di Francesco Pasca
Il saggio piacere del dipingere è, a volte, generare la stupefacente frattura di una sequenza pittorica mediante l’intromissione di frammenti dettati da un’ancestrale memoria.
È il caso della pittrice dei miti, di Frappampina, tarantina di nascita e non a caso di attuale adozione leccese.
Ricevere esortazione, specificamente, ad esprimere verità critica sui particolari dipinti dall’artista, dalla Frappampina, in occasione della sua ultima personale a Lecce mi è di ghiotta occasione.
Percorrendo le sale della chiesa di S. Francesco della scarpa presso l’ex convitto Palmieri a me non è parso solo vedere ciò che apparentemente o stilisticamente può dare l’apparire adeguato nel semplice, ma, al contrario, qualcosa nel sapientemente rappresentato per dar sete e far bere.
Mi è apparso, da subito, l’escatologico nelle sue innumerevoli sembianze e nei segni, dove, per essere tale, ne occorre far comprendere il mai compiuto dal mito, dall’apparentemente riflesso, e, nell’onirico, ricondurlo in una fantasia per l’immaginario di un reale pittorico.
Nella linguistica pittorica moderna, da enucleare, sono i dipinti proposti alla mia attenzione e sono due chiavi distinte per l’indispensabile approccio alla mostra. Mi soffermo sulle varianti dei dipinti.