Verrà il tempo che la poesia racconterà questi giorni

di Antonio Errico

Galatina, Via di Soleto. Foto di Mattia Margari.

Un giorno o l’altro – forse un giorno vicino, forse un giorno lontano – la letteratura dovrà fare i conti con le storie che stanno attraversando questi giorni. Non mi riferisco  alla letteratura scientifica, che senza dubbio lo farà e anche in tempi relativamente brevi,  ma a quella  letteratura che si potrebbe definire realistica o a quell’altra che si potrebbe definire di finzione, anche se le distinzioni sono molto incerte, come lo sono sempre le convenzioni.

Però non potrà farne a meno, per la semplice ragione che da quella volta in cui un uomo – o  più probabilmente una donna- ha avvertito l’esigenza di far comprendere qualcosa a qualcuno, lo ha fatto con un racconto che si componeva di gesti o di scene dipinte sulle pareti di una caverna, e  poi lo ha fatto con le parole di una lingua che era essenziale e fantasiosa ad un solo tempo.

Un giorno o l’altro la letteratura racconterà le storie di questi giorni. Forse non subito. Adesso il racconto appartiene ai territori della cronaca. Quella  letteratura che elabora metafore, ha bisogno di tempo, di stratificazioni di senso. Perché a quella letteratura non basta osservare, descrivere, rendicontare. Pretende, com’è giusto che sia, di comprendere le cose nella loro profondità, nelle loro cause, nei loro effetti, nella sostanza, nell’essenza, nei riflessi. Soprattutto deve comprendere quanto e come gli accadimenti incidano sul tessuto psicologico delle creature e della civiltà, sulle esistenze di tutti e di ciascuno. Deve comprendere, tradurre, interpretare il disagio, la paura, dare forma allo sbalordimento, alla speranza, al desiderio.

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