Di mestiere faccio il linguista 21. La lingua batte dove l’accento vuole

di Rosario Coluccia

Anche questa settimana rispondo agli interventi dei lettori, molti scrivono e mostrano interesse per i temi che trattiamo. Benissimo.

Diego Símini, che insegna Letteratura spagnola nella nostra università, fa un’osservazione che riguarda l’uso degli accenti nella lingua scritta. «In spagnolo la Real Academia ha da tempo dettato norme ortografiche che in pratica, se applicate (e in genere lo sono) tolgono al lettore ogni dubbio circa l’accentazione delle parole. In italiano invece solo il contesto o l’intuito consentono di disambiguare l’accentazione di parole come ancora (àncora ‘oggetto per ormeggiare l’imbarcazione’ ~ ancóra avverbio di tempo), nocciolo (nòcciolo ‘parte interna di certi frutti’ [es.: «il nòcciolo della ciliegia»] ~ nocciòlo ‘arbusto che produce le nocciole’), ecc. Inoltre si dà per scontato, senza segnalare, che regolatorrido siano con l’accento sulla prima sillaba, mentre la maggioranza delle parole italiane sono piane, con l’accento sulla penultima sillaba. Più difficile è la situazione dei nomi di luogo. Sulle carte geografiche a volte ci sono gli accenti, ma non sempre. Prima di arrivare a Lecce [Símini è toscano, insegna e vive nella nostra città da molti anni] avevo notato la vicinanza di Galatina e Galatone (leggendo, non sapevo che l’accento è diverso) e mi ero lasciato portare dall’idea che uno fosse diminutivo e l’altro accrescitivo di un ipotetico *Galata [???]. Ma i casi sono tanti. Parlando di toponimi, c’è una curiosità riguardante la loro traduzione. Le città importanti hanno nomi diversi a seconda delle lingue (Milano è Milan in francese e in inglese, Milán [con l’accento] in spagnolo, Mailand in tedesco) mentre i piccoli centri mantengono il nome originario. Mi piace citare alcuni curiosi spostamenti di accento: in spagnolo Ravènna si chiama RávenaBrìndisi diventa Brindìsi».

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