di Rosario Coluccia
La grande biblioteca di Alessandria d’Egitto, fondata da Tolomeo I riprendendo l’idea che Alessandro Magno non riuscì a realizzare, ambiva a concentrare in un unico luogo tutti i testi greci del mondo di allora, un’enorme quantità di libri (200 mila ipotizza qualcuno forse esagerando, non v’è sicurezza sulle cifre). Sembra che nelle grandi sale di quella biblioteca si aggirassero contemporaneamente centinaia, forse migliaia di lettori. Scribi lavoravano incessantemente, copiando volumi che arrivavano da tutto il mondo. Ogni nave che attraccava nel porto di Alessandria e che trasportava libri doveva lasciare l’originale alla biblioteca, riportando con sé una semplice copia. Si traducevano in greco le opere di altre lingue, compresa la Bibbia dall’ebraico, traduzione fondamentale per l’espansione del cristianesimo nei territori greco e romano. Oggi non esiste traccia di quella gigantesca collezione libraria, distrutta forse da un incendio suscitato da Giulio Cesare; o forse svanita per altri traumatici eventi storici in grado di provocarne la distruzione (invasioni, dilapidazioni, incuria). Qualcuno ha osservato che avremmo una conoscenza diversa del mondo greco (che ha fondato la cultura occidentale) se almeno una parte di quei volumi non fosse bruciata. Altri nomi si affiancherebbero a quelli noti, Saffo, Eschilo, Euripide e tanti altri. Forse pensava alla scomparsa biblioteca alessandrina Jorge Luis Borges, quando in Finzioni immaginava la sua Biblioteca di Babele: «L’universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone di un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordato di basse ringhiere. Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori, interminabilmente».