La serratura senza chiave

di Evgenij Permjak  

Questa favola iniziò ad essere narrata tanto-tantissimo tempo fa, ma ancor adesso, dopo secoli e secoli, sino ai giorni nostri, non cessa ancora di essere raccontata. Così continua a vivere sulla Terra, come una casa senza tetto, come una pelliccia senza collo, come un gallo senza voce.

Tanti cercarono di farla dimenticare, d’impedire che fosse narrata – un nonno del nonno, una trisavola della trisavola, un saggio canuto, un rosso astuto – ma nessuno riuscì a farlo. Neanche io mi azzardo ad assumermi questa incombenza. A chi serve, la finisca pure, se ci riesce. A me tocca soltanto di cominciare…

C’era una volta un uomo dall’animo allegro e chiassoso, aveva un lungo soprannome “Rumore Strillanovič Vantaev”. Lo chiamarono così, perché senza dire «io, io, io», quel tale non riusciva a pronunciare neppure una frase. Ogni discorso che faceva, ogni parola che gli usciva dalla bocca, non risparmiava agli ascoltatori il suo: io, io, io. Cominciava il discorso con l’elogio di se stesso, finiva col vantare se stesso.

Qualsiasi iniziativa prendesse la gente del circondario, Vantaev era sempre pronto a strillare e fare rumore attorno a sé, più di tutti gli altri. Per esempio, la gente pensava di bonificare un terreno paludoso o di dissodare terre mai dissodate, o scavare un pozzo d’ispezione per i minerali fossili e Vantaev, senza essere invitato, era già lì ad agitarsi e strillare: «Gente! Fratelli! Cari! Io sono capace di far muovere le montagne! Io so far cambiare il corso dei fiumi! Io, io, io posso tutto!»

Tacevano gli uomini e pensavano tra sé e sé, nel frattempo: “prima ti saggeremo, vedremo e solo dopo ti giudicheremo dai frutti del tuo lavoro!”

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