di Gianluca Virgilio
Viene, ha da venire, il giorno in cui Don Giovanni incontra il Povero, Zaratustra il Ciarlatano, Don Chisciotte più o meno direttamente il Curato e il Barbiere, Pinocchio il Grillo Parlante, ecc. E’ scritto che ognuno si deva imbattere in un personaggio che antagonista non può dirsi e neppure dèmone, quantunque dell’uno tenga la natura provocatoria e dell’altro quella intuitiva e parente. Si tratta della propria ombra. Essa costringe a compromettersi con gli errori passati e le sorti a venire molto più in là del ragionevole; a pronunziare cose che molto più volentieri si sarebbero affidate a una civile ipocrisia.
Giacomo Debenedetti, Saggi critici, Prima serie, Mondadori, Milano 1952, p. 1.
Nel racconto italiano del primo incontro i protagonisti sono gli scrittori, gli uomini di cultura, gli artisti, gli intellettuali del Novecento, che hanno narrato questa loro particolare esperienza, dando vita ad un vero e proprio topos letterario non ancora studiato.
Si ha racconto del primo incontro quando la circostanza dà luogo a un evento straordinario e memorabile, da cui si originano importanti conseguenze. L’incontro è primo quando è seguito da una frequentazione più o meno assidua dei protagonisti, o da un cammino comune che si lasci chiaramente identificare. Può anche accadere che esso rimanga primo e ultimo; quel che conta è che il ricordo del primo incontro sia espresso in un racconto esemplare, utile per il contenuto di testimonianza storico-culturale, o solo dilettevole per la gradevolezza della trama narrativa e della memorabilità del caso. Molti scrittori hanno riferito quando, in quale circostanza o occasione si è verificato il loro primo incontro con…; e ne hanno fatto un racconto, passando dalla semplice enunciazione di un fatto all’articolazione di una precisa struttura narrativa, con un’azione dotata di un senso fruibile dal lettore, non mero dato utile allo storico della letteratura.
Il lavoro è consistito innanzitutto nella raccolta e selezione del materiale, e in secondo luogo nel riconoscimento dei contesti letterari che hanno accolto i racconti del primo incontro. Infine ho individuato alcune tipologie, ovvero modalità dell’incontro, che ricorrono con notevole frequenza in queste narrazioni.
Selezione del materiale e contesti letterari
Per quanto riguarda la raccolta e la selezione del materiale, ho privilegiato quei racconti caratterizzati da un elevato tasso di narratività, ed ho escluso quelli in cui, invece, il fatto stenta a diventare racconto. Come si è detto, la raccolta è limitata al Novecento, con pochi sconfinamenti iniziali nell’ultimo ventennio (circa) dell’Ottocento, che ho ritenuto necessari al fine di evitare una presentazione del secolo XX come un’entità astratta ed assoluta. In questi primi racconti della fine dell’Ottocento (Settembrini-Puoti (1879), De Sanctis-Leopardi (1889), De Amicis-Verne (1881), D’Annunzio-Nencioni (1896), Pascoli-Carducci (1896)) si possono rinvenire i principali contesti letterari che daranno buona accoglienza al racconto del primo incontro lungo tutto l’arco del Novecento. Essi sono i seguenti:
1) Autobiografia;
2) Necrologio;
3) Celebrazione in vita e in morte;
4) Vari.
Si consideri in via preliminare che i racconti del primo incontro presentano tutti un carattere rievocativo. In generale, non è possibile raccontare il primo incontro se non si fa appello alla memoria, risalendo il corso del tempo fino alla sorgente del proprio rapporto con l’altro. Lo scrittore racconta un fatto, ferma un dato, lo isola nel continuum temporale del passato, dando ad esso valore di evento memorabile. Per questo motivo il racconto del primo incontro ricorre spesso nel contesto di un’autobiografia. Mai così frequentemente come nel corso del Novecento questo genere letterario ha avuto una diffusione tanto grande. Si pensi, per cominciare, all’autobiografia di L. Barboni, di F. Martini, e poi agli scritti autobiografici di C. Alvaro, V. Cardarelli, l’autobiografia di E. Buonaiuti, C. Carrà, G. Comisso, V. Bompiani, F. Zeri, G. Pampaloni, Maria Grazia Macciocchi, e molti altri). Inoltre, riconduco entro questo genere letterario tutti i racconti tratti da opere in cui lo scrittore ricostruisce la propria biografia intellettuale, anche attraverso il ritratto di altri scrittori (es.: A. Soffici, G. Papini, Fernanda Pivano, S. Guarnieri, L. Piccioni, Cl. Marabini, ecc.).
Dall’evento unico ed eccezionale, il primo incontro, deriva sempre un’aura di straordinarietà e di originalità, che pervade il racconto. Mai è assente nel narratore la consapevolezza che il primo incontro, come in un racconto iniziatico, aprì le porte del futuro, fornendo al protagonista un orizzonte di senso. Per dirla con Gianfranco Contini, uno tra i più autorevoli ed efficaci scrittori di epicedi del Novecento italiano, chi ricorda il primo incontro racconta la nascita-a-lui della persona incontrata[1]. E difatti, proprio di questo si tratta, di un venire improvviso alla luce, di una scoperta perlopiù imprevista, d’una nuova consapevolezza che si acquista al primo contatto con l’altro. Privati poi della possibilità d’ogni ulteriore rapporto, non resta che rievocare il momento originario che segnò la relazione con il defunto. Per questo motivo il racconto del primo incontro rientra spesso nella più vasta trama di un necrologio. Il ricordo di un amico o di un maestro rivive nello spazio evocativo della memoria, allontana la crudeltà della morte e, caricandosi di nostalgia, del sentimento della mancanza, diviene espressione vitale del lutto. Questo tipo di racconto, sia pure quando è parte di un necrologio, acquista qui la sua piacevolezza e amabilità agli occhi del lettore[2], connotandosi d’esemplarità, da intendersi, come si è già detto, nel significato che rinvia alla sua gradevolezza e fruibilità, oltreché al valore di testimonianza storico-culturale o più semplicemente aneddotica e biografica, poiché esso è il resoconto d’un evento irripetibile: il primo incontro, appunto. Tra i maestri scrittori di necrologi, oltre ai già citati G. Contini e G. Pasquali, sono da annoverare anche G. D’Annunzio, A. Panzini, P. Calamandrei, M. Moretti, Cl. Marabini, L. Russo e altri.
Il racconto del primo incontro non esprime di norma solo un significato aneddotico, fruibile da un pubblico dotato di qualche curiosità intellettuale, ma è proposto dal narratore per l’importanza che questi è certo di dover attribuire all’episodio oggetto del racconto. In esso, difatti, sempre è presente una sorta di celebrazione del personaggio incontrato, e tutti i segnali di una forte identificazione di chi narra con chi gli è stato compagno o maestro o modello di vita (si vedano tra i casi più eloquenti i primi incontri con Gobetti, Gramsci, Croce, Montale, ecc.). Dal punto di vista di chi rievoca, il primo incontro appare tutto giocato tra esperienza personale, limitata e contingente, della quale si ricordano i particolari apparentemente più insignificanti (in verità quelli che restituiscono realtà alle ombre del passato: il cappello grigio orlato di C. Michelstaedter ricordato da B. Marin, la grossa macchia sulla gonna del vestito di casa della moglie di B. Croce ricordata da Ada Prospero, i giornali in mano per segnale nell’incontro tra G. Contini e C. E. Gadda ecc.), e importanza universalmente attribuibile all’esperienza medesima, che impone e prevede, in definitiva, l’accettazione di un canone, ovvero di un modello che il narratore considera indiscutibile. La rievocazione aneddotica e autobiografica rinsalda la memoria personale del narratore e, dal momento che essa è un consuntivo del passato, dà luogo ad una tradizione letteraria, contribuisce alla formazione di un canone. Molti racconti del primo incontro, difatti, sono parte di discorsi celebrativi in occasione di anniversari in vita o in morte di uno scrittore. La celebrazione di un anniversario in vita si tiene in occasione di una promozione (G. Perrotta festeggia l’elezione all’Accademia d’Italia di G. Pasquali nel 1943) o di una particolare ricorrenza (G. Granzotto festeggia gli 86 anni di L. Repaci). La celebrazione in vita può essere considerata come una variante della celebrazione in morte, essendo quest’ultima più comune oltreché più frequente: si veda, per esempio, il discorso tenuto da M. Valgimigli in onore di G. Carducci nel centenario della nascita (1935), o la celebrazione da parte di N. Bobbio del ventennale della morte di P. Martinetti (1936). Inserisco in questo contesto le commemorazioni tenute a distanza di uno, due, tre, cinque e più anni dalla morte di uno scrittore, spesso recanti il titolo Ricordo di…: il Ricordo di Carlo Michelstaedter di B. Marin, il Ricordo di Clemente Rebora di Lavinia Mazzucchetti, Ricordo di Reycend di R. Longhi, ecc.
Vari. Autobiografie, necrologi e discorsi celebrativi sono i tre contesti letterari in cui con maggiore frequenza ho individuato i racconti del primo incontro. E tuttavia le occasioni narrative, e dunque i contesti letterari nei quale il racconto si può rinvenire sono i più disparati: una nota di diario (Leonetta Cecchi Pieraccini, B. Berenson), un resoconto giornalistico (visita di E. Cecchi a G. K. Chesterton, incontri Montale-Eliot, Montanelli-Marotta, Ginzburg-Bergman), un’intervista (Nesi-Corti-Gadda, Corti-Contini, Sorgi-Camilleri), un saggio critico (Pancrazi-Ungaretti, Marabini-Montale, ecc.), la prefazione a un romanzo (Bassani-Tomasi), un articolo per rivista (Ml. Cancogni alle Giubbe rosse, incontro Spinelli-Donadoni), una nota per annuario scolastico (R. Bianchi Bandinelli, L. Modestini), o anche una recensione o una dedica (cfr. l’incontro Pancrazi-D’Annunzio), sono tutte occasioni nelle quali è possibile leggere, nello spazio di una digressione sempre molto efficace, un racconto del primo incontro. Lo scrittore per un momento si spoglia della sua veste di critico, di saggista, di giornalista, di diarista, per abbandonarsi al ricordo d’una esperienza personale, che egli considera memorabile e di cui vuol far partecipe il lettore. Anche in questa quarto gruppo, dunque, la caratteristica dominante è il ricordo di un evento del quale chi narra è stato protagonista o semplicemente testimone. L’ho tenuto distinto dai racconti rinvenuti in autobiografie, necrologi e celebrazioni, sebbene il meccanismo rievocativo sia identico, perché diverso è il contesto letterario in cui si colloca il racconto del primo incontro.
Tipologie
Sulla base della dinamica dell’incontro ho individuato cinque tipologie:
1) visita;
2) presentazione (e autopresentazione);
3) incontro scolastico;
4) incontro-convegno;
5) incontro fortuito.
Eccone la descrizione e qualche esempio:
1) Visita. Siamo in presenza di questa tipologia quando il narratore racconta di essersi recato presso qualcuno, per conoscerlo di persona. In questo caso, la conoscenza dell’opera precede quella della persona. Si leggano le visite di E. Buonaiuti a G. Tyrrell, di E. Cecchi a G.K. Chesterton, di Fernanda Pivano a E. Pound, ecc. Ma non sempre è così: per es. la giovanissima Annie Vivanti che va a trovare G. Carducci ha una conoscenza, come lei stessa confessa, meno che approssimativa dell’opera del maestro. In generale, chi racconta è indotto alla visita dalla fama dello scrittore e dalla stima nei suoi confronti, oppure, come nel caso di Cl. Marabini, dalla convinzione che l’opera sia raggiungibile anche attraverso l’uomo[3], o ancora da un motivo pratico, come la richiesta di una prefazione (Vivanti-Carducci) o della pubblicazione dell’opera (Soffici-Campana, Bompiani-Zavattini). La visita ad un autore comporta l’ingresso nel suo ambiente, nella sua casa (Pivano-Pound), nel suo laboratorio (Soffici-Rosso), nel luogo in cui lavora (Leonetti-Gramsci) o nel suo studio (Longhi-Reycend). Chi effettua la visita è spesso animato da un’ammirazione incondizionata nei confronti della persona incontrata.
2) Presentazione (e autopresentazione). E’ il caso di quegli incontri nei quali una terza figura di intermediario ha la funzione di presentare i due protagonisti dell’incontro. Due esempi per tutti: G. D’Annunzio conosce (presentatogli dall’editore A. Sommaruga) G. Carducci presso la sede della “Cronaca Bizantina”; Aldo Palazzeschi, in vena di scherzi, giocherà un tiro mancino a M. Moretti presentandogli il burbero Papini. Ancora: Cesare Segre è l’intermediario tra Maria Corti e Gianfranco Contini conosciuto in casa di Segre.
Una sottotipologia è costituita dall’autopresentazione in cui non figura l’intermediario; colui che racconta si è presentato da sé all’altro. Si vedano, per fare qualche esempio, gli incontri tra L. Settembrini e B. Puoti, tra il giovanissimo R. Bianchi Bandinelli e l’attempato K. J. Beloch, tra L. Viani e L. Bistolfi. In questa sottotipologia, l’incontro può avvenire in biblioteca, per strada, ovunque. Il narratore mette in luce la grandezza dell’uomo incontrato, che si è a lungo desiderato di incontrare. Il racconto presenta, in questo caso, un evidente intento celebrativo.
3) Incontro scolastico. E’ l’incontro che avviene in ambiente scolastico o universitario, occasionato da un rapporto pedagogico o di studio. Il narratore riconosce e celebra come maestro colui che ha dato vita a una scuola, a un indirizzo di studi, o semplicemente ad un efficace e memorabile insegnamento. Si vedano gli incontri tra A. Panzini e G. Carducci, tra M. Valgimigli e G. Carducci, tra G. Perrotta e G. Pasquali, tra L. Modestini e G. Catanzaro, e infine tra A. Camilleri e M. Cassesa. La scuola (liceo, università, con incontri egualmente ripartiti) appare come il luogo naturale d’incontro tra gli intellettuali italiani del XX secolo.
4) Incontro-convegno. Definisco in questo modo l’incontro che avviene in occasione di un pubblico convegno, di una premiazione letteraria, di una manifestazione culturale o artistica. Qualche esempio: G. Comisso incontra J. Joyce a Parigi in occasione di una cena tra letterati al Pen Club; G. De Benedetti vede I. Svevo durante una conferenza a Trieste; N. Bobbio incontra R. Guttuso e U. Morra in una riunione di “cospiratori” antifascisti nel 1939 in casa Morra; e così L. Piccioni vede C. Pavese durante la serata del Premio Strega a Roma nel giugno 1950. Il narratore lega il nome della persona incontrata ad una pubblica manifestazione artistico-letteraria, o politico-culturale, o cultural-mondana, qualche volta ne fa per così dire il simbolo, come nel caso dell’incontro Granzotto-Repaci, quest’ultimo fondatore del Premio Viareggio.
Nella tipologia dell’incontro-convegno ho incluso anche gli incontri propiziati da un certo clima culturale che viene a crearsi intorno a una rivista, ad un cenacolo, ad un movimento letterario o in occasione di particolari momenti storici. Per esempio, A. Trombadori nel necrologio di G. Labò racconta che nel primo incontro con Labò questi gli chiese di entrare nei Gap (siamo nel 1943, anno in cui si organizza la Resistenza ai nazi-fascisti; ancora, L. Russo incontra F. Jovine alla caduta del fascismo, durante “la primavera lieta degli antifascisti”, com’egli dice. Così P. Calamandrei incontra P. Pancrazi “a Firenze negli anni di “Pegaso” (1932).
5) Incontro fortuito. Avviene quando è il caso a governare l’evento. Ma qui il caso è figura di una predilezione che è impossibile tenere nascosta. Leonetta Cecchi Pieraccini che incontra sull’autobus la scrittrice a lungo letta e amata, Grazia Deledda; P. Pancrazi giovinetto che vede il vate G. D’Annunzio sfrecciargli davanti a cavallo, e rinviene in quel caso il segno del suo destino di critico; G. Fofi che in un pubblico consesso scopre di essere stato schiaffeggiato nientemeno che dall’anarchico A. Borghi: sono solo tre esempi di come l’incontro possa essere propiziato dal caso e nondimeno essere considerato di grande importanza per la propria vita e formazione intellettuale.
Le tipologie sopra esemplificate non devono essere assunte in modo rigido, poiché spesso accade che esse si sovrappongano e coincidano nel medesimo racconto. Per es. l’incontro Pasquali-Wachernagel è insieme un incontro fortuito e scolastico, così pure quello Russo-Gentile; quello Mazzucchetti-Rebora è insieme un’autopresentazione (di Rebora) e un incontro scolastico; F. Leonetti fa visita a A. Gramsci avvalendosi della presentazione, sia pure in absentia, di G. Scalarini; e gli esempi potrebbero continuare.
Il Novecento non è un’area cronologica uniforme e priva di una linea di sviluppo. Ad esempio, tra l’incontro scolastico (Liceo) Spinelli-Donadoni e quello Modestini-Catanzaro c’è la grande distanza tra due mondi culturali e pedagogici, tra due modi di intendere la scuola, che corrisponde al cambiamento sociale tra l’anteguerra (il primo) e il dopoguerra (il secondo); oppure tra gli incontro con Carducci e D’Annunzio e quello Montale-Eliot si colloca tutta la rivoluzione poetica montaliana (il torcere il collo alla retorica), tant’è che Montale preferirebbe conoscere i poeti in pantofole, il che poi di fatto accadrà nell’incontro Marabini-Montale dei primi anni settanta.
Protagonisti narratori: un racconto comune
Chi sfogli questa raccolta rimarrà forse sorpreso nell’apprendere che spesso coloro che hanno narrato il primo incontro divengono, in progresso di tempo, protagonisti dello stesso tipo di racconto scritto da altri autori. G. Pascoli per le celebrazioni del 35° anniversario dell’insegnamento di G. Carducci (1896) ricorda il suo primo incontro con il poeta di Valdicastello; qualche anno dopo, nel 1912, nel necrologio di Pascoli scritto da G. D’Annunzio, questi narra il suo primo incontro con Pascoli; nel 1939 è la volta di P. Pancrazi che nella dedica a P. Calamandrei premessa ai suoi Studi sul D’Annunzio, racconta il suo primo incontro con D’Annunzio, e infine nel 1953 sarà proprio Calamandrei a rievocare nel necrologio di Pancrazi il primo incontro con l’amico scomparso. Probabilmente un supplemento di ricerca potrebbe allungare la catena fino ai nostri giorni; ma già questo esempio basta a mostrare come nel Novecento gli scrittori abbiano raccontato uno dopo l’altro il loro primo incontro, facendo di questo tipo di narrazione un uso topico. Si tratta di una scelta espressiva molto significativa, con la quale gli uomini di cultura hanno manifestato la decisa volontà di tenere coeso il loro ceto. A questo fine hanno elaborato un racconto comune, la cui la funzione è quella di ricordare, in diversi contesti letterari, il momento germinale del loro rapporto; sicché esso può essere assunto a figura ed emblema di quella coesione. Si pensi ancora, per fare qualche altro esempio, a Giorgio Pasquali che ricorda nel 1938, nell’epicedio dedicato a Jacob Wachernagel, il primo incontro col maestro tedesco, mentre solo pochi anni più tardi, nel 1943, Giorgio Perrotta – nel discorso pronunciato in occasione dell’elezione di Pasquali all’Accademia d’Italia -, narrerà il primo incontro col maestro Pasquali; così Antonio Baldini, Giovanni Papini, Gianfranco Contini, Eugenio Montale, e molti altri, saranno di volta in volta narratori e protagonisti dei racconti del primo incontro.
In questo fitto intreccio di rapporti a catena si concretizza, a mio avviso, un forte desiderio di cementare – attraverso un racconto comune – una medesima appartenenza intellettuale. L’intercambiabilità della funzione narrativa – il narratore di un racconto diventa altrove protagonista e personaggio -, di per sé significativa di questi stretti legami, mentre chiude l’intellettuale in un circolo “virtuoso”, dove per l’appunto chi racconta diventa protagonista, e viceversa, configura anche una risposta di ceto all’evidente arretramento della funzione sociale e alla crisi dell’intellettuale; un arretramento su posizioni apparentemente salde, forti di solidi legami individuali e collettivi, dove l’unica arma che sembra sicura, e di cui il ceto intellettuale continua a dirsi depositario, è la memoria, che, come si è visto, è la cifra distintiva di tutti i racconti del primo incontro. Ma solo, come dicevo, apparentemente, poiché si sa bene come il ricordo agisca con grande operosità e fatica quando il tempo comincia a cancellarne l’orizzonte[4]. Rimanga, dunque, un’ipotesi, da verificare con altri studi. Non rientra infatti nei limiti di questo lavoro indagare la complessa condizione dell’intellettuale nel Novecento, ma semplicemente osservare e segnalare una particolare espressione letteraria, un racconto comune, nel quale il narratore, divenuto per una volta protagonista, trova nell’esercizio della memoria una compensazione e una sorta di risarcimento alla perdita di importanza del suo ruolo.
Si consideri a questo punto la difficoltà nata dal dover limitare a un numero convenzionale, fissato nelle cento e una unità, i racconti del primo incontro; per cento e un racconto che qui compare, mille e uno è stato sacrificato. Purtroppo ogni silloge per sua natura è una scelta, e impone di tralasciare quanto, non poco, si sarebbe potuto riportare. E’ inevitabile (è la pena che deve scontare ogni antologista) che si levi una o più voci ad ammonire che manca questo o quell’autore, e che manca il tal primo incontro, mentre invece sarebbe stato importante riportarlo perché… (e giù mille validissime motivazioni). Ma consiglio fin da ora il lettore di utilizzare questo libro come raccoglitore di altrettanti e più numerosi primi incontri, ch’egli potrà inserire di suo ritagliandoli dalle sue letture, personalizzando così il repertorio. Del resto, se ai cento racconti ne ho aggiunto un altro, ed ultimo di questa raccolta, è proprio per indicare l’inesauribilità della ricerca e per invitare il lettore a continuarla.
Alla fine, il racconto ripetuto e variato per cento e una volta ha rivelato un topos letterario del Novecento finora passato inosservato. Questo libro avrà raggiunto il suo scopo, se d’ora innanzi il racconto del primo incontro sarà riconosciuto come un vero e proprio topos della letteratura memorialistica ed aneddotica, epicedica e celebrativa, un racconto comune, il cui fondamento risiede nella necessità ineludibile da parte degli scrittori di farne uso per narrare una parte, e non la meno significativa, della propria vita.
Endenna di Zogno, Natale 2000
Note
[1] Scrive P.V. Mengaldo: “Contini è stato forse, con Pasquali, il più grande scrittore di necrologi e ritratti di intellettuali del Novecento italiano” (Profili di critici del Novecento, Bollati Boringhieri, Milano 1998, p. 54). Per la formula continiana nascere-a-lui, vedi l’epicedio dedicato a Ungaretti in questa raccolta.
[2] Nell’epicedio in onore di Giorgio Pasquali firmato da Giacomo Devoto nell’agosto 1953, lo scrittore ricorda che “il necrologio di Wilamowitz [scritto da Pasquali] finisce addirittura scherzosamente” con la storia del filologo tedesco settantenne che mangia una caciotta gelata e ne trae giovamento mentre i commensali si sentono male per tutta la notte e si preoccupano di lui che invece sta benissimo. Valga, dunque, una volta di più, il detto antico (riportato da Devoto) con cui si chiude il necrologio di Wilamowitz: “Nella casa delle Muse non ha posto il pianto”. Cfr. Giacomo Devoto, Giorgio Pasquali, in Civiltà di parole, Vallecchi editore, Firenze 1975, pp. 74-75. Per il necrologio di Wilamowitz, cfr. Giorgio Pasquali, Pagine stravaganti di un filologo, I, Le Lettere, Firenze, 1994, p. 92.
[3] Un diverso punto di vista è espresso da I. Calvino in un’intervista rilasciata a Cl. Marabini in La chiave e il cerchio. Ritratti di scrittori contemporanei, Rusconi Editore, Milano 1973, pp. 234. Scrive Marabini: “Mentre [Calvino] guarda la posta, all’ospite che ha chiesto di incontrarlo mormora, con voce bassa e pastosa, che ha ben poco da dire e che per un certo genere di incontri “non rende”. Non ha “chiavi” da offrire, se è una “chiave” che l’ospite è venuto a cercare”.
[4] Cfr. Marc Augé, Storie del presente. Per una antropologia dei mondi contemporanei, Il Saggiatore, Milano 1997 [1994], p. 42: “L’attuale gusto per la commemorazione esprime la dissoluzione della memoria collettiva con un paradosso che è solo apparente, mettendo in risalto il contrasto tra un passato di cui non sussistono che segni senza vita e un presente incerto della propria identità”.