La recessione tedesca e la fuga di giovani dal Mezzogiorno

di Guglielmo Forges Davanzati

Il rallentamento dell’economia tedesca costituisce un allarme per il già fragile tessuto produttivo europeo, dal momento che buona parte dell’imprenditoria italiana è strutturalmente legata – tramite rapporti di subfornitura – al capitale nord europeo. Ciò che maggiormente desta allarme è la caduta della produzione industriale in Germania, giacché questa si traduce – e in parte già si sta traducendo – in una caduta degli ordinativi di prodotti intermedi fabbricati dalle nostre imprese più grandi sul piano dimensionale e con più elevata produttività del lavoro, localizzate nel Nord del Paese.

Si tratta di un problema che riguarda l’intera economia italiana, a fronte del quale le rivendicazioni secessioniste di Veneto e Lombardia – la c.d. autonomia differenziata – appaiono del tutto inappropriate. Il progetto di costituzione di macroregioni (con un Nord sostanzialmente autonomo, sia per quanto attiene al gettito fiscale che può trattenere in loco, sia per quanto riguarda le competenze normative che farebbe proprie, a partire dal settore dell’istruzione) non può infatti salvare quelle stesse aree dal probabile arrivo di una nuova fase recessiva. E non può farlo proprio perché, questa volta, la recessione parte dalla Germania e, proprio perché, le imprese che insistono in quelle regioni producono e vendono per quelle tedesche.

Vi è ampio e trasversale consenso in merito al fatto che l’economia italiana ha bisogno di un ampliamento del mercato interno (e non del suo esatto contrario, ovvero di una secessione simulata per provare a crescere esportando), sebbene vi siano divergenze di opinioni in merito a ciò che bisognerebbe fare per ampliarlo. Occorrono certamente incrementi salariali, e dunque maggiori consumi, così come prioritariamente occorre stimolare gli investimenti privati e metter mano a un programma di lungo periodo di espansione degli investimenti pubblici.

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