di Guglielmo Forges Davanzati
La proposta di detassare gli incrementi salariali, lanciata di recente dalla CGIL a guida Landini, si muove nella giusta direzione, ma è da considerarsi (e probabilmente lo considera tale il Segretario generale del più importante sindacato italiano) un primo passo nella direzione di un cambio di rotta dell’economia italiana. Non vi è dubbio che l’economia italiana necessita di un rilancio della domanda interna, come peraltro sostenuto anche da Confindustria, e non vi è dubbio che a tal fine serve anche un aumento dei salari reali.
Tuttavia, occorrono soprattutto misure di incentivazione degli investimenti privati e ancor di più investimenti pubblici. A volte, esercizi controfattuali possono servire e la Storia può dirci qualcosa per evitare di incorrere in errori già fatti.
Gli anni del cosiddetto miracolo economico italiano – la golden age (1963-1974) – furono caratterizzati da una dinamica degli investimenti di notevole rilevanza. In rapporto al Pil, la spesa per investimenti passò dal 19% del 1948 al 31% del 1963 (a prezzi costanti), con una quadruplicazione in soli quindici anni. Si ampliò in modo considerevole il nostro apparato industriale, comportando uno spostamento ingente di lavoratori dall’industria al settore manufatturiero: dal 1945 al 1963 il numero di lavoratori impiegati in agricoltura si ridusse da 10 a 6 milioni circa, a fronte di una percentuale di addetti nel settore industriale del 38%. Ciò si rendeva possibile per queste ragioni. In primo luogo, le aspettative dei nostri imprenditori di quel periodo erano estremamente ottimistiche. In secondo luogo, i profitti realizzati venivano pressoché interamente reinvestiti. In terzo luogo, la quota di profitti destinati ad attività speculative era pressoché nulla: il basso tasso di inflazione e il ridotto debito pubblico rendeva poco conveniente l’acquisto di titoli di Stato. La crescita degli investimenti comportò una notevole crescita della produttività del lavoro. E, a sua volta, l’aumento della produttività del lavoro generò la riduzione del costo del lavoro per unità di prodotto, la conseguente riduzione dei prezzi dei beni esportati, l’aumento delle esportazioni e del tasso di crescita.