di Adele Errico
“Mi ricordavo di mio padre che diceva sempre che la ragione per cui si viveva era per prepararsi a restare morti tanto tempo”. Ai pensieri di Addie Bundren, in Mentre morivo di William Faulkner, è dedicato un solo capitolo. E questo pensa Addie mentre se ne sta seduta alla sorgente ad odiare in silenzio i suoi figli e il marito Anse. E pensa che sia quello il modo migliore per prepararsi a restare morta: lasciare che quei pensieri – che tali devono restare, che non possono prendere forma nel suono della voce – le ribolliscano nel sangue, sepolti sotto uno strato di epidermide, frementi nelle ore di solitudine. E’ costretta ad averli davanti agli occhi, giorno dopo giorno e, mentre si prende cura di loro, mentre pulisce il loro naso sporco, pensa che quello che scorre nelle loro vene non è il suo sangue; il loro sangue è estraneo al suo e con quei pensieri si prepara a restare morta. L’inizio del suo percorso verso la morte è la prima gravidanza: “E quando mi resi conto di avere Cash, mi resi conto che vivere era terribile”. E ancora una volta, alla nascita del secondo figlio, Darl, è la morte che le viene in mente e si fa promettere da Anse di essere sepolta nella sua città d’origine, Jefferson. Ogni pulsione di vita in Addie Bundren si trasforma in pulsione di morte. La maternità tanto odiata ad altro non le fa pensare che alla morte, l’inizio di una nuova vita evoca in lei la fine. Pensa che avrebbe solo voluto ammazzare Anse, perché si sente ingannata, si sente tradita, come se l’avesse nascosta “dentro un paravento di carta e attraverso quello mi avesse colpita alle spalle”.