di Antonio Errico
Autunno era la stagione degli aquiloni.
Era il tempo del vento che ci voleva, che non tirava forte, che non strappava. Era il tempo della luce giusta, che non abbagliava. Così si poteva seguire il movimento, l’ondulazione leggera che l’aquilone faceva nell’aria. Si andava a frotte a volte, a lanciare gli aquiloni. Ma poi ciascuno rimaneva solo con quella sua fantasia che si avventurava nella lontananza del cielo, con il suo filo invisibile governato dalle dita di una mano. Non c’erano gridi. A volte neppure voci. Tra il ragazzo e l’aquilone il rapporto era silenzioso e solitario. Erano quasi fatti della stessa natura di sogno. Lo si lasciava in alto anche quando cominciava a scurire, quando si nascondeva dietro qualche filamento di nuvola, e poi ricompariva nella trasparenza della luce che si smorzava.
Anche gli aquiloni davano un senso al cielo: come le stelle, il sole, la luna.
Ci sono sei verbi in quella famosa poesia di Pascoli che stringono tutti i movimenti di un aquilone. Sei verbi che sono quasi una sintesi del suo confronto con il cielo: ondeggia, pencola, urta, sbalza, risale, s’innalza.
Gli aquiloni erano anche quelli di una canzone degli Alunni del sole. Autori: Ettore De Carolis, Paolo Morelli, Carlo Rossi. Correva l’anno Millenovecentosessantotto.
Autunno era la stagione che si metteva la legna al riparo perché non si bagnasse. Si aspettava l’inverno. Si aspettavano le stagioni della terra come si aspettavano quelle della vita. Si sapeva che, per tutti, c’è una primavera, un’estate, un autunno, un inverno, e che ogni stagione ha i suoi frutti, che bisogna raccogliere quelli. Si sapeva che in ogni stagione si prepara quello di cui si ha bisogno nell’altra che verrà, che non esistono le stagioni belle e quelle brutte, ma che tutto dipende dalla nostra interiorità, dal nostro pensiero, dalla nostra relazione con noi stessi e con gli altri, da come si sente, si avverte ogni ora, forse anche ogni istante di un’estate o di un inverno, di un autunno o di una primavera. Il tempo non è mai né bello né brutto. Nessuna estate è uguale ad un’altra estate, né un inverno uguale a un altro inverno. La bellezza e la bruttezza del tempo la elaboriamo da noi, secondo le sensazioni, le emozioni, talvolta anche secondo la memoria che può consolarci o disperarci attraverso un paragone.