di Luigi Scorrano
Quel battere di tacchi alle spalle lo irritava. Nel silenzio della strada il suono deciso, insistente, di quei passi gli procurava un senso di disagio ch’egli stesso non avrebbe saputo donde precisamente nascesse.
Era la vigilia di Natale, ma la città non mandava il solito rumore di fondo verso il cielo fatto grigio dal fumo dei camini e degli impianti di riscaldamento. Pareva stranamente silenziosa e lontana, come fosse collocata in un’altra terra. In un altro pianeta, si sorprese a sillabare. Già, proprio in un altro pianeta! E anche a lui sembrava di essere in un altro pianeta. Rifece mentalmente la lista delle faccende da sbrigare; s’impuntò sul significato che alcuni doni avrebbero potuto finire per rappresentare. Profumi, qualche cravatta (ma ormai nessuno la portava più, abitualmente!), libri, agende lussuose ed inutili… E poi c’erano i bambini! Un nuovo aggeggio, ultimo ritrovato tecnologico che non poteva mancare a loro; non lo avessero, rischiavano di far la figura di miserabili o di gente non allineata con i tempi! E tante costose sciocchezze per la ‘soddisfazione’ di un momento, che presto sarebbe stato sostituito da qualche interesse altrettanto frivolo e passeggero.
E quella storia della fine del mondo, che avevano messo in circolazione! C’era chi veramente ci credeva e voleva convincere altri a condividere la paura d’un simile evento; c’era chi rideva di quello spavento esibito ma in fondo al cuore sentiva crescere uno sgomento oscuro, un timore inconfessabile. La fine del mondo, pensò. Ma sì, a ben riflettere era quello che gli uomini si meritavano: andasse tutto in malora: la ricchezza, la politica, l’economia, gli affetti domestici ed extra-domestici, le quotazioni di borsa, il Tu scendi dalle stelle o lo Stille Nacht così insistenti in tutti i carillon venuti forse dalla Cina a imbrogliare il mercato internazionale, gli show televisivi, le folle che la sera si precipitavano nei luoghi d’incontro abituali perché chi le componeva – uno dopo l’altro – non voleva correre il rischio di restare solo in casa. Solitudine: l’infelicità sicura o, meno grave ma non meno insidiosa, la noia, la lunga insopportabile noia di chi non ha più alcuna novità da sperimentare.