di Paolo Vincenti
“E questa è la canzone del complesso del Primo Maggio
che in genere si esibisce sotto il sole di pomeriggio
con la chitarra acustica scordata, calante
che la gente che balla a torso nudo neanche la sente
corre lu guaglione dentro al centro sociale
corre lu poliziotto che lo vuole acchiappare
corre lu metalmeccanico che brandisce una biella
corre quella col piercing che non è tanto bella
Complesso del primo maggio
Lu complesso del primo maggio
ti va riconosciuta una certa dose di coraggio
Complesso del primo maggio
Lu complesso del primo maggio
che quando ti sento sento che mi sento a disa(g)gio
E all’improvviso parte una canzone tipo Bregovic!
( “Il complesso del primo maggio” – Elio e le storie tese)
Il concerto del primo maggio sul lettino dello psicanalista, come il mondo in una celebre vignetta di Melanton. Non è più il primo maggio di una volta, quando i cantanti si esibivano col pugno alzato e lanciavano dal palco messaggi impegnati, arrabbiati, a volte farneticanti, fra l’apocalittico e l’ideologico. Ormai gli artisti, dopo la loro performance, scendono dal palco mesti come ci sono saliti. Quest’anno sembrava un funerale, e in un funerale non è che si possa far baldoria più di tanto. L’umore dei partecipanti si acconcia al clima di mestizia dei tempi. Si piange la morte del lavoro, che ha abbandonato quasi del tutto il nostro Paese negli ultimi anni, ma anche la morte dei sindacati che vivono la stessa crisi dei partiti. Cgil Cisl e Uil hanno perso rappresentanza, anche perché sono strutture elefantiache, apparati complessi e costosi, costosissimi, incapaci come una volta di interpretare le esigenze della classe lavoratrice e di rispondere alle istanze della base. Eh sì, il concertone del primo maggio ha proprio un grosso complesso, per riprendere i versi degli Elio e le storie tese, i quali nella loro canzone giocano come al solito con le parole. In Piazza San Giovanni a Roma, come tanti hanno scritto sui social, sembrava che sfilasse l’assenza del lavoro, con tutte le sue nefaste conseguenze, quali la perdita dell’ottimismo, della fiducia, della speranza, a tutto danno delle giovani generazioni, che sono quelle che soffrono maggiormente della crisi occupazionale che ha investito la nazione. Nonostante i trionfalistici annunci del pataccaro Renzi e del suo fido contabile Padoan, infatti, il lavoro è cronicamente precario in Italia, e “Precario il mondo”, come canta Daniele Silvestri, “ si finchè è normale /ma sembra ancora più precario questo stivale /che sta affondando dentro un cumulo di porcheria / e quelli che l’hanno capito vedi vanno via”.