L’Italia, un Paese dualistico

di Guglielmo Forges Davanzati

La divergenza, in termini di Pil pro-capite, fra Nord e Sud del Paese comincia ad assumere dimensioni rilevanti a partire dalla seconda metà degli anni settanta: sono anni caratterizzati dalla crescita pervasiva della criminalità organizzata (che dal Sud comincia a mettere radici nelle principali città settentrionali), dallo smantellamento progressivo della Cassa per il Mezzogiorno e dalla contrazione degli investimenti pubblici al Sud. Sono anche anni caratterizzati da consistenti aumenti di spesa pubblica, nella gran parte dei casi improduttiva: quello che il compianto Marcello De Cecco ebbe a definire ‘keynesismo criminale’. Sia sufficiente a riguardo considerare che la spesa pubblica in rapporto al Pil sale dal 34% del 1974 (a fronte della media della Comunità europea del 38%) a oltre il 50% della fine degli anni ottanta. La pressione fiscale, pari al 25% in rapporto al Pil nel 1973 (inferiore di quasi quattro punti percentuali rispetto alla media OCSE), raggiunge il 40% alla fine degli anni ottanta. Un incremento significativo e mal distribuito: la crescita dell’evasione fiscale spinge i governi di quegli anni a provare a recuperare gettito soprattutto attraverso l’aumento dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, generando crescenti diseguaglianze distributive.

Cresce anche in modo significativo il debito pubblico, soprattutto per il continuo aumento della spesa per interessi sui titoli di Stato: dal 5% del 1980 a al 12% in rapporto al Pil del 1993. Un allarme muove le politiche economiche di quegli anni: l’elevata inflazione, che viene imputata interamente a salari eccessivamente elevati e non differenziati su scala regionale.    

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