di Antonio Errico
Probabilmente non è più sufficiente avere punti di riferimento, sapere qual è la direzione verso cui si deve o sia opportuno procedere, conoscere bene le strade che si intraprendono. Le certezze sono fragili, si consumano in breve tempo. L’incertezza ci sorprende continuamente, con vecchie o nuove situazioni, con vecchie o nuove espressioni, a volte insinuandosi lentamente, a volte rovesciandosi sulle nostre esperienze. Traveste di ambiguità i punti di riferimento, confonde le direzioni che si credevano certe, suscita dubbi sulle strade che si intraprendono.
L’incertezza è la condizione che attraversa questo tempo, a livello personale e sociale, locale e globale. Forse non è la negazione delle certezze, ma comunque è una sospensione di esse, che richiede, pretende, un’incessante riconsiderazione e riformulazione delle conoscenze, un costante riscontro, un adeguamento alle mutazioni che si verificano rapidamente in qualsiasi contesto.
Non si può dire che questo sia un fatto necessariamente negativo. Ogni incertezza motivata da una presa di coscienza culturale, diventa la motivazione per una ricerca di punti di riferimento diversi o ulteriori, di nuove direzioni da seguire, di strade differenti da quelle solite che possono anche portare più lontano in un tempo più breve.
L’incertezza si risolve, invece, in un blocco cognitivo quando resta rinchiusa nel problema e non si avventura nella ricerca di diverse soluzioni.
L’avventura è sempre incerta. La più incerta delle avventure è quella della conoscenza, che comporta in se stessa e permanentemente il rischio di illusione e di errore, sostiene Edgar Morin nei “Sette saperi necessari all’educazione del futuro”. Dice che “una nuova coscienza comincia a emergere: il mondo umano, messo ovunque a confronto con le incertezze, è trascinato in una nuova avventura”.