di Maurizio Nocera
Il pittore è lì, seduto davanti alla finestra, che tracima sulla scogliera e dalla scogliera si tuffa nelle acque cristalline verdi e azzurre del mare gallipolino. Lì, insiste sempre un bagliore cromatico luminescente che si effonde tutt’intorno. L’artista ora guarda il mare ora guarda il cavalletto. La tela è ancora immacolata, quasi come la Madre ai piedi della croce di Cristo. Il suo sguardo si perde nella lontananza dell’orizzonte azzurrino rosa-pallido. È il tipico colore di quella latitudine salentina. Solo qualche svolazzo di gabbiano gli fa chiudere momentaneamente le palpebre che poi, come saracinesche a ghigliottina, si rialzano, lasciando libere le pupille fisse su quel suo straordinario mondo onirico e metafisico di colori rastremati sull’eternità degli ultra geometrismi pitagorici ed euclidei, tanto da far dire ad Augusto Benemeglio che «nell’arte di Mimmo Anteri, pittore rigoroso, attento, dotato di grande tecnica e maestria, il disegno geometrico è preciso, netto, spietato, senza indulgenze; la cromia ha le fredde tonalità dei grigi e degli azzurri, il silenzioso, algido, astrale, lontanissimo mondo dei blu alchemici e mentali. La sua tela è una vora dell’anima che t’attira, ti risucchia e poi, d’improvviso, la vertigine, il senso della verticalità: le sfere, i coni, i prismi e i fili rossi azzurri della memoria».
Arte metafisica, dunque, quella stessa che Carmen De Stasio, individua come pittura «dimensionata che investe il tutto nell’immediato della forma mediante il ricorso a geometrie georgrafico-antropomorfiche, una tecnica che molto concede alla “strutturazione narrativa” dal tratto grafico deciso e dalla cromia fragorosa e tenace».