Scritti ecologici. Anno 2013

di Ferdinando Boero

Non c’è ambiente nelle agende

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 17 gennaio 2013]

Qualche giorno fa, a Pechino, l’inquinamento dell’aria ammontavano a 14 volte i limiti di sicurezza per la salute umana. Il sole non si vedeva più e il giorno non si distingueva dalla notte. Se gli economisti guardano alla Cina come virtuoso modello di sviluppo, con crescite economiche annuali a due cifre, ecco quale futuro vorrebbero anche per noi. Ricchi, e malati di inquinamento. La ricchezza di “quei paesi” si basa su manodopera a bassissimo prezzo, e su totale assenza di politiche di salvaguardia ambientale. La concomitanza di questi due fattori spinge gli investimenti in quelle regioni, dove si produce a un prezzo molto concorrenziale. Le fabbriche chiudono da noi e aprono “laggiù”: si chiama delocalizzazione. Poi si spera di continuare a vendere anche qui, ma a chi, se la gente perde il lavoro?

Noi non siamo più competitivi perché la manodopera costa troppo. Per la parte ambientale forse ce la caviamo ancora (secondo quei valori), con una situazione che è quasi ai livelli cinesi. Solo recentemente, per esempio, è stato posto il problema ILVA, ma chi lo pone viene visto come un nemico dell’economia e del lavoro.

Dico queste cose da tanto tempo e non sono certo il primo. Ci sono milioni di articoli scientifici che documentano l’impatto ambientale delle nostre attività: milioni! Le evidenze sono inoppugnabili, gli allarmi vengono lanciati da decenni, oramai quello che premonivano si sta realizzando, eppure, testardamente, restiamo ancorati a una visione del mondo in cui non c‘è alcuna considerazione per la salvaguardia dell’ambiente. Ne trovate traccia nei programmi elettorali? Io non riesco. Vedo solo che tutti si affannano a dichiarare che ci saranno meno tasse. Forse, nelle pieghe dei programmi, qualche noticina ci sarà, ma sono poche, generiche. E quindi, purtroppo, eccoci qui di nuovo a denunciare una carenza capitale nella visione del futuro che viene proposta da chi si candida a gestire le nostre vite nei prossimi cinque anni.

Ci sono accordi internazionali da fare, non sono così ingenuo da pensare che un paese possa diventare impermeabile al resto del mondo. Però la cultura può fare molto, anche nell’indirizzare le scelte economiche, usando le regole del mercato. Scoprire, per esempio, che i prodotti che compriamo sono fabbricati senza tener conto della dignità e salute umana, minando la qualità ambientale, può indurre i compratori a non acquistarli. E’ successo con i palloni da calcio cuciti da lavoratori bambini. Quando compriamo qualcosa, anche senza saperlo, prendiamo posizione. Avalliamo e sosteniamo certe pratiche, oppure le penalizziamo.

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