di Pietro Giannini
Il libro di A. Marcolongo (La lingua geniale. 9 ragioni per amare il greco, Bari, Laterza, 2016, da cui si cita)[1] nasce sicuramente da una grande passione per il greco antico e si propone non solo di testimoniare questa passione, ma anche di suscitarla nei lettori, persino in quelli che non hanno frequentato il liceo classico (p. X). Il libro perciò non è “una grammatica convenzionale del greco antico, né descrittiva né normativa”, ma solo “un racconto letterario (e non letterale) di alcune particolarità di una lingua magnifica ed elegante” (pp. XII-XIII). In realtà, vi è un intento più ambizioso, quello di “giocare a pensare in greco antico” (p. XI), ma questo obiettivo emerge solo saltuariamente.
Occorre dire che alle spalle della scrittura del libro si intravvede una esperienza negativa, quella scolastica dell’A., fatta di paura, fatica, rabbia e frustrazione verso il greco antico (p. XII). Ma l’A. ritiene che questa esperienza sia comune a più di un lettore perché, come lei stessa afferma, “siamo vittime di uno dei sistemi scolastici più retrogradi e ottusi del mondo (a mio parere naturalmente, sempre da ultima della classe e forse, dopo questo libro, da bocciata ed espulsa).
Il liceo classico, così come è strutturato, sembra non avere altro scopo che mantenere i Greci e il loro greco i più inaccessibili possibile, muti e gloriosi lassù nell’Olimpo, avvolti da un timore reverenziale che si trasforma spesso in un terrore divino e in una disperazione molto terrena.
I metodi di apprendimento in uso, fatta eccezione per pochi e illuminati insegnanti, sono una perfetta garanzia di odio anziché di amore per chi osa avvicinarsi alla lingua greca. La conseguenza è la resa totale di fronte a questa eredità (scil. l’eredità della lingua greca) che non vogliamo più, perché appena la sfioriamo non la capiamo e scappiamo via terrorizzati. I più bruciano le navi del greco dietro di sé, non appena liberati dall’obbligo scolastico” (p. XII).
Quanto veritiero sia questo quadro dei licei italiani tracciato dall’A. lascio giudicare a ciascuno secondo le sue esperienze.