di Franco Melissano
Arrivò alla casa dello studente di C. in una limpida mattinata di aprile. Nessuno ne conosceva il vero nome. Decisero così di chiamarlo Pablo.
In quella primavera incipiente del 1974 giornali e televisioni davano ampio spazio a commenti e dibattiti sulla teoria del compromesso storico, lanciata su Rinascita nell’autunno precedente da Enrico Berlinguer.
La polemica tra sostenitori e oppositori di quella teoria divampava con inusitato vigore dappertutto, ma in particolar modo tra gli studenti universitari.
Marco, catapultato nella capitale d’Italia da un paesino della provincia di Lecce, si sentiva un po’ spaesato in quelle affollate assemblee in cui tenevano banco anziani studenti fuori corso dalla parlantina sciolta e accattivante.
Seguire le lezioni all’università non era difficile: bastava ascoltare con attenzione ciò che poi avrebbe ritrovato nei diversi manuali. Ma lì, in quelle bolge fumose in cui spesso gli interventi si accavallavano gli uni sugli altri come onde in tempesta, era tutta un’altra cosa. E poi il vocìo, le contestazioni, i fischi, le urla. Finivano per provocargli uno strano stordimento che lo estraniava dal dibattito portandolo in una sfera lontana, sospesa nel nulla, in cui si dissolvevano non solo le parole, ma persino il senso e le finalità dell’intera discussione. In quei momenti veniva assalito dalle serpi velenose dei dubbi e dei rimorsi.