di Antonio Errico
Una volta sognò di trovarsi alla stazione di Milano vestito da clown. Con una valigetta in mano, e gli scarponi da clown, correva per prendere il treno. Sui binari a destra c’era un vagone pieno di clown coloratissimi che lo incitavano a correre. Sui binari a sinistra un vagone di persone normali che applaudivano vedendolo cadere perché pensavano che fosse un numero comico.
Chissà verso dove correva Andrea Camilleri nel fondo del suo sogno rigonfio di colori.
Forse correva verso la sua infanzia. In molti sogni accade che si corra verso la propria infanzia. Forse correva verso i conigli, i cavalli, i muli, le caprette, il pulcino senza una gamba al quale lo zio aveva costruito una protesi di cannuccia. Forse correva verso la capra girgentana, pelo lungo marrone, corna alte e attorcigliate, che si chiamava Beba. Forse correva verso l’origine.
Più volte ha detto che tutto cominciò nella casa dei nonni, dalla lettura di “Alice nel paese delle meraviglie” che gli faceva sua nonna Elvira. Fu lei a parlargli di Alice, del gatto senza ghigno, del cappellaio magico.