di Gianluca Virgilio
Stamane sono stato a scuola per prendere alcuni libri lasciati nel cassetto. Ho camminato nella penombra dei corridoi deserti su cui si affacciano le aule, ricavandone una triste impressione, la stessa che ci provocano le strade in certe ore del giorno, in questi giorni, per es. al crepuscolo. Nel tempo della pandemia, la vita si è rintanata nelle case, da dove si esce solo per necessità: procurarsi il cibo, i farmaci, lavorare (a chi è consentito). A memoria d’uomo, credo che nessuno abbia mai vissuto una situazione eguale a quella che stiamo vivendo oggi.
Nel 1973 avevo dieci anni compiuti da poco, quando si diffuse la paura dell’epidemia di colera. A Napoli era morto qualcuno di questa malattia, di cui non si era più sentito parlare da molto tempo. Quell’estate rientrammo a scuola con un mese di ritardo, il che fu molto piacevole per noi ragazzini di prima media. Mio padre mi munì di un tubetto di pastiglie di canfora, che portavo con me a scuola, dicendo a tutti che la canfora avrebbe tenuto lontano il colera. Era una credenza familiare che si tramandava in linea paterna. Infatti, mio nonno Pietro, scampato alla Spagnola negli anni dopo la prima guerra mondiale, aveva trasmesso a mio padre la credenza nelle virtù apotropaiche della canfora, che aveva ereditato da suo padre, il bisnonno Fortunato. La canfora era miracolosa, avrebbe sconfitto o almeno tenuto lontano il male invisibile; ed anche se mio padre sapeva che non v’era nulla di scientifico in tutto questo, tuttavia nell’estate del 1973 aveva procurato per sé e per tutta la famiglia le pastiglie di canfora. Non si sa mai…
Me la ricordo bene questa storia perché sui banchi di scuola ebbi modo di vergognarmi di quanto andavo ripetendo ai miei compagni, che la canfora fosse utile contro il colera. Quelli, più svegli di me, mi prendevano in giro, e così la voce giunge all’orecchio del professore di Scienze, che disse davanti a tutti che mi sbagliavo (e dunque dedussi che si sbagliava anche mio padre e tutti i miei avi), poiché la canfora ha tante virtù officinali, ma non certo quella di uccidere o allontanare il batterio del colera. Mi resi conto allora che la tradizione familiare doveva essere messa in discussione, se non volevo fare altre figuracce.
Questa storia ora mi fa pensare a come, dopo un secolo di straordinari progressi tecnico-scientifici in tutti i campi del sapere, compreso quello della medicina, ci ritroviamo con le stesse paure – forse maggiori perché amplificate dai mass media – del passato, quando le persone morivano come mosche e non c’era nulla da fare. Poi sono arrivati gli antibiotici, la penicillina, e tutti gli altri farmaci e vaccini che ci hanno fatto debellare molte malattie dalle quali un tempo si disperava di guarire. Così oggi è per il Covid 19, il famigerato coronavirus. Un giorno, speriamo molto presto, gli scienziati scopriranno il vaccino e allora ci passerà la paura, usciremo per le strade, torneremo a stringerci la mano e ad abbracciarci: saremo tutti più sicuri. Ma intanto, chi ci dice che da qualche parte in questo mondo interconnesso un altro virus insospettato non si sia messo in cammino con l’intenzione di resuscitare gli antichi spettri tra gli uomini?
Gli antichi spettri e le antiche credenze…
Sapete cosa mi è successo? Qualche giorno fa, prima che tutti fossero costretti a chiudere bottega, durante una visita ad un vivaista della zona, gli occhi ricadono su un alberello alto e sottile, dalla foglia profumata. L’ho comprato e l’ho piantato in campagna, ed ora spero che cresca alto e frondoso, mi faccia ombra d’estate e mi mantenga sano coi suoi effluvi. Certamente avete indovinato il suo nome: è il Cinnamomum canphora, ovvero l’albero della canfora. Se la canfora è valsa contro la Spagnola e contro il colera – mi dico, senza tema che qualcuno mi prenda in giro -, chissà che non vanga davvero anche contro il coronavirus e tutti i mali avvenire!