Il savianismo, malattia letteraria del berlusconismo

di Gianluca Virgilio

Premetto che non ho letto Gomorra di Roberto Saviano. Non per snobismo, ma perché il corso delle mie letture non mi ha condotto a leggerlo. E poi, non è detto che si debba leggere l’ultimo, e neanche il penultimo o il terzultimo best seller, solo perché tutti dicono che bisogna leggerlo! Ho avuto sotto mano “Gomorra” diverse volte, e, poiché di mestiere faccio l’insegnante-bibliotecario, l’ho prestato a numerosi allievi che me lo chiedevano (ho un’edizione scolastica, anche). Posso dirlo, senza che mi si rovesci addosso una valanga di improperi? Non ho letto Gomorra perché il mio fiuto di vecchio lettore non me lo consigliava. Sembrerò presuntuoso, ma voglio aggiungere: se mi piacerà un libro, lo so prima d’averlo letto, e lo leggo solo se so che mi piacerà leggerlo. Non è magia, è previdenza, una virtù con la quale mi difendo dai cinquecentomila titoli che si pubblicano in Italia ogni anno.

Dopo aver visto lo spot pubblicitario del film Gomorra di Matteo Garrone (tratto dal libro con la collaborazione dell’autore), poi, ho deciso di non vedere neppure il film. Troppa violenza, troppi morti ammazzati, troppo stress per la mia povera mente.

Invece, di lettura in lettura, sono giunto a leggere Alessandro Dal Lago, Eroi di carta, con sottotitolo Il caso Gomorra e altre epopee, manifestolibri, Roma, 2010, pp. 158. L’ho letto sull’onda delle polemiche che il libello ha scatenato tra i fan di Saviano, molti di sinistra, molti lettori de “Il Manifesto”, quasi tutti incazzati con Dal Lago, reo di lesa maestà, di favorire la camorra, di fare il gioco del nemico, ecc. L’ho letto perché ho capito subito che Dal Lago aveva ragione, e sarebbe stato in grado di spiegarmi i motivi per cui ero giunto a non leggere Gomorra. Così è stato, e ora voglio dire queste ragioni al lettore.

Saviano, scrive Dal Lago, ha costruito “una docu/fiction… in cui finzione letteraria e funzione documentaria si implicano a ogni pagina, direi a ogni riga”, una “macchina-di-scrittura che produce un certo effetto di verità” (p. 36). Al centro di questa macchina non è la realtà descritta, ma l’io dell’autore, che in definitiva si autoconsacra eroe di una guerra senza quartiere del Bene contro il Male. “A me un’idea di letteratura basata sull’adesione al punto di vista di un autore che pretende di essere creduto ed è garantito dalla sua parola, e solo da quella, non piace per niente”, scrive Dal Lago; e così pure non gli piacciono gli “scrittori che vogliono seguaci più che lettori (e qui vedo proprio le radici del savianismo)” (p. 39).  Dal Lago spiega benissimo quale sia la funzione dell’eroe, parla della “funzione anestetizzante e distraente della retorica dell’eroismo” (p. 81), di cui si fa un grande uso nell’era del berlusconismo; ed in effetti, il savianismo altro non è che l’espressione letteraria del berlusconismo: “L’uomo politico finirà come finirà, ma dalla cultura che egli ha creato nessuno è immune” (p. 147), conclude Dal Lago, fornendo un chiaro esempio di come sia feconda la cooperazione tra analisi narratologica dei testi letterari e analisi sociologica della cultura.

Consento su tutto; solo dissento su una battuta di Dal Lago. A mio avviso, difatti, Berlusconi come Saviano non è che un prodotto culturale, il prodotto culturale del liberismo trionfante. Morirà quando avremo la forza di avere una nuova economia, ovvero di fondare una nuova cultura.

Naturalmente, Saviano non è una caso isolato. Esiste in Italia tutta una letteratura (noir, narrativa fantasy e pseudo storica), fortemente voluta dai grandi gruppi editoriali, che presenta le medesime caratteristiche di stile: “immagini forti, metafore facili, storie sensazionali, periodare semplice. Uno stile da passatempo, da letteratura da consumare più che da leggere…” (p. 149).

Dal Lago conclude con una domanda: “E’ pensabile che oggi la letteratura, da noi, possa essere un’altra cosa?” (p. 152).

È la domanda giusta, sicuramente, è la domanda che solo l’autentico pensiero critico riesce a formulare, ma è anche la classica domanda da un milione di dollari. La mia risposta è che già oggi una letteratura “altra” è pensabile, ed è anche fattibile, purché si abbia il coraggio di esercitare quello che Daniel Pennac considera il primo fra i diritti del lettore: il diritto di non leggere – che, in definitiva, corrisponde al diritto di non consumare ciò di cui non abbiamo bisogno -.

(2010)

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