandosi il cervello e l’intelletto con mille errori e vanità. E tanto perseverò nella sua ostinazione, che da’ ministri di giustizia fu condotto in Campo di Fiori, e quivi spogliato nudo e legato a un palo fu brusciato vivo, aconpagniato sempre dalla nostra Compagnia cantando le litanie, e li confortatori sino a l’ultimo punto confortandolo a lasciar la sua ostinatione, con la quale finalmente finì la sua misera e infelice vita” (in Rea, 2013)
“Certamente fu più facile bruciare Vanini che riuscire a confutarlo; per ciò, dopo che gli fu tagliata la lingua, si preferì condannarlo a morte sul rogo” (Schopenhauer, Parerga e paralipomena).
Premessa
È una storia antica come il mondo, quella del predominio dei pochi sui molti. Quella della ricchezza sottratta ai popoli, che finisce nelle tasche di coloro che detengono il controllo della forza, della violenza, della cultura di Stato e delle risorse naturali. Ciò avviene grazie a guerre, colpi di stato, utilizzo della tortura, elezioni truccate, patti con organizzazioni mafiose, tangenti, estorsioni, omicidi, sesso, manipolazione dell’informazione e controllo della cultura. Avviene da sempre ora però le dimensioni sono globali ed i numeri sono terrificanti.
Questo predominio, questa iniqua ripartizione delle ricchezze, sembra non essere all’ordine del giorno del dibattito politico. Ora vi è la crisi e questa, ci viene detto, si combatte con la crescita economica. Si è convinti che grazie ad essa, qualunque essa sia, si possa creare benessere per tutti. Ciò però, può rivelarsi un’amara illusione se non si pondera bene di quale crescita economica si sta parlando e di come saranno distribuiti i relativi benefici. Vi può essere una crescita economica, che non solo provoca ulteriori danni all’ambiente ma può anche aumentare il divario di ricchezza tra ricchi e poveri.
Inoltre, tale crescita economica dovrebbe avvenire, nella stessa Europa, deprimendo i salari e smantellando il welfare state, nonostante la storia insegni che con tali politiche non si può ottenere crescita economica, in particolare in Italia avendo questa un tessuto economico molto differente da quello di altri stati europei come la Germania.
Questa idea, come tante altre, è promossa a livello globale anche tramite il controllo dell’informazione e della stessa cultura dei paesi. Cultura che tende a divenire, non senza resistenze, sempre più omogenea a livello mondiale.
Anche i prestiti concessi ai paesi poveri, che appaiono un atto di generosità, non poche volte, sono un modo per accrescere il potere dei potenti. I paesi che ricevono questi prestiti possono essere indotti ad investimenti fallimentari e restare intrappolati in un rapporto di sudditanza con i soggetti dai quali hanno ricevuto i prestiti. Il loro rimborso li condanna a permettere ai creditori di saccheggiare le loro risorse naturali e di rinunciare all’istruzione, alla sanità e agli altri servizi sociali. Ciò avviene grazie anche a gravi colpe dei gruppi dominanti degli stessi paesi poveri, che non poche volte sono classi predatrici spietate.
Non avremo alcuna via d’uscita sino a quando non si converrà sulle vere cause di questo meccanismo infernale, che ormai sta colpendo ferocemente anche la stessa Europa. Non possiamo però sperare che questa scoperta ci venga da coloro che sono i primi beneficiari di questa prassi. Non sarà semplice individuarle perché è vero che sono pochissimi ad essere super ricchi in questo sistema economico, ma sono in molti ad avere dei benefici. Il tenore di vita di molti milioni di persone dipende, direttamente o indirettamente, dallo sfruttamento delle risorse naturali e della manodopera dei paesi meno sviluppati (senza dimenticare che negli stessi paesi poveri non mancano ricchi e super-ricchi e che vi è sfruttamento della manodopera anche nei paesi ricchi). Lo sfruttamento, che è un atto violento, può (come si evince dalle tesi di Ibn Khaldun) produrre una solidarietà, tra coloro che esercitano violenza, finalizzata alla sottrazione e controllo delle ricchezze sottratte ingiustamente ad altri. Ciò accade anche legittimando questa sottrazione di ricchezza.
Questi meccanismi favoriscono la nascita di risentimenti da parte di coloro che vengono ingiustamente defraudati e contribuisce a creare i tanti flussi migratori che impensieriscono le opinioni pubbliche europee, che non poche volte preferiscono non conoscere le cause del fenomeno e non assumersi alcuna responsabilità.
È bene osservare che il meccanismo è valido anche a livello locale. Nel nostro paese quanti possono vantare diritti e privilegi grazie allo sfruttamento di tutti coloro (compresi gli immigrati) che lavorano con contratti precari o in nero? Per i privilegiati non è conveniente accettare la verità dei fatti e quindi le logiche conseguenze. Attribuire la colpa a qualcun altro, per esempio all’Europa è molto più rassicurante.
Per tale ragione far conoscere questi meccanismi, informare correttamente su quanto sta accadendo, non è sempre considerato un fatto apprezzabile. Ancora meno apprezzabile è utilizzare in modo corretto gli aiuti indirizzati ai popoli più bisognosi o alle fasce sociali più povere di un paese. Si è d’accordo sull’assistenzialismo ma a patto di non esagerare con politiche tendenti a promuovere i diritti e la dignità di questi soggetti. I veri aiuti, quelli che consentono di uscire dalla povertà e quindi dalla dipendenza, sono una minaccia. Va bene però smantellare le economie locali e quelle di interi paesi che hanno consentito per migliaia di anni la sopravvivenza di interi popoli. Basti vedere cosa è accaduto all’agricoltura nel Sud Italia.
Come alcuni affermano ci stiamo avviando verso una forma di nuovo feudalesimo dove anche i lavoratori della stessa Europa diventano sempre di più moderni servi della gleba. In molti paesi poveri i lavoratori hanno uno status giuridico molto simile a quello di uno schiavo. I nuovi mercanti di schiavi sono coloro che reclutano gente disperata per impiegarla a produrre merci destinate ai mercati di tutto il mondo. E ciò avviene in impianti industriali, che non sono neanche gestiti direttamente dalle corporation, ma da qualche uomo d’affari locale che fa il lavoro sporco per conto loro. Modalità operativa ampiamente utilizzata anche nel Sud Italia dove è florido il fenomeno del caporalato, ed è solo un esempio, dove le vittime non sono solo immigrati ma anche tantissime lavoratrici e lavoratori italiani. Questa modalità operativa spesso viene presentata anche come meritoria. “Noi riusciamo a dargli un lavoro, è meglio che lavorino per noi, per un compenso basso che non lavorare affatto”. In alcuni paesi poveri i lavoratori ricevono un dollaro al giorno o poco più.
Pertanto, se pensiamo di vivere in un mondo dove vi è un sistema economico pensato e gestito per risolvere i problemi del genere umano, dobbiamo ricrederci. Siamo in sistema dominato dalla violenza, comprese le nuove forme di violenza (come il controllo dell’informazione e della cultura, compresa quella che viene divulgata da scuole e Università), che produce ricchezza per pochi e nel frattempo produce poveri ed emigrazione. Questo sistema sta compiendo il saccheggio di risorse più brutale della storia dell’umanità. Accettiamo come vangelo i dettami di questo sistema e non riusciamo a elaborare un’alternativa ad esso. Come è stato già detto, siamo convinti che qualsiasi tipo di crescita economica giovi all’umanità, e che maggiore è la crescita e più diffusi sono i benefici. Questo concetto è impiegato per giustificare ogni sorta di azione, persino guerre, se si può dimostrare che producono crescita economica. E si può dimostrarlo facilmente. Una guerra comporta la distruzione di infrastrutture, di città intere, se dopo inizia l’opera di ricostruzione le statistiche ci dimostreranno un enorme picco della crescita economica, basta non tener conto dei danni collaterali. E non tenerne conto, sino a poco tempo fa, non è stato difficile, a morire erano solo gli altri.
Nella storia dell’umanità la produzione della violenza appare sempre legata alla produzione della ricchezza, ciò dovrebbe essere un argomento di discussione ed analisi ineludibile.
La domanda chiave che ci si pone in questo lavoro è la seguente: il potere ricorre alla violenza per svilupparsi e perpetuarsi o è la violenza stessa, organizzata e razionale, ad essere l’evento fondativo del potere? O detto altrimenti: è la violenza che pone le basi per creare ricchezza, che avendo questa origine, ovviamente, non viene equamente ripartita?
LA VIOLENZA COME EVENTO FONDATIVO
Non possiamo negare che esista una pesante eredità che promuove la nozione tradizionale per cui la guerra è un grande evento fondativo, ricco di valori positivi, capace di segnare la differenza tra civiltà e barbarie. “In molta filosofia greca, la guerra è un principio essenziale da cui origina lo Stato e segna il definitivo abbandono degli stadi primitivi dell’evoluzione: la guerra ripulisce il lordo dell’antico”. Tale visione continua anche in epoca moderna.
“Elemento costante nella storia dell’umanità, l’istinto pugnace non è residuo della brutalità ancestrale e non può essere sradicato; al contrario, i suoi effetti non sono totalmente nocivi, in quanto è proprio quell’istinto a modellare forme superiori di organizzazione sociale” (McDougall, 1915).
“Con il percepito allentamento dei legami sociali causati dalla civiltà urbana industriale, la guerra viene vista come artificio ideale per produrre identità collettive, solidarietà e suprema integrazione. Quando l’affermarsi della società liberale produce sul vecchio ordine effetti di liberazione e, in maniera concomitante, di disorganizzazione, si assiste a un crescendo di nazionalismo accompagnato da sentimenti bellicosi” (Bramson, Goethals, 1964).
In una lettera inviata ad Albert Einstein, il quale si interroga sulla possibilità del genere umano di liberarsi della minaccia della guerra, Sigmund Froid (1959) esordisce con l’esaminare, come gli viene richiesto, il rapporto tra potere e diritto. Sostituisce subito il termine potere con il più eloquente violenza e sottolinea che, sebbene molti vedano nel diritto e nella violenza una ovvia antinomia, una indagine accurata è in grado di provare che il primo deriva dalla seconda. La violenza originaria, a suo avviso, è la forza di una comunità espressa sotto forma di legge; i conflitti tra gli esseri umani sono sempre stati risolti con il ricorso alla violenza e la forza bruta è un fattore decisivo per la distribuzione delle risorse e l’affermazione del volere prevalente.
Pertanto, non sono pochi a vedere un rapporto fra violenza e nascita di una nuova società, di una società moderna. Questa violenza è vista come violenza organizzata o meglio una violenza politica-sociale organizzata. D’altra parte, la storia dimostra che ad ogni grande conflitto ha sempre fatto seguito un nuovo ordine atto a imporre la pace e a stabilizzare equilibri favorevoli ai vincitori (le guerre napoleoniche portarono agli equilibri imposti dal Congresso di Vienna, la prima guerra mondiale quelli imposti dalla Società delle Nazioni, la seconda guerra mondiale quelli imposti dalle Nazioni unite). Staremo a vedere quali saranno gli equilibri che nasceranno con la fine della guerra fredda (Ruggiero, 2006).
La legittimità della guerra, la massima espressione di violenza, non sembra quindi essere messa in discussione neanche in epoca moderna, basti pensare alle due guerre mondiali dello scorso secolo. Ciò che ha delegittimato la guerra tradizionale, nel mondo Occidentale, è la presenza delle armi nucleari. L’equilibrio del terrore nato con la guerra fredda. In sostituzione della guerra tradizionale, ora abbiamo la guerra asimmetrica, la guerra giusta ed il ritorno della guerra santa. Ma vi è anche dell’altro. Le nuove tecnologie non vengono impiegate solo nella produzione di beni economici, ma anche nel produrre sistemi di armamento e nel creare nuovi modi di fare la guerra, di esercitare violenza. Ora si parla di cyberware, netware e software. Vi sono quindi nuovi modi nel prevalere nelle relazioni internazionali, ma i risultati sono identici a quelli che si ottengono con la guerra tradizionale: l’assoggettamento del vinto alla volontà del vincitore. In questo lavoro però, si vuol porre l’attenzione soprattutto su un fatto: il mondo della produzione della violenza appare sempre legato a quello della produzione della ricchezza. I due mondi appaiono complementari. Generalmente è la potenza militare che indica la strada da seguire. L’impresa capitalistica, ad esempio, mutua la sua struttura dall’organizzazione militare: un gran numero di uomini inquadrati in organizzazioni gerarchiche, impegnati in compiti standardizzati. Werner Sombart descrive bene le correlazioni tra i due mondi.
Ibn Khaldun, inoltre, ci invita a non lasciarci ingannare dalla volontà di pace da parte di coloro che hanno la supremazia della violenza e della ricchezza. Questi sono interessati ad impedire il ricorso alla violenza da parte della popolazione sottomessa e lo stesso meccanismo si applica nelle relazioni tra Stati: lo Stato dominante desidera pacificare la popolazione dello Stato dominato, ovvero ritiene profittevole indurla a ritenere che non sia vantaggioso ribellarsi alla dominazione. Chi ha la supremazia della violenza e della ricchezza cerca di imporre non la pace, ma la sua pace.
Nel momento attuale, però, le strategie internazionali si sono complicate. Con la caduta dell’URSS il mondo sembrava finito nelle mani degli USA, ora, però, giocano un ruolo importante anche Stati come la Cina, l’India, l’Iran, i Paesi del Golfo e vi è il ritorno della Russia. Ci dicono che il vero scontro è fra USA e Cina. A nostro avviso, come già era durante la guerra fredda, la vera conflittualità è sulla direttrice Nord – Sud o meglio élite ricche contro i popoli. Vale solo in parte la vecchia contrapposizione tra Occidente e resto del mondo perché ora, come è stato già detto, tra i paesi dominanti vi sono ex paesi poveri e tra quelli ricchi vi sono paesi in grave crisi. Inoltre, in tutti i paesi vi sono minoranze molto ricche e parte consistente della popolazione che vive in povertà, in molti casi in estrema povertà. Se noi guardiamo gli attuali conflitti armati (in particolare in Somalia, Siria, Iraq, Libia e Yemen), un ruolo determinante lo giocano paesi come la Russia, i Paesi del Golfo, l’Iran, l’Egitto, la Turchia e probabilmente anche la Cina. Le colpe che giustamente vengono ora imputate all’Occidente, in particolare agli USA, sono le stesse che hanno commesso nel passato altri popoli, quando ne hanno avuto le possibilità, e quelle che stanno commettendo ora appena avute le possibilità. Pertanto, le critiche contro gli USA e l’Occidente non sono tanto per essersi macchiati di azioni criminali (cioè non è in discussione la legittimità dell’azione criminale in sé stessa), ma di averle perpetrate contro chi accusa. Questi ritiene legittimo commettere le stesse azioni se fatte nel suo interesse: per il suo benessere e/o per la gloria della sua religione.
Non dimentichiamo inoltre, le minacce che ci vengono dalle organizzazioni criminali e dal terrorismo islamista. Quest’ultimo paradossalmente potrebbe essere utile per tenere unito il “fronte Nord”, USA ed Europa. Resta da capire se rimarrà unito per contrapporsi alla Cina o per spartirsi il mondo insieme alla stessa Cina ed alle altre potenze emergenti. Ovviamente in questo gioco potrebbero risultare perdenti parti importanti dell’Occidente (il Sud Europa ad esempio, in particolare se il progetto Unione Europea dovesse fallire).