di Guglielmo Forges Davanzati
La distruzione dell’Università e le ragioni di chi si oppone
[“MicroMega” online del 29 gennaio 2016]
SINTESI. Lo stato di profonda crisi dell’Università italiana è imputabile a politiche di continue decurtazioni di fondi iniziate nel 2009. E’ ormai evidente che tali misure rispondono al disegno di differenziare le sedi in research e teaching. Nelle prime si fa ricerca, nelle seconde solo didattica, un po’ più dei Licei. Tuttavia, la realizzazione di questo disegno richiede modifiche normative radicali, di difficile praticabilità, e anche difficilmente spendibili politicamente e per fini elettorali. Queste difficoltà creano una condizione per la quale ciò che può essere fatto è solo portare a lenta agonia le sedi che si intende chiudere – e che verranno chiuse con la nobile motivazione che sono poco produttive. In questo scenario è pienamente comprensibile la protesta dei numerosi docenti universitari che rifiuteranno di sottoporsi a valutazione: non perché non intendono essere valutati, ma perché non intendono essere valutati in una condizione di continua riduzione delle risorse per la ricerca e con criteri di valutazione che premiano il conformismo.
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Nel 2009, il Ministro Tremonti aveva cominciato a raccontarci che l’Università italiana era popolata da professori baroni, nullafacenti e nepotisti e che “con la cultura non si mangia”. In nome dell’ obiettivo di tenere i conti pubblici in ordine, procedette coerentemente a un taglio del fondo di finanziamento ordinario alle Università statali che dai 702 milioni di euro nel 2010 raggiunse nel 2011 gli 835 milioni, in netta controtendenza con quanto si faceva in altri Paesi europei (Germania, in primo luogo). In fondo, si disse, più o meno esplicitamente, i trasferimenti di risorse pubbliche agli Atenei sono uno spreco. Con i loro più o meno puntuali resoconti sui concorsi truccati, giornalisti ed economisti di area “riformista” avevano fornito le “basi teoriche” della “riforma”, che verrà poi ricordata con il nome di Maria Stella Gelmini. Se anche l’obiettivo da perseguire era quello, non era chiaro perché il settore maggiormente colpito dai tagli dovesse essere quello della formazione: in fondo, si è sempre ritenuto (e si ritiene in altri Paesi) che il sottofinanziamento della ricerca è la strada più efficace per prolungare e intensificare la recessione. E’ difficile negare, infatti, che il finanziamento pubblico della ricerca scientifica sia strategico per l’attuazione di flussi di innovazioni nel settore privato e dunque per generare crescita economica[1].