di Augusto Benemeglio
1. Perchè Gadda?
Era il 4 dicembre 2006, quando fui ricoverato alla Clinica “Villa Pia”, a Roma, per “accertamenti” (era rimasta l’unica con posti ancora disponibili). Dalla mia biblioteca presi due libri, che avevo letto secoli prima. Uno era “I 60 racconti” di Dino Buzzati di cui in particolare m’interessava “Sette piani”, da cui era stato tratto il (brutto) film “Il fischio al naso” di Ugo Tognazzi . Lo volevo rileggere, forse per ragioni scaramantiche che letterarie. Come si sa il protagonista sembra non avere assolutamente nulla, si reca in quella lussuosa clinica “Sette piani” per una pura formalità, una sciocchezzuola, ma ci rimane per sempre, scendendo di piano in piano, fino alla camera mortuaria. L’altro libro era il “Pasticciaccio” di Carlo Emilio Gadda. In questo caso non sembravano sussistere particolari motivi (ma, come si vedrà, le scelte non sono mai a caso, obbediscono a qualcosa di sottile e inconscio), al di là del fatto che si tratta di un capolavoro della letteratura italiana, che mi rievocava, peraltro, diverse cose: gli anni dell’adolescenza, un film di Pietro Germi (appena discreto), e una piéce teatrale (pessima); ma, soprattutto, tornavo con la mente ad un lieto incontro di vent’anni prima con il professore Aldo Vallone – docente di Letteratura Italiana all’Università Federico II di Napoli – nella sua casa-biblioteca di Galatina (almeno trentamila volumi, di cui diecimila relativi al solo Dante, in tutte le salse e le lingue possibili). Ero andato a trovarlo, in quell’estate del 1988, insieme all’avvocato Felice Leopizzi, che era grande amico di Vallone, e l’aveva invitato a tenere una conferenza all’ANMI di Gallipoli sull’attualità di Dante, in cui m’ero proposto di fare il presentatore-coordinatore. Il professore aveva sul suo tavolino basso, da salotto, una copia della prima edizione in volume del Pasticciaccio (Garzanti, 1957) , che stava rileggendo “per la centesima, o duecentesima volta”, come mi disse poi.
A me Gadda, il bulimico capace di bere diciotto uova di seguito, come testimoniano Ungaretti e Montale, sembrava assai distante da Dante, che lui stesso definisce un “grande pettegolo della storia”. Se mai era assimilabile, per certi aspetti fobici, al malinconico Manzoni, o al nostalgico Cervantes… Così dissi: “Professore, perché Gadda, e perché proprio “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”?