di Antonio Prete
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Dove vai, mi diceva, è buio intorno,
e l’erba è alta, è nera come il cielo.
Vedevo in quell’oscuro la criniera,
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e il dorso e il muso: era un bassorilievo
contro la pietra notturna del cielo.
Non sai, diceva, non sai quanti prati
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ho calpestato, alla luce del giorno
e della notte, un caso è ch’io t’incontri,
qui, su quest’erba nera, dopo tanto
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andare per contrade e per radure.
E’ vero, gli chiedevo, che i cavalli
sono su questa terra i più sapienti?
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E’ vero che quando battete il campo
a grandi cerchi, impazienti, ostinati,
andate misurando con la mente
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la geometria dell’universo, e come
in un lago mattutino vedete
riflessa l’ombra opaca dell’enigma?
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Chiedevo, e nella notte di velluto
nero lui camminava lentamente,
scuotendo al vento lasco la criniera,
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mentre, sapiente è l’erba, mi diceva,
sapiente è il sole che tra poco sorge,
il silenzio è sapiente che protegge
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le radici dell’albero, soltanto
questo sappiamo che voi non sapete.
Diceva, ed era già da me lontano,
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punto guizzante nella notte nera.
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[in Menhir, Donzelli 2007]