Superare il neoliberalismo

di Guglielmo Forges Davanzati

E’ sempre più diffusa la convinzione che il c.d. neoliberismo, a seguito dello scoppio della crisi del 2007, abbia fallito e debba essere superato, sia perché i modelli economici sui quali si fonda sono caratterizzati da totale scollamento rispetto alla realtà nella quale viviamo, sia perché propone prescrizioni di politica economica che non hanno altro esito se non accentuare la recessione. Le teorie neoliberiste, si può aggiungere, si sono rivelate del tutto fallimentari anche per la loro incapacità di prevedere la crisi. E tuttavia restano egemoni sia nella ricerca scientifica sia nel campo della politica economica.

Un significativo contributo alla critica delle teorie e delle politiche economiche neoliberiste viene ora proposto nel libro curato da Filippo Barbera, Joselle Dagnes, Angelo Salento e Ferdinando Spina (Il capitale quotidiano. Un manifesto per l’economia fondamentale, Donzelli 2016). Il volume è parte di un importante progetto di ricerca europeo avviato dal Center for Research on Socio-Cultural Change dell’Università di Manchester, certificando il fatto che nella nostra Università si produce elevata qualità della ricerca in un contesto di forte internazionalizzazione.

La critica formulata dagli autori viene impostata con massimo rigore logico, avvalendosi di solidi argomenti teorici e di ampia evidenza empirica. Essi si soffermano principalmente, nella loro pars destruens, sugli effetti perversi dei processi di finanziarizzazione e sull’interazione perversa che sussiste fra questi ultimi e la crescente precarizzazione del lavoro, con particolare riferimento al caso italiano. Essi evidenziano, contro una vulgata diffusa, che la finanziarizzazione – intesa come crescente propensione delle imprese a fare profitti attraverso scambi nei mercati finanziari in una prospettiva di brevissimo periodo (la c.d. economia di carta) – è ormai parte costituiva del nuovo assetto del capitalismo italiano. La finanziarizzazione è associata alla riduzione degli investimenti produttivi (nella c.d. economia reale), dunque a crescente disoccupazione e precarizzazione e all’aumento delle diseguaglianze distributive. E si rende possibile perché i mercati finanziari sono pressoché completamente deregolamentati. La base teorica, di matrice liberista, che legittima questa scelta la si ritrova nella c.d. teoria dei mercati efficienti. Una teoria che si basa sull’ipotesi secondo la quale gli agenti economici, anche quelli che operano nei mercati finanziari, sono perfettamente razionali e perfettamente informati. Di conseguenza, effettuano le loro scelte di acquisto/vendita di titoli sulla base della profittabilità attesa degli investimenti delle imprese quotate nei mercati finanziari. In tal senso, i mercati finanziari selezionano le imprese più efficienti e, conseguentemente, contribuiscono a generare crescita economica.

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