di Antonio Errico
Lecce non è Berlino, mi dice. Lecce non è nemmeno Londra, nemmeno Parigi, rispondo. E’ Lecce. Quando dice che Lecce non è Berlino, vuole significare che si tratta di una condizione di marginalità, di periferia, di provincia. Vuole dire che è lontana dal centro dove si pensa, si decide, si fa.
Gli dico che anch’io penso che Lecce sia marginalità, periferia, provincia, che sia lontana dal centro, che questa condizione di lontananza sia stata pagata da tanti, che continua ad essere pagata da tanti. Ma che arrivo ad una conclusione contraria alla sua. Perché Lecce, la periferia, la provincia, è quel luogo dove da secoli si pensa e si fa, dove, soprattutto nella seconda metà del Novecento, sono stati realizzati, per esempio, giornali e riviste da far impallidire quelli che facevano giornali e riviste nei centri dell’editoria e del mercato.
Forse la provincia è il solo luogo dove sia possibile ancora realizzare un percorso di originalità, di creatività, dove sia possibile ancora pensare e fare senza il condizionamento del necessariamente globale. E’ il luogo in cui tradizione e innovazione possono integrarsi e interagire, dove lo sguardo che si rivolge al futuro stringe nelle pupille immagini e storie del passato. Il luogo dell’identità non ancora truccata, dell’entusiasmo non ancora mortificato; forse, a volte, è anche il luogo dell’improvvisazione causata dall’assenza di infrastrutture, molto spesso anche di strutture. Poi si deve dire che è anche il luogo degli alibi: siamo in provincia, siamo provinciali, ci serve per giustificarci, per perdonare il nostro attardarci su certe soglie di esperienza che non vogliamo superare, anche perché verso quelle esperienze proviamo un sentimento di affetto.